Alcide De Gasperi nacque il 3 aprile 1881 a Pieve Tesino, in Trentino, compreso a quel tempo nei territori dell'Impero Austro-Ungarico. Dopo la formazione dello Stato unitario, si instaurò nel paese una forte coscienza culturale e nazionale italiana. I vari gruppi politici portavano avanti, con posizioni e strategie diverse, una battaglia autonomistica.
Fin da giovanissimo, De Gasperi partecipò ad attività politiche di ispirazione cristiano-sociali: nel periodo degli studi universitari, a Vienna e ad Innsbruck, fu leader del movimento studentesco e protagonista delle lotte degli studenti trentini nella battaglia a favore di una Università italiana. Incarcerato con altri manifestanti in occasione dell'inaugurazione della Facoltà giuridica italiana a Innsbruck, dopo gravi incidenti fra studenti di lingua italiana e tedesca, venne rilasciato venti giorni dopo. Quei fatti contribuirono a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica italiana ed europea sulla condizione della minoranza italiana nell'Impero asburgico.
Il periodo dell'Università fu decisivo per la formazione umana e politica degasperiana: vi si rintracciano la sua avversione alla propaganda nazionalistica; la sua sensibilità per la questione sociale, ispirata all'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII; il rifiuto di ogni radicalismo in politica; la sua tendenza a cogliere le questioni essenziali; un atteggiamento pragmatico e possibilista che non era mai rinuncia ai principi né passiva acquiescenza agli eventi, ma attenzione ai programmi concreti. Una fede profonda ne caratterizzerà da allora vita ed attività. Il cattolicesimo rappresentava per lui un elemento "integrale" che riguardava tutta la vita nella sua intera struttura, "una regola fìssa..., l'anima e il midollo di tutte le cose".
Importanti furono in quegli anni la conoscenza della storia e delle vicende del partito del "Centro" germanico e del Volksverein - la più importante struttura sociale ed educativa costituita fino ad allora dai cattolici in Europa -, dell'attività e di esponenti del movimento cristiano-sociale austriaco, gli incontri avuti a Roma nel 1902 con esponenti del movimento democratico cristiano italiano.
Dopo la laurea, ottenuta nel 1905, intensificò l'attività giornalistica, assumendo la direzione de "La Voce Cattolica", sostituita dal settembre 1906 da "II Trentino"; continuò l'attività sindacale - per la quale rivendicava una autentica autonomia - fondando per primo in Trentino una organizzazione di classe non socialista.
In quegli anni iniziò anche il suo impegno nell'Unione Politica Popolare del Trentino (U.P.P.T.), fondata nel 1904. L'autonomia politica del laicato che distingueva il movimento cattolico trentino contribuì notevolmente alla sua formazione. Quel movimento non era, infatti, caratterizzato dall'ossequio alla regola del non expedit dettata dalla Chiesa, dalla non partecipazione, per trenta anni, alle elezioni politiche in segno di protesta per la violazione dei "diritti imprescrittibili" della Santa Sede da parte dello Stato unitario e liberale.
L'intensa opera svolta nel campo giornalistico e sindacale cattolico, la costante difesa della italianità del Trentino in polemica con il pangermanesimo del Tiroler Volksbund favorì, nel dicembre 1909, la sua elezione nel Consiglio comunale di Trento, città autonoma dell'Impero.
L'attività svolta dai cattolici trentini sul piano sociale ed economico contribuì all'affermazione della supremazia del loro movimento, nel primo decennio del Novecento, anche su quello politico. Nelle elezioni del 1911 per il Reichsrat, i popolari - l'Unione Politica Popolare e il Partito Popolare Trentino, costituito nel 1905 - riuscirono ad eleggere sette loro candidati, fra i quali De Gasperi.
A Vienna, De Gasperi continuò il suo impegno per difendere l'identità italiana del Trentino e i suoi valori, per l'istituzione di una Facoltà giuridica ed economica di lingua italiana nell'Università della capitale dell'Impero, per tutelare gli interessi della gente della sua terra.
L'assassinio dell'arciduca ereditario d'Austria, Francesco Ferdinando, e di sua moglie, a Sarajevo, il 28 giugno 1914, mutò tragicamente lo scenario europeo. Il 28 luglio l'Austria dichiarò guerra alla Serbia. Nei giorni successivi scattò il meccanismo delle alleanze: alle mobilitazioni degli eserciti dei vari paesi europei seguirono le dichiarazioni di guerra. Nel giro di pochi giorni cominciò così la guerra europea, la "grande guerra". Dal 1917 vi avrebbero preso parte anche gli Stati Uniti. Senza esito rimasero gli appelli del Papa contro "l'inutile strage".
