Qual è la qualità della nostra coscienza civica? Un libro che è un'occasione per suscitare e risvegliare quel «dibattito pubblico» motore della formazione di ogni senso civico, specialmente nella vita democratica.
PREFAZIONE
di Lorenzo Biagi
In questo momento storico, per quanto ci giriamo attorno individuando colpevoli da ogni parte, dobbiamo riprendere in mano la questione originaria: qual è la qualità della mia e della nostra coscienza civica? Il mio senso civico è ancora vitale o non si è piuttosto deteriorato? Perché quando si pensa solo a se stessi si finisce irrimediabilmente per farsi gli affari propri a scapito di tutto il resto. Non è che possiamo andare avanti moralisticamente riempiendoci la bocca di «bene comune», ritenendo che a esso ci deve pensare qualcun altro. Là dove c’è un clima sociale e una società ripiegata su se stessa, rivendicativa e rancorosa, con obiettivi di piccola portata, divisa e diffidente; là dove la società è un insieme inconcludente di elementi individuali, senza nessuna coesione, di soggettività esasperate e senza fini tenute insieme da connessioni deboli (la «poltiglia di massa» di cui ha parlato il Censis); là dove la sfiducia nell’altro diventa fatto ordinario e «normale», così che ad esempio due italiani su tre si dichiarano d’accordo con l’affermazione che «è meglio guardarsi dagli altri, perché potrebbero approfittare della nostra buona fede», è chiaro che lì, gradualmente ma con certezza, il legame sociale progressivamente si deteriora e si afferma un clima da guerra di tutti contro tutti. Quella che si chiama «solidarietà umana», «solidarietà civica», quella mano cioè che si dovrebbe dare per puro spirito di appartenenza alla nostra comune umanità, si è come dileguata. Abbiamo la percezione che forse non troveremmo una mano così pronta e solidale a tirarci fuori dal buco nero della deriva. Gli anziani non si fidano più dei giovani: li sentono inaffidabili e rapiti da interessi futili e da valori ora superficiali, ora cinici. I giovani vedono negli anziani un ostacolo, un peso, qualcuno che sta rubando loro il futuro. Ed è brutto vivere così, sia per gli uni che per gli altri. Per tutti.
È largamente condiviso, almeno a parole, il fatto che il nostro paese ha una sfida urgente davanti: ricostruire il tessuto civile e ri-formare nelle persone la coscienza della legalità e del civismo. Senza questi due pilastri è inevitabile una deriva verso un individualismo insofferente delle regole e uno stato permanente di sopraffazioni e di guerra di tutti contro tutti. Qualcuno è giunto a parlare della nostra società come di una «società incivile» dove il clima della convivenza si è deteriorato, drammatizzato, perfino incarognito. Tutti diffidiamo di tutti. Il sociologo Ilvo Diamanti ha scritto che lo «spirito animale» che in passato aveva pervaso e attraversato il mercato, le imprese, l’economia, oggi si è trasferito nei comportamenti sociali. Ciascuno di noi, forse, osserva che i risentimenti delle persone contro le istituzioni non accennano a stemperarsi, ma divengono sempre più violenti. L’antipolitica non accenna a diminuire. Ne viene fuori una società maleducata, divisa, estrema e violenta nella comunità e nel territorio.
Questo quadro che poteva sembrare fosco, oggi pare essere semplice realtà. Infatti è facilmente verificabile che in questi ultimi anni sono fortemente cresciuti processi di decadimento sia della società civile che della politica, segnati dall’ulteriore deperire dell’etica civile e della cultura delle regole. In altre parole, ciò che fa problema è il venir meno di quel basilare senso civico e di quella qualità civile dei comportamenti e del linguaggio che sono ingredienti fondamentali per una serena convivenza.
È dunque necessario rivitalizzare la qualità civile delle nostre relazioni e dei nostri comportamenti nel lavoro, nella società, nelle istituzioni, nel tempo libero. Il civile, il senso civico, l’etica civica, infatti, altro non sono che l’insieme di quelle convinzioni di base che guidano i nostri comportamenti e il nostro linguaggio nella quotidianità, fatta di relazioni e di condivisione di spazi pubblici. Il civile è quell’ambito molto concreto e ordinario delle nostre vite che prende corpo quando, uscendo di casa, diventiamo attori di una cittadinanza responsabile, quando ci muoviamo nelle relazioni con senso di rispetto e di reciprocità, quando svolgiamo la nostra professione con competenza e onestà, quando ci prendiamo cura delle cose che di fatto abbiamo in comune. Per contro tutti stiamo male e diventiamo perfino rabbiosi quando queste «cose che abbiamo in comune» non funzionano come dovrebbero. E noi sappiamo che se non funzionano bene, non è colpa solo delle «strutture» o della «politica», ma in primo luogo di una carenza e di un impoverimento appunto della «coscienza civile» e del «senso civico» dei singoli.
