La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede
(Problemi aperti) [Libro in brossura]EAN 9788849825619
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La Chiesa deve raccogliere il grido di quei giovani che si sono allontanati da lei, ma non per questo non sono ancora in cerca del messaggio cristiano o non ne hanno bisogno. È questo il cuore del vol. di don Armando Matteo, che, in quanto assistente nazionale della FUCI con i giovani ha a che fare quotidianamente. Guardando alla situazione sociale, l’a. spiega che l’eterno giovanilismo in cui siamo immersi ha fagocitato tutto, anche gli spazi per chi è giovane realmente. Ma apre a una prospettiva di speranza: la Chiesa si salva solo se guarda alla generazione più recente.
Tratto dalla rivista Il Regno 2010 n. 10
(http://www.ilregno.it)
Armando Matteo è un teologo sacerdote già assistente nazionale della FUCI: immaginiamo pertanto che tale scritto nasca dalla frequentazione diretta del mondo giovanile. L’A. cerca di capire le cause, senza troppi giri di parole, del difficile rapporto tra i giovani e la fede. Questa è la sua ipotesi di lavoro: «Nella sua relazione con i giovani, la Chiesa subisce l’influenza della malsana logica che struttura i rapporti intergenerazionali nella società civile: una logica scandita da un continuo parlare dei giovani e dei loro problemi cui corrisponde un altrettanto accumulo di privilegi nelle mani degli adulti, persi nei loro riti e nei loro miti, ben saldi ai loro posti di comando, incapaci ormai di prendersi cura del mondo giovanile ma più semplicemente di guardarlo in faccia» (8).
Detto sinteticamente: al di là di tanta retorica sull’attenzione ai giovani, dentro e fuori la Chiesa, gli adulti non sembrano veramente interessati al mondo giovanile. Nel primo capitolo Perché in Chiesa ci sono sempre meno giovani, l’A. prende in considerazione il mondo giovanile e la sua religiosità. La sua analisi si spinge sino a comprendere i motivi culturali, che stanno alla radice di questo profondo scollamento tra cultura occidentale e Chiesa (ad es. il crollo della visione platonica della realtà; l’imporsi della tecnica; lo svuotamento delle categorie di “autorità”, “verità”, “sostanza”; il diffondersi di una cultura in cui l’uomo impara a cavarsela da solo, senza Dio; la rivoluzione del sessantotto). Complessivamente, il dato appare allarmante: quella di oggi è «la prima generazione incredula della storia» (28) ed è a rischio non solo la fede dei giovani bensì la trasmissione della fede alle generazioni successive. Un bel problema per la Chiesa, che «senza i giovani è destinata a scomparire, almeno in Europa» (83).
Nel secondo capitolo, Perché i giovani non vanno più a messa, l’A. prova a farci accettare l’idea che qualcosa vada cambiato nella prassi pastorale delle nostre comunità. Non è probabile che un giovane si avvicini alla Chiesa, se questa sa offrirgli solo «rosari e messe per i morti» (31) o proposte qualificate ma solo per .il mondo dell’infanzia. (vedi il catechismo e l’oratorio). Uno sguardo complessivo sulle nostre parrocchie suggerisce che queste non siano ancora state attraversate da «strutturali modifiche in relazione al difficile rapporto tra i giovani e la fede» (37). Anzi, «l’impressione è quella di una Chiesa non ancora seriamente appassionata dell’annuncio del Vangelo alle nuove generazioni » (37). Se è vero che il mondo non sta cambiando ma «è già cambiato», allora «perché non dovrebbe cambiare anche la Chiesa?» (39). Si tratta di «trasformare le comunità ecclesiali [...] in “luoghi” ove si impara a credere e ove si impara a pregare [...] Luoghi di generazione alla fede. Luoghi a misura di quei laboratori della fede, auspicati da Giovanni Paolo II» (42). Il terzo capitolo – Quant’è bella giovinezza - ritorna sull’atteggiamento degli adulti nei confronti dei giovani, che appare caratterizzato dal “risentimento”. Se è vero che il mondo giovanile è pervaso da un profondo senso di nichilismo e che rischia di bruciare le sue migliori energie, solo l’intervento degli adulti potrà aiutarlo. Ma per fare questo, essi devono uscire dal loro “narcisismo” e tornare ad occuparsi dei giovani, assumendosi nuovamente il compito dell’educazione.
Si rivela necessaria un’inversione di marcia, che restituisca ai giovani le prerogative sottratte: il mondo degli adulti è chiamato a riconsegnare ai giovani spazi di azione e di responsabilità, ad interessarsi “veramente“ a loro e dare testimonianza di «una vita dura ma bella, faticosa ma ricca di opportunità, fragile ma segnata dal brivido dell’eternità» (61). L’ultimo capitolo, Una fede giovane, costituisce la parte più propositiva dello scritto. Colgo solo tre suggestioni. Per prima cosa, è necessario prendere sul serio il fatto che molti giovani partono da zero o quasi, per quanto riguarda la fede, e devono essere introdotti ad essa quasi come fosse la prima volta. La lettura della Bibbia, attraverso laboratori per mezzo dei quali riapprendere l’essenziale della fede, può essere l’approccio più adeguato e privilegiato, cui credere e su cui puntare. In secondo luogo, occorre tener presente che .è tempo di dieta., ovvero occorre razionalizzare e gerarchizzare gli interessi. Non si può continuare a interessarsi di tutto e di tutti.
L’idea è quella di far fruttare al meglio le risorse a disposizione per l’evangelizzazione, mettendo in conto di cambiare strutture e modi di presenza secolari. Non si parla forse di .fedeltà creativa.? In terzo luogo, tenuto conto della tipologia della gioventù odierna, il modello cronologico della vita di fede (battesimo, prima comunione, cresima, matrimonio...) va riconfigurato. Si dovrebbe passare a un modello nuovo (un modello kairologico), che propone «iniziative personalizzate e personalizzabili, grazie alle quali ciascuno possa calibrare la propria relazione al volto di Dio prima che alla dottrina, alla causa del Regno prima che alle questioni morali, al senso della prossimità prima che alla ritualità ecclesiale» (78). Occasioni, in definitiva, per far ripartire cammini. Esempi del genere, a ben guardare, ce ne sono e il Matteo li cita. Degna di nota, infine, è anche la stimolante bibliografia ragionata, in calce al volumetto.
Certamente, lo studio del Matteo è “pro-vocante” e come tale va letto. Forse è un po’ troppo “teologhese” e dipinge a colori troppo scuri il quadro della fede giovanile (non è per tutti così e non è vero che non si proponga nulla di significativo nelle nostre parrocchie per i giovani). Inoltre, la parte propositiva appare un po’ carente. Tuttavia, il testo offre buon materiale per fare verifica e per immaginare qualcosa di nuovo per i giovani di oggi. Soprattutto, mi pare del tutto condivisibile il forte invito agli adulti di tornare ad assumersi l’onere dell’educazione dei giovani.
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 1/2012
(www.rassegnaditeologia.it)
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