Fra le potenze impegnate nei due opposti campi della Triplice Alleanza e della Triplice Intesa, l'Italia - alleata dell'Austria e della Germania, ma in contrasto con l'Austria per la questione delle terre irredente e per contrapposti interessi nei Balcani - proclamò inizialmente, il 3 agosto 1914, la propria neutralità, avvalendosi di una interpretazione letterale del trattato della Triplice, che non aveva carattere offensivo.
De Gasperi, che aveva considerato la Triplice Alleanza una garanzia di pace, continuò ad occuparsi del futuro del Trentino. Con la guerra la questione territoriale era divenuta di attualità. Nel periodo della neutralità italiana si incontrò così, a Roma, con l'ambasciatore austriaco, Karl Macchio, con il pontefice Benedetto XV e, in modo del tutto riservato, con il ministro degli Affari Esteri del Regno d'Italia, Sidney Sennino, con il quale valutò le condizioni del Trentino e l'esito di un eventuale plebiscito.
L'entrata in guerra dell'Italia, il 24 maggio 1915, a fianco delle potenze della Triplice Intesa, mutò notevolmente il quadro delle alleanze e lo scenario militare, impose altri temi al dibattito politico. Anche nell'Impero austroungarico le condizioni della lotta politica furono profondamente trasformate. A Trento fu pubblicato, il 22 maggio, l'ultimo numero de "il Trentino", imbiancato dalla censura. De Gasperi decise così la sospensione delle pubblicazioni prima che il giornale venisse sequestrato.
Negli anni del conflitto, quando il Parlamento di Vienna rimase chiuso - dal 25 luglio 1914 al 30 maggio 1917 -, De Gasperi continuò una intransigente opposizione ad ogni forma di "germanizzazione", ad un programma preordinato di "sradicamento dell'elemento italiano con metodi militari". Allo scoppio del conflitto una parte della popolazione trentina era stata infatti trasferita e condotta nei campi di internamento. Un mandato di cattura era stato emesso, il 1° marzo 1916, anche nei confronti del vescovo di Trento, mons. Endrici, poi trasferito verso l'interno del paese sotto uno stretto controllo della polizia.
Dopo alterne vicende sui campi di battaglia, il 24 ottobre 1918, esattamente un anno dopo la disfatta di Caporetto, gli italiani passarono all'offensiva sul Grappa e sul Piave. L'impero austro-ungarico era già in piena dissoluzione. L'Assemblea politica dei rappresentanti delle minoranze nazionali dell'Impero, riunita a Praga il 17 maggio 1918, aveva chiesto per le nazionalità l'emancipazione e il diritto di autodecisione. Al Parlamento di Vienna, De Gasperi dichiarava l'il ottobre 1918 che la popolazione del Trentino si attendeva dal trattato di pace il riconoscimento del principio nazionale e la sua effettiva applicazione agli italiani che vivevano nell'Impero.
Le truppe italiane entrarono a Trento il 3 novembre 1918, mentre De Gasperi si trovava a Berna con altri deputati del Trentino alla ricerca di aiuti alimentari per le popolazioni italiane dell'Impero e per consegnare all'ambasciatore italiano in Svizzera un promemoria con le loro richieste in vista delle trattative per l'armistizio.
Richiamati a Roma dal governo, De Gasperi e gli altri ex deputati al Parlamento austriaco, giunsero nella capitale il 6 novembre dopo un viaggio trionfale, acclamati dalla folla che vedeva in loro il simbolo del ricongiungimento alla patria delle terre irredente.
La prima guerra mondiale ha costituito una grande cesura anche nella storia italiana; contribuì ad accelerare la crisi dei precedenti equilibri, del precario assetto sociale. Nel dopoguerra la crisi politica fu intrecciata così con la crisi sociale. Il mito della Rivoluzione d'Ottobre orientò il Partito Socialista su una posizione intransigente e rivoluzionaria. La classe dirigente liberale non riuscì, d'altra parte, ad innestare sul vecchio impianto istituzionale procedure tipiche di una democrazia di massa fondata sui partiti. La presenza di nuove formazioni politiche, in particolare del Partito Popolare Italiano, fondato il 18 gennaio 1919, contribuì a modificare profondamente il sistema politico.
Nelle elezioni politiche del 1919, le prime a suffragio universale maschile e con il sistema proporzionale, la galassia liberal-democratica si trovò in minoranza nella Camera dei Deputati: la maggioranza dei seggi fu conquistata dal Partito Socialista e dal Partito Popolare, impossibilitati comunque ad allearsi per antitetiche e non componibili diversità ideologiche e programmatiche.