Negli ultimi tre anni l’opera di ricerca e di formazione della Fondazione Lanza si è coagulata attorno a queste questioni, la cui rilevanza tocca proprio i fondamentali di una vita etica, di una vita buona, di una vita ben vissuta insieme. In questo agile libro vengono consegnati al pubblico i primi risultati di questo lavoro culturale. Non perché rimanga nelle biblioteche di pochi interessati ma perché diventi occasione per suscitare e risvegliare quel «dibattito pubblico» che è il motore della formazione di ogni senso civico, specialmente nella vita democratica.
Nei primi due studi viene infatti delineato lo spessore culturale e la tenuta argomentativa di una proposta di etica civile, non senza aver prima esplorato anche storicamente la rilevanza della stessa categoria dell’etica civile. Basti qui accennare al dato, che poi il lettore potrà approfondire meglio nel corso della lettura, probabilmente perduto dalla nostra memoria collettiva, che l’Italia è la patria di quell’umanesimo civile, erede della ricca etica greca della polis, che ha dato radici al fiorire in tutto il mondo della cultura propria di un’etica e di una paideia civili.
Negli altri due studi invece si tenta un primo affondo applicativo delle potenzialità racchiuse nell’etica civile, nel momento in cui si va a sondare due ambiti di frontiera nella nostra vita odierna. In primo luogo quello della salute, delle istituzioni sanitarie, oggi sottoposte a uno stress quotidiano sia per il venir meno di risorse economiche ma anche per il venir meno di risorse per l’appunto civiche. Le professioni mediche sono quotidianamente incalzate da pretese sia dal versante direttivo che da quello dei cittadini. Occorre riflettere sul fatto che il mondo della salute e della medicina oggi, dopo aver raggiunto alcuni importanti punti di intesa nel campo della bioetica, ha la necessità di misurarsi con le nuove implicazioni della giustizia distributiva: cosa significa «distribuire» e organizzare secondo giustizia un bene come quello della salute, in una condizione di penuria di risorse e di abitudine della gente a pretendere e ad avere servizi? Non c’è anche qui un problema di erosione del senso civico che chiama in causa tanto l’istituzione sanitaria che la cultura dei cittadini?
Il secondo ambito è quello delle politiche ambientali. Concretamente: può la nostra relazione con l’ambiente, con tutti i beni di cui è sostanziato (acqua, aria, terra, paesaggio…), ma anche con tutti i problemi dai quali è attanagliato (vivibilità delle nostre città e paesi, congestione del traffico, smaltimento dei rifiuti, inquinamenti vari, deforestazione, cambiamento del clima, ecc.), continuare a essere all’insegna di una logica incivile di mero sfruttamento e di irrazionale sperpero dei beni ambientali? Non è forse il caso di iniziare abbastanza in fretta a mettere in circolazione nuovi stili di vita improntati a una ben temperata etica civile anche in relazione a questi beni?
È da questa grammatica elementare che noi oggi dobbiamo iniziare a dire un nuovo umanesimo civile, con un’opera educativa tenace, profonda, molecolare. Una piccola rivoluzione che parte prima di tutto da noi stessi, e che proprio per questo è la sola credibile e capace di contagiare chi ci sta intorno. È da qui che concretamente inizia la rigenerazione del senso civico.
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
Per una rinnovata etica civile
Una proposta della Fondazione Lanza
Abbiamo bisogno di ritrovare buone ragioni per il «vivere-assieme», in un tempo in cui sembrano prevalere elementi di lacerazione e contrapposizione. È un momento di difficoltà, che apre però anche spazi per una proposta positiva, capace di collegare tanti soggetti che continuano tenacemente a operare in modo solidale, anche in tempi critici.
A tale prospettiva intende offrire un contributo la Fondazione Lanza, alla luce della propria esperienza di venticinque anni di ricerca in etica. È la proposta di una rinnovata etica civile, che sappia riprendere le tante positive risorse di senso che abitano il nostro contesto culturale, valorizzandole per «tenere-assieme» in forme nuove la ricca pluralità della condizione umana. Essa si articola attorno alla figura stessa della civitas: la città, intesa sia come realtà concreta dalla forte dimensione locale, che anche nella sua valenza simbolica, evocativa di una positiva convivenza anche su scale più ampie.