Il sostantivo «avvocato» deriva dal latino advocatus, advoco = voco + ad «chiamato a me», vale a dire chiamato per difendermi — cui l’equivalente greco è paracletos che significava letteralmente «chiamato appresso» — cioè difensore.
Si tratta di quella che potremmo definire la più «libera» delle professioni, in attuazione dell’art. 24 della Costituzione e l’unica che risulta anche espressamente menzionata nella Carta fondamentale, agli artt. 104, 106 e 135.
Dopo oltre 70 anni di attesa, il 2 febbraio 2013, è entrata in vigore la Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, adottata con L. 31-12-2012, n. 247, con l’obiettivo di far fronte al sofisticato ed esigente mercato attuale dei servizi professionali. È vero che per la sua completa applicazione saranno necessari (forse troppi) decreti e regolamenti attuativi, ma numerose sono le novità immediatamente esecutive specie in materia di tirocinio.
L’art. 41, allineandosi a quanto previsto dagli artt. 6 e 10 del D.P.R. 7-8-2012, n. 137 (Regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali), prevede la riduzione del tirocinio (da 24) a 18 mesi. L’avvocato affidatario deve avere un’anzianità di iscrizione all’albo non inferiore a 5 anni e non può tenere più di 3 praticanti contemporaneamente. Per almeno 6 mesi la pratica deve essere svolta presso un avvocato o presso l’avvocatura dello Stato, mentre per il periodo residuo è consentita la valutazione del diploma conseguito presso le Scuole di specializzazione per le professioni legali, di cui all’art. 16 del D.Lgs. 17-11-1997, n. 398, istituite con D.M. 21-12-1999, n. 537. Per 6 mesi è anche ammesso lo svolgimento della pratica all’estero, presso un professionista di altro Paese dell’Unione europea.
Infine, la pratica, che non è più esclusiva dei laureati, può anche iniziare, per i primi 6 mesi, durante l’ultimo anno del corso di laurea in giurisprudenza.
Ma vi è di più. Viene, infatti, velocizzata l’abilitazione al patrocinio: dopo solo 6 mesi (anziché dopo un anno) il praticante laureato può essere abilitato al patrocinio — per un massimo di 5 anni — in sostituzione del dominus — e comunque sotto il suo controllo e la sua responsabilità, anche per cause affidate da clienti del tirocinante — in campo civile, dinanzi al tribunale e al giudice di pace e, in ambito penale, nei procedimenti di competenza del giudice di pace, per reati contravvenzionali e in quelli che, un tempo, rientravano nella competenza del pretore.
Conseguito il certificato di compiuto tirocinio il praticante è ammesso a sostenere l’esame di Stato. La prova è rimasta la stessa: ai sensi dell’art. 46, gli scritti sono ancora tre, redazione di pareri motivati in materia civile e penale e atto giudiziario, unitamente alla discussione orale su materie in parte obbligatorie e in parte a scelta. La maggior severità attiene all’individuazione del punteggio minimo per l’ammissione all’orale — punteggio complessivo di almeno 90 punti e non inferiore a 30 punti in ciascuna prova, invece che non inferiore a 30 punti per almeno due prove — e nel divieto di utilizzo di consultazione dei codici annotati con la giurisprudenza, ma con l’ausilio dei soli testi di legge (come in magistratura).
Quest’ultima scelta può essere letta in chiave positiva solo — il lavoro dell’avvocato non si esaurisce nella mera analisi dei testi legislativi — laddove orientata a scongiurare il livellamento della qualità degli elaborati dovuto a quella consueta (quanto errata) operazione di collage di sentenze giurisprudenziali.
Ne deriva che la commissione esaminatrice potrà (rectius, dovrà) orientarsi a un vaglio sostanziale della preparazione e dell’attitudine del candidato, indipendentemente dalla conformità della soluzione adottata rispetto all’interpretazione giurisprudenziale prevalente, annotando le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato che costituiscono motivazione del voto.
A presidio del «buio interpretativo» è fatto divieto ai candidati di portare testi o scritti, anche informatici, o strumenti di telecomunicazione pena l’immediata esclusione dall’esame. Parimenti è escluso dall’esame il candidato che riceva o non faccia immediata denuncia alla commissione degli scritti o degli appunti che siano stati fatti pervenire in aula. Si arriva addirittura al reato: infatti, chiunque faccia pervenire in qualsiasi modo ad uno o più candidati, prima o durante la prova d’esame, testi relativi al tema proposto, pone in essere il delitto previsto dal comma 10 dell’art. 46 che punisce il fatto con la reclusione fino a 3 anni. Resta, invece, come sempre, del tutto ignorato chi copia l’elaborato altrui.