De Gasperi iniziò la vita politica in Italia negli anni del "biennio rosso", della radicalizzazione dello scontro sociale, delle polemiche sulla "vittoria mutilata" e della crisi dello Stato liberale.
Aderì fin dalle origini al Partito Popolare di don Luigi Sturzo. Al primo congresso, a Bologna, il 14 giugno 1919, De Gasperi, "che rappresentava il Trentino riunito all'Italia", venne invitato a presiedere i lavori. La sua elezione alla presidenza dell'Assemblea volle significare un riconoscimento della sua attività negli anni precedenti, della storia e delle dure lotte sostenute dall'Unione Politica Popolare Trentina. Dal successivo congresso di Napoli (8-11 aprile 1920) fece parte del Consiglio Nazionale e della Dirczione del partito.
La sua partecipazione alla vita parlamentare fu invece condizionata dalla ratifica del trattato di Saint Germain che sanciva l'annessione delle nuove provincie al Regno d'Italia, avvenuta il 26 settembre 1920. Alla Camera, così, potè essere eletto soltanto nelle elezioni del 15 maggio 1921, ma vi assunse subito un ruolo di rilievo. Nella seconda legislatura del dopoguerra, la XXVI del Regno, fu eletto Presidente del Gruppo parlamentare popolare, Presidente della Commissione permanente delle terre liberate e redente, Vice Presidente della Commissione permanente Affari Interni per l'esercizio 1921-1922.
L'affermarsi del movimento fascista, fondato da Mussolini nel marzo 1919, e poi dello squadrismo, mutarono in quel periodo, metodi e connotati della lotta politica. La classe dirigente sottovalutò la realtà del fenomeno fascista, non comprese la portata eversiva del progetto politico mussoliniano, sia per quanto riguardava la cultura che le istituzioni liberali. Legittimato dalla inclusione nei "Blocchi nazionali" del 1921, costituiti su indicazione di Giolitti in funzione antipopolare e antisocialista, il fascismo riuscì ad organizzarsi, pur con una ridotta rappresentanza parlamentare, nella parte più progredita del paese e ad affermarsi con la violenza contro le organizzazioni del movimento operaio e contadino.
L'ascesa al potere di Mussolini, il 28 ottobre 1922, fu favorita dall'incertezza e dalle divisioni della classe dirigente liberale, dalla più generale mancata comprensione del carattere "rivoluzionario" del movimento fascista, dalla divisione del movimento operaio in tre diversi partiti, dall'impossibilità di un'alleanza fra popolari e socialisti per l'antitesi delle loro ideologie e dei loro programmi, dalla mancata firma del Re del decreto di stato d'assedio, già diramato ai comandi territoriali, alla vigilia della "marcia su Roma".
Al suo primo governo parteciparono anche alcuni rappresentanti del Partito Popolare, due ministri e tre sottosegretari. Al gruppo parlamentare parve "urgente il sanare la larga ferita aperta nell'organismo statale", collaborare senza "nessuna confusione di dottrine" cercando di salvare gli istituti fondamentali dello Stato liberale. La collaborazione durò pochi mesi, fino al Congresso di Torino del Partito Popolare, nel 1923: la formazione della "Milizia volontaria per la sicurezza nazionale", la ripresa delle violenze squadriste fasciste contro gli oppositori, gli indirizzi e i comportamenti del fascismo che intendeva stravolgere le istituzioni liberali per piegarle ad un disegno autoritario dimostrarono che la prospettiva della normalizzazione era irrealistica.
Per assicurarsi la maggioranza del Parlamento, Mussolini propose poi una nuova legge elettorale che assegnava alla lista vincente, che avesse ottenuto il 25% dei voti, i due terzi dei seggi e alle minoranze il terzo residuo, da dividere proporzionalmente. La battaglia parlamentare alla Camera portò, nel luglio 1923, all'approvazione della riforma elettorale. De Gasperi vi si oppose senza successo. Il Partito Popolare era, in quel periodo, indebolito anche dalle dimissioni che Sturzo era stato costretto a dare da una campagna di stampa fascista e dalle pressioni dei vertici vaticani. Nella votazione, poi, il gruppo parlamentare popolare si divise, come altri gruppi di opposizione. L'approvazione del disegno di riforma della legge elettorale al Senato, nel novembre 1923, significò "il suicidio del Parlamento"; favorì la trasformazione dello Stato liberale in una dittatura.
Nelle elezioni politiche del 1924, la lista fasciata ottenne, in un clima di violenze, il 65% dei voti. Il Partito Popolare scese da 107 a 39 seggi. L'onorevole Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, che denunciò alla Camera le violenze e le manipolazioni che avevano falsato l'espressione del voto popolare, venne sequestrato e assassinato.
