La nascita dell'ateismo
-Dai clandestini a Kant
(Saggi e proposte)EAN 9788821307744
La «nefasta separazione»: è questa l’espressione usata da Giovanni Paolo II per indicare quella traiettoria che di fronte alla giusta distinzione tra teologia e filosofia ha preteso di separare quest’ultima dalla prima. Tale frattura determinatasi nel tardo Medioevo diviene, dopo la speculazione cartesiana, classico modo di vedere Dio come concetto che perde la sua centralità per divenire tutt’al più garante di un sistema deduttivo come è nel caso dei razionalisti, oppure, come afferma l’empirismo, neanche più questo. L’a. con una disamina rigorosa, lucida, chiara raccoglie i vari tasselli di un mosaico non sempre facile da afferrare. Con tale quadro d’insieme permette di far capire le linee «ufficiali» e «clandestine», vale a dire una pista indiretta e una più esplicita tramite le quali si può penetrare il fenomeno dell’ateismo che nella divisione tra teologia, filosofia e scienze positive trova la sua ragion d’essere.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2011 n. 14
(http://www.ilregno.it)
L’epoca moderna ha visto il sorgere e il progressivo affermarsi di una visione della realtà in cui Dio è stato dapprima marginalizzato e poi eliminato. Una modernità che ha costruito buona parte della sua identità sul principio dell’etsi Deus non daretur, dimentica però di quanto Grozio scriveva subito dopo, ovvero il grave peccato nel trasformare una semplice ipotesi in un’affermazione di fatto.
Ad ogni modo la distinzione tra fede e ragione, tra filosofia e teologia, diventa nella modernità nefasta separazione e per quanto la modernità non sia pensabile senza il cristianesimo, i suoi sentieri paiono prendere direzioni opposte a quelli segnati dall’esperienza cristiana. Certo l’autore è consapevole che non tutta la modernità può essere esaurientemente descritta e racchiusa nel filone del razionalismo il cui ultimo esito sarebbero i sistemi atei del sec. XIX; non a caso egli ripercorre la posizione di Del Noce, che ha sottolineato l’esistenza di una modernità “altra” e fedele alla metafisica d’ispirazione cristiana, un filone che, seppur culturalmente minoritario e come una sorte di fiume carsico, partendo da Cartesio ha visto un ripensamento del cristianesimo, passando attraverso snodi decisivi come il Seicento francese e la tradizione italiana tra Vico e Rosmini.
Comunque, seppur la lettura del volume lascia a tratti intendere che poco o nulla si salva o rimane al di fuori della modernità razionalista (con l’unica eccezione di Pascal), l’autore intende ripercorrere la genesi dell’ateismo moderno tra prospettiva metafisica e questione etica con il problema della teodicea, cioè della conciliabilità tra la fede in un Dio creatore e provvidente, e il dato oggettivo di un mondo così puntellato dal male e dal dolore. Ora i primi passi dell’ateismo moderno si riscontrano nella tradizione umanistica e libertina rinascimentale. Non a caso la difesa della “ortodossia cristiana” della prospettiva cartesiana si costruisce negli autori sul presupposto che il libertinage érudit sia stato il vero e principale avversario di Cartesio.
Scetticismo radicale, relativismo, rifiuto della provvidenza e dell’immortalità dell’anima definiscono il ritratto del libertino, ma già in alcune filosofie italiane del Cinquecento si fa avanti una prospettiva contestatrice dei capisaldi del pensiero cristiano: si pensi alla dottrina della mortalità dell’anima di Pomponazzi o al panteismo di Bruno. Tuttavia una ricostruzione del sentiero che ha condotto all’ateismo non poteva non partire da colui che è l’inizio della modernità, R. Descartes, «in cui ci sono elementi per vedere tanto il rinnovatore dello spiritualismo cristiano moderno quanto l’autore di una fisica meccanicistica adattata a forza ad essere adeguata alla religione cristiana» (181).
