Mosè è considerato il fondatore della religione ebraica. Secondo la
Bibbia, è stato il principale protagonista dell'uscita degli ebrei dall'
Egitto, un avvenimento che gli storici collocano verso il 1250-1200 a.C, probabilmente durante il regno del faraone Ramses II. La tradizione gli attribuisce la redazione dei cinque libri della
Torah o
Pentateuco. La Bibbia collega il nome ebraico di Mosè, Moshe, con il verbo masha, «tirare», perché a pochi giorni dalla nascita egli venne «tratto dalle acque del Nilo dalla serva della figlia del faraone» (Es 2,10); in realtà sarebbe un nome di origine egiziana (mosis) e significherebbe «figlio».
Nel racconto biblico della vita di Mosè si possono distinguere tre grandi tappe: 1) Allevato alla corte del faraone dalla figlia di quest'ultimo, un giorno in un cantiere Mosè uccide un egiziano che stava picchiando uno schiavo ebreo, per cui scappa e si rifugia nel paese di Madian, dove si sposa e diventa pastore (Es 2). 2) Dopo aver avuto una rivelazione di Dio nel roveto ardente, Mosè riceve la missione di liberare il suo popolo dal giogo egiziano, riuscendovi in seguito a dieci piaghe inflitte da Dio agli egiziani (Es 3—18). 3) Nel
deserto del Sinai, Mosè riceve la Torah e la trasmette a Israele (Es 19—24). Ma il popolo continua a mormorare e a ribellarsi. Questa mancanza di fiducia in Dio e in Mosè da parte dei figli di Israele provoca una terribile condanna: alla vigilia dell'ingresso nel paese di Canaan, tutti i membri della generazione che i rabbi chiameranno «la generazione del deserto» vengono condannati a errare per quarant'anni nel deserto, in modo che nessuno di loro possa entrare nella Terra promessa (Nm 14,20-38). Mosè dirige il popolo in questa lunga peregrinazione e muore senza poter entrare nella terra di Canaan. Gli succede Giosuè (Dt 34,4-9).
La Bibbia presenta Mosè come il maggiore profeta inviato da Dio a Israele (Dt 34,10). Non solo gode di una particolare intimità con Dio, ma ha anche l'insigne privilegio di restare in sua compagnia sulla cima del monte Sinai per quaranta giorni (Es 24,18) e di vederlo di spalle (Es 33,23). Fra le molte virtù di Mosè spiccano l'
umiltà (Es 3,11; Nm 12,3) e l'intercessione per il suo popolo colpevole (Es 32,11-14; Nm 14,13-19). Mosè è una figura molto ricca, religiosa e politica al tempo stesso: è l'intermediario fra Dio e
Israele, ma è anche il legislatore e l'organizzatore della società formata dai figli di Israele. E tuttavia non concentra nelle sue mani tutte le funzioni, poiché lascia al fratello Aronne l'esercizio delle attività sacerdotali e anche agli anziani la possibilità di svolgere un importante ruolo politico. A volte Mosè appare come un essere quasi divino (come testimonia lo splendore del suo volto che spaventa il popolo in Es34,30, e tuttavia una colpa misteriosa non gli permette di entrare nella Terra promessa (Nm 20,12).
La letteratura rabbinica vede in Mosè il maestro per eccellenza, Moshe rabbenu («Mosè nostro maestro»). Egli ha ricevuto da Dio la Torah scritta, ma anche la Torah orale, che insegna al suo popolo. E’ trasmette la sua conoscenza della Torah orale al suo successore Giosuè. I rabbi sono consapevoli del carattere eccezionale di Mosè, che riuniva in sé le qualità del sapere e del potere. Da questo punto di vista, solo Rabbi, il redattore della Mishna, e rav Ashi, il redattore del Talmud, sono paragonabili a lui. Per alcuni Mosè era il più grande dei profeti perché la sua visione profetica era rispecchiata da una condotta assolutamente integra e pura. Per altri il titolo di principe dei profeti spetta a Samuele. Per alcuni la Torah è un dono fatto personalmente a Mosè (e ai suoi discendenti) come ricompensa dei suoi meriti eccezionali, un dono che egli ha trasmesso, per pura generosità, a Israele. Per altri, il merito principale è di Israele e Mosè è stato solo lo strumento della volontà divina. Un midrash sottolinea il carattere ambivalente di Mosè: umano agli occhi di Dio e divino agli occhi degli uomini. Molti testi riferiscono che, diventato un essere superiore e ricco di enormi meriti, Mosè si rifiuta di morire e accettare la putrefazione del suo corpo. L'angelo della morte fa molta fatica a prendere la sua anima! La forza della sua preghiera è tale da mettere in pericolo l'ordine cosmico e rischiare di anticipare la fine del mondo esistente e l'ingresso nel mondo futuro.