Mussolini e il fascismo sembrarono isolati nel paese. I deputati dei più importanti partiti di opposizione decisero di astenersi per protesta dai lavori parlamentari e di riunirsi separatamente. De Gasperi, diventato nel 1924 segretario del Partito Popolare Italiano, promosse e condivise, con gli altri deputati popolari, la "secessione aventiniana" - che aveva in Giovanni Amendola un leader prestigioso -, ma la prospettiva che il fascismo sarebbe finito sotto il peso della "questione morale" si rivelò illusoria, come la speranza in un intervento del Re. Nel biennio successivo il Parlamento approvò le leggi che costituirono la base giuridica della dittatura mussoliniana.
"Bisogna tener fermo fino alla fine", sostenne De Gasperi nell'ultimo congresso del Partito Popolare, svoltosi a Roma dal 28 al 30 giugno 1925. "Ecco il nostro compito, la nostra dura battaglia. Non la si può evitare senza venire accusati dai contemporanei e dalla storia di diserzione".
Nel gennaio 1925 il fascismo diventava una dittatura a viso aperto. I provvedimenti presi nei mesi successivi contro i giornali d'opposizione ridussero la già limitata libertà di stampa. Vennero inoltre sciolti i partiti e i sindacati, ad eccezione di quelli fascisti, creando le premesse di un regime a partito e a sindacato unico; nei Comuni i sindaci elettivi furono sostituiti con podestà nominati dall'alto. La distruzione delle autonomie locali venne completata con la riforma dell'amministrazione provinciale. La legge sulle attribuzioni e prerogative del Capo del Governo e quella sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche trasformarono l'ordinamento statale accentuando la svolta autoritaria e dittatoriale del paese.
Quando poi riaprì la Camera dei deputati, il 9 novembre 1926, il Governo fece dichiarare la decadenza, con un provvedimento illegittimo sul piano costituzionale, di 120 deputati di opposizione, fra cui De Gasperi. All'inizio di quell'anno era stato costretto anche a lasciare la direzione de "il nuovo Trentino". Dovette subire in seguito nuove campagne di denigrazione e un sequestro da parte dei fascisti che lo sottoposero a un "processo" politico nella sede della Federazione fascista di Vicenza.
L'11 marzo 1927 venne poi arrestato, alla stazione di Firenze, insieme alla moglie Francesca, e accusato di "tentato espatrio clandestino". Trasferito nel carcere romano di Regina Coeli fu processato e condannato a quattro anni di carcere e al pagamento di 20.000 lire di multa (una pena ridotta in appello a due anni di carcere e a 16.666 lire di multa). Rimase agli arresti fino ai primi di agosto del 1928, quando gli fu concessa la grazia anche in seguito alle iniziative prese dal vescovo di Trento, monsignor Endrici, che si era rivolto pure al Re perché venisse scarcerato. Per circa un anno fu sottoposto ad una rigida sorveglianza; venne pedinato, la sua casa piantonata.
L'amarezza della solitudine era resa più acuta dall'impossibilità di svolgere una qualsiasi attività politica, che continuava a sentire come una missione, comunque impossibile da riprendere, in quel tempo. Il regime fascista risultava infatti rafforzato dopo la firma dei Patti Lateranensi e lo svolgimento del plebiscito del marzo 1929.
De Gasperi riuscì a essere assunto in quell'anno nella Biblioteca Vaticana come impiegato soprannumerario; vi rimase fino al 1943, dopo esserne stato nominato, nel '38, segretario. Continuò, in quel periodo, a studiare e a scrivere. Pubblicò, con pseudonimi diversi, saggi sulla formazione e sulla evoluzione dei partiti promossi dai cattolici nell'età moderna, sull'organizzazione politica del "Centro" tedesco, studi sul corporativismo - distinguendo la concezione corporativa cattolica dal sistema fascista, asservito alla dittatura del partito unico. Su "L'Illustrazione Vaticana", fra il 1933 e il 1938, quando la rivista cessò le pubblicazioni, scrisse Quindicina Internazionale, cronache di politica internazionale. Le riflessioni storiografiche e le valutazioni espresse sul totalitarismo, richiamando la dottrina sociale della Chiesa, e più in generale sulle più importanti vicende tra le due guerre, consentono una migliore comprensione della cultura politica di De Gasperi e dei suoi orientamenti successivi.
La "lunga vigilia" terminò soltanto con la fine del fascismo, dopo una lunga e tragica guerra nella quale Mussolini, alleandosi con la Germania nazista, aveva trascinato l'Italia.
Il successo dello sbarco in