ABRAMO
È il primo dei tre patriarchi (avot), con Isacco e Giacobbe, e il fondatore del popolo ebraico, da cui il suo nome Abraham, «padre di una moltitudine» (Gen 17,5). Chiamato originariamente Abram («padre nobile»), ha ricevuto il suo nuovo nome da Dio quando quest'ultimo ha stabilito fermamente la sua alleanza con lui e gli ha chiesto di praticare la circoncisione. La storia di Abramo è narrata nel libro della
Genesi, dopo il racconto delle origini. Figlio di Terach, discendente di Sem, figlio di Noè, obbedendo all'ordine di Dio egli lascia la sua Caldea natale per andare nel paese di Canaan; Dio stipula con lui un'alleanza, il cui segno sarà la circoncisione (Gen 17,9-13), e gli promette una numerosa discendenza. Abramo si sposta con le sue greggi nel paese di Canaan, preferendo fra tutti gli altri luoghi Mamre e Bersabea. Ha anzitutto un figlio dalla schiava egiziana Agar, Ismaele, che sarà l'antenato degli Carabi - con il nome di Isma'il. Ma l'erede della promessa è Isacco, il figlio nato miracolosamente da Sara già avanti negli anni e annunciato dalla visita di tre misteriosi viandanti (Gen 18,1-10) dopo il comandamento della circoncisione dato da Dio. Sottoposto a un'ultima terribile prova da Dio, che gli chiede di sacrificare il suo «unico figlio», Isacco, egli vede fermare il suo gesto all'ultimo istante dall'« Vangelo del Signore» (Gen 22). Il termine aqeda indica, in ebraico, la «legatura» di Isacco, quello che viene abitualmente chiamato il suo sacrificio, sul monte Moria. Nella tradizione biblica, Abramo diventerà il modello del giusto che obbedisce per fede (Sap 10,5; Sir 44,20). Lo stesso nel
Nuovo Testamento (Eb 11,17; Gc 2,21).
Nella tradizione rabbinica, Abramo occupa un posto fondamentale. Egli ha rifiutato i culti idolatrici della sua famiglia, in particolare del padre Terach, e per questo i caldei lo hanno gettato in una fornace. La sua adesione al monoteismo ne fa, secondo l’haggada, l'archetipo di tutti i proseliti. Nel corso della sua esistenza Dio lo ha messo alla prova dieci volte; la decima è stata la prova dell’aqeda. In quest'episodio, Abramo incarna la forma più alta della fede ebraica: serve Dio senza l'intenzione di ricevere da lui la benché minima ricompensa e gli sacrifica ciò che ha di più caro. Egli accetta senza riserve la richiesta divina e manifesta una totale fiducia in Dio. La «legatura» giocherà un ruolo molto importante nella pietà e nei riti dell'
ebraismo. Nella liturgia ebraica, Vaqeda ricorda a Dio la pietà senza incrinature del patriarca e la misericordia che Dio ha dimostrato a Isacco. A Rosh ha-shana, dopo la lettura dell’aqeda si suona lo shofar in ricordo dell'ariete sacrificato da Abramo al posto del figlio. Abramo è il patriarca associato con la misericordia (hesed) e sarebbe all'origine della preghiera del mattino: del resto, il suo nome, come quello degli altri patriarchi, viene ricordato nella prima benedizione dell’amida. L’haggada ricorda inoltre l'affezione e la sollecitudine che Abramo ha provato verso il suo figlio primogenito, Ismaele. Abramo occupa un posto preminente anche nell'
escatologia rabbinica: secondo certi rabbi, i giusti, dopo la morte, vanno presso Abramo ed egli ritornerà a liberare dalla Geenna i figli di Israele che lì soffrono. Nell'
aldilà Elia lo sveglia e gli lava le mani, perché possa pregare. Infine, l’haggada insiste sulla relazione fra Abramo e tutta l'umanità, perché le sue tre mogli sono discendenti dei tre figli di Noè.
Cristiani e
musulmani vedono in lui il loro «padre nella fede», i musulmani attraverso il segno della circoncisione.