MA ATTENZIONE!
Gli artt. 48 e 49 recano la disciplina transitoria, stabilendo che per i prossimi due anni l’accesso all’esame di abilitazione resta disciplinato e si effettua, sia per quanto riguarda le prove scritte e le prove orali, sia per quanto riguarda le modalità di esame, secondo le norme previgenti, fatta salva la riduzione del periodo di tirocinio.
Per questo abbiamo deciso di proseguire, almeno per altri due anni, in quel progetto che la casa editrice Simone porta avanti in collaborazione con Avvocati & Avvocati, per offrire ai giovani aspiranti alla toga un volume di pareri, fondati sulle più recenti e significative pronunce di legittimità e i provvedimenti legislativi più rilevanti, da leggere nell’imminenza dell’esame. È ormai acclarato, visto il successo delle cinque esperienze precedenti, che l’idea di abbinare un Editore — riconosciuto come leader nella pubblicazione di testi per la preparazione di esami e concorsi — con quell’associazione forense (membro della Consulta per la Giustizia Europea dei Diritti dell’Uomo) che vanta la certificazione di qualità UNI EN IS O 9001:2008 e che riunisce numerosi studi legali, esperti nei diversi settori del diritto, su tutto il territorio italiano, è risultata vincente.
Quale membro del Consiglio Direttivo e del Comitato Scientifico ho, quindi, ancora una volta, accolto con entusiasmo la proposta di coordinare il lavoro degli Amici e Colleghi di Avvocati & Avvocati, molti dei quali sono illustri autori di pubblicazioni giuridiche oltre che docenti ai corsi di formazione e di aggiornamento.
Ne è nato questo volume che, lungi da ogni pretesa didattica, ha come obiettivo quello di mettere a disposizione dei praticanti l’esperienza di qualificati professionisti con lo scopo di fornire le linee guida per la preparazione delle prove scritte d’esame e forse, perché no, anche di «azzeccare» qualche traccia.
Si tratta di un’opera che, nell’uscire dopo l’ampia preparazione estiva, è stata definita, da più parti, l’overdose del praticante, al quale, dopo aver studiato tutto lo scibile immaginabile, è offerta l’ultima possibilità di esercitarsi.
Come noto, non esiste un metodo, per così dire, codificabile per la corretta redazione del parere richiesto all’esame di avvocato. Molti e variabili sono i criteri di cui ogni commissione tiene conto nella valutazione delle prove; senza dubbio, la chiarezza di esposizione, unita al rigore metodologico nel risolvere il problema giuridico sotteso alla traccia, è indice di capacità.
Non si tratta, allora, di una guida o di un volume che pretenda di insegnare il modello, quanto di un viatico che possa accompagnare l’aspirante avvocato a cimentarsi in alcuni esercizi negli ultimi giorni prima della prova.
Lo schema-base di trattazione proposto segue sempre una specifica struttura: — presentazione del caso;
— istituti rilevanti e riferimenti normativi;
— trattazione;
— conclusione.
Diverso è, invece, l’approccio contenutistico di ogni questione giuridica trattata dal singolo professionista, che rispecchia lo stile personale nell’esercizio della libera professione. È nostra convinzione, infatti, che il parere possa svilupparsi nei modi più diversi a patto che si fornisca adeguata motivazione dei singoli passaggi argomentativi. Anche i candidati potranno, allora, impostare l’elaborato secondo la prassi appresa durante la pratica forense.
Qualche suggerimento, allora, sia pratico che metodologico.
Dopo aver imparato a gestire il tempo a disposizione e a navigare velocemente sui codici per la decodifica dello stato attuale della giurisprudenza, il compito da redigere dovrà essere:
— leggibile (non siamo quasi più abituati a scrivere a mano);
— facile (evitando quello sfoggio di stilistica eloquenza che deriva dalla mera parafrasi delle massime giurisprudenziali rubate ai codici commentati);
— chiaro (facendo particolare attenzione alla sintassi e alla grammatica);
— corto (i compiti di 15 pagine hanno il solo pregio di far addormentare i commissari che devono correggere centinaia di pareri molto simili), con la consapevolezza che non è possibile, né utile, trattare per intero la materia in esame.
A livello di tecnica, si ritiene che il parere debba costituire un sinolo (composto) di sostanza e di forma, secondo la Metafisica aristotelica, da redigere seguendo lo schema dell’acronimo inglese five W’s, one H: where, when, who, what, why-how, previa rappresentazione di tutte le ipotesi possibili.
Buon lavoro, dunque, e un sentito in bocca al lupo… ai futuri colleghi di toga.