Il 22 novembre 1916 nasce a Coderno di Sedegliano David Maria Turoldo, nono figlio di Giovanbattista e Anna Di Lenarda. Viene battezzato con il nome di Giuseppe. Trascorsi gli anni dell' infanzia inizia la sua prima formazione nella piccola casa di formazione dell'Ordine dei Servi nel Triveneto. Nel convento di Santa Maria del Cengio, a Isola Vicentina, il 2 agosto 1935 emette la sua prima professione religiosa assumendo il nome di fra David Maria, nome con cui verrà chiamato nel seguito della sua vita. Completati gli studi umanistici e teologici tra Venezia e Vicenza, riceve il presbiterato nell'agosto 1940, raggiungendo il convento di Santa Maria dei Servi in San Carlo a Milano, dove inizia la sua continua ed appassionata testimonianza. Nel travaglio degli anni '43-45 si impegna attivamente nella resistenza lombarda, collaborando ad un periodico clandestino dal titolo "L'Uomo" , diffuso dal convento dei Servi. "Per una ontologia dell'uomo" è altresì il titolo significativo della sua tesi di laurea conseguita all'Università Cattolica sotto la guida di Gustavo Bontadini nel 1946.
David M. Turoldo acquistò notorietà in Italia tra il 1948 e il 1952: Bontadini pubblicò il volumetto di liriche "Io non ho mani"; nel 1951 uscì da Garzanti "La terra non sarà distrutta"; l'anno seguente Turoldo entrava nella prestigiosa colla dello "Specchio" di Mondadori con un secondo volume di liriche "Udii una voce"; nel 1952 ancora veniva incluso nella "Antologia della poesia religiosa italiana contemporanea" edita da Vallecchi.
Questo primo itinerario poetico si accompagna ad una intensa attività culturale di confronto e di dialogo che ha il suo centro propulsore in un'istituzione chiamata la " Corsia dei Servi"; i temi dibattuti hanno larga risonanza nelle persone e nei circoli tesi ad un'opera di rinnovamento e impegnati in una progettualità di largo respiro.
Il fondo contenutistico che accompagna l'attività di Turoldo è il tentativo di superare una visione che coincide con uno schema culturale, con un progetto ideologico, per incontrare l'uomo concreto, il suo quotidiano, la sua storia; è la necessità imprescindibile di una "relazione" che s'impone nel tentativo di superare le dicotomie, che lo stesso pensiero cristiano sembrava avallare, tra individuo ed assoluto, modo dell'uomo e mondo di Dio.
L'incarnazione, cardine dell'evento cristiano, a cui si riferisce Turoldo è infatti una sintesi, una raggiunta composizione; in forza di essa deve essere possibile il superamento di ogni divisione e la riconduzione a rinnovata armonia di ogni dualismo.
Pur rimanendo nello stretto ambito del mondo cattolico, è interessante notare l'influenza che questa prospettiva ha esercitato nella preparazione del back-ground culturale che rese possibile e recepibile il Concilio Vaticano II°. Esso, con papa Giovanni XXIII°, si rivolse all'uomo prima ancora che al cristiano, al mondo nella sua universalità, prima ancora che alle particolari confessionalità.
Turoldo è in sintonia con la stima e la fiducia per il cammino dell'uomo, di ogni uomo nella storia, che il concilio esprime e s'impegna per una "ricomposizione" suggerita dall'orizzonte evangelico, concepito come apertura e rischio, come momento vitale, lontano da immobilismo irretito in formule e concetti. E' questa la radice del fascino che esercitava la sua figura sulle persone più diverse e la ragione prima della sua testimonianza civile e politica.
L'attività di prosatore fecondo e mordace, di notista con delle rubriche pressoché fisse su giornali e riviste di risonanza nazionale, obbedivano a questo servizio all'uomo e alla fatica storica d'una solidarietà-comunione.
Gli orizzonti più battuti erano la denuncia profetica e il richiamo dell'utopia. Fedele lettore della Bibbia, Turoldo osserva gli eventi a partire dal progetto di Dio sull'uomo e sulla storia e trovava congeniale, anche alla sua forza temperamentale, la denuncia di ogni sopruso, specialmente se strutturale, radicato quindi nel cuore delle istituzioni e nelle perverse articolazioni economiche.
Le attenzioni di Turoldo vanno quindi oltre i confini nazionali e si allargano al mondo più vasto dove l'oppressione si fa particolarmente spregiativa e violenta della dignità dell'uomo. L'incontro con Ernesto Cardenal e la valorizzazione di Rigoberta Menchù, il canto in onore di Oscar Romero assumono il valore emblematico di segno profetico.
L'impegno per "Nomadelfia" , "piccola città" con la fraternità come unica legge, all'inizio degli anni '50; la prima esperienza a Fontanella di Sotto il Monte, nella seconda metà degli anni sessanta, che raccoglieva persone anche atee e di religione islamica, avveniva all'insegna di un "ecumenismo" radicale dove le divisioni della storia si potevano trasformare nell'incanto dell'utopia.
La stessa memoria friulana, a cui Turoldo spesso si richiama, obbedisce, forse, all'istanza della profezia e dell'utopia. L'esperienza della povertà è per lui fonte di ricchezza interiore, nutrita di libertà da se stessi, di attenzione all'essenziale, capace di cogliere una priorità di valori e di servirli con impensata energia: è in nome della povertà come libertà che gli uomini rinunciano a "possedere", intuiscono il mistero dell'esistenza, diventano capaci di convivenza fraterna. Turoldo universalizza la dura esperienza di un popolo indicando, nei valori che custodisce, un potenziale "progetto" di convivenza fra i popoli. La produzione poetica degli anni della sofferenza fisica, "Canti ultimi" (Garzanti 1991) e " Mie notti con Qohelet" (Garzanti 1992), costituiscono un richiamo culturale fra i più apprezzati di tutta la sua vasta produzione. In essi l'uomo si confronta e si scontra con il mistero dell'essere, della vita, della morte con una nudità radicale. Le stesse comuni risposte della fede si oscurano e tutto sembra approdare ad un deserto dove "il già detto" non serve più in nessun senso e in nessuna direzione. Ma anche qui Turoldo finisce per essere propositivo: "sperare è più difficile che credere", diceva in un'intervista. Possiamo dire che la sua opera ha offerto seri motivi di speranza a versanti della cultura che si esauriscono in venature nichiliste.
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