L’autore vi dedica il cap. 2 (cf. 25-49), eloquentemente intitolato “l’equivoco Descartes”, in cui vengono ripercorse le prove dell’esistenza di Dio, le accuse di scetticismo e di materialismo ed anche due autori ad esempio della ricezione teologica di Descartes (Jüngel e Levinas), ricezione che sempre oscilla tra un giudizio negativo o lo spostamento in avanti nel tempo di quegli aspetti problematici che si pretende attribuire a Cartesio. Il cap. 3 mette a tema il Dio dei filosofi materialisti con grande spazio per Spinoza, «pietra miliare dell’ateismo moderno, per quanto possa sembrare paradossale definire ateo un pensiero che afferma che tutto è Dio» (51); nella rassegna è inclusa anche la Wirkungsgeschichte delle idee spinoziane che animano il dibattito e coinvolgono autori come Mendelssohn fino a Jacobi, che accuserà di ateismo e panteismo le concezioni di Dio tra cui quelle di Fichte e Schelling.
Nel capitolo sono ricostruite anche le posizioni di Hobbes e d’Olbach sul tema di Dio. Il cap. 4, che occupa quasi metà del volume, s’intitola Il Dio dei razionalisti (cf. 77-164). Nella rassegna delle figure la prima è rappresentata da Malebranche, che si è espresso sull’esistenza di Dio partendo da una base agostiniana, e che tanto considerava scontata l’esistenza di Dio quanto alcuni autori clandestini sono partiti proprio dalla sua filosofia per dare vita ad una filosofia anticristiana. Se nell’indicazione della prova migliore per dimostrare che Dio esiste l’oratoriano è strettamente cartesiano (la prova apriori che fa leva sull’idea dell’infinito), egli si separa da Cartesio su un punto decisivo, cioè la libertà di Dio. Mentre per Cartesio Dio è creatore anche delle verità eterne (se avesse voluto avrebbe potuto crearne di diverse), per Malebranche pure Dio si sottomette all’ordine in forza della sua santità e dunque non è libero nella creazione delle verità eterne. In realtà il vero banco di prova per l’esistenza di Dio rimane la questione del male.
E giustamente l’autore dopo Bayle dà ampio spazio a Leibniz e alla sua teodicea sulla quale si riverserà tutto il sarcasmo di Voltaire. Sul versante della cultura inglese successiva allo scisma anglicano, dopo Herbert di Cherbury, sostenitore con altri della conformità tra ordine razionale e ordine rivelato, il dibattito sull’esistenza di Dio sarà caratterizzato da Newton (con l’argomento del disegno) e da Locke a cui viene dato ampio spazio assieme ai liberi pensatori o deisti, a Hume e all’illuminismo francese (Voltaire e Rousseau). Kant conclude la rassegna: l’autore ne ripercorre l’agnosticismo con la demolizione della teologia razionale che incontriamo nella prima Critica e quindi la prospettiva teologica della Critica della ragion pratica basata sul postulato dell’esistenza di Dio, prospettiva ulteriormente sviluppata ne La religione entro i limiti della sola ragione dove il filosofo parte dal dato del male radicale, ovvero dalla corruzione del fondamento soggettivo della moralità, che è possibile vincere guardando all’ideale morale incarnato dall’uomo (e solo uomo per Kant) Gesù.
In una modernità in cui le crepe introdotte dall’ultima scolastica nella sintesi tomista si allargheranno sempre più fino a produrre una voragine che Cartesio non riuscirà a contenere, semmai contribuì ad accrescere – perché la sua «razionalizzazione esasperata del concetto di Dio, senza le cautele di Tommaso e del suo concetto di analogia, finisce con il fare il gioco degli scettici» (182) – solo la via percorsa da Pascal poteva tutelare Dio dalla riduzione a concetto esclusivamente filosofico, compito a cui il pensatore francese assolve reintroducendo, però, una netta alternativa tra Dio biblico e Dio dei filosofi.
In un’epoca di ragioni ipertrofiche Pascal rappresenterà un outsider, come lo sarà Kierkegaard nel tempo della modernità compiuta, quando il Dio cristiano sarà fagocitato nella trasposizione razionalistica che dissolverà il cristianesimo in “strutture dialettiche razionalmente concepite” (cf. Fides et ratio 46). Il testo di Curci ci aiuta a ricostruire un filone importante del pensiero moderno e sarà ancora più utile se, leggendolo, ci ricorderemo che la modernità non è solo il tempo e il luogo della nascita dell’ateismo.
Tratto dalla rivista Lateranum n.1/2012
(http://www.pul.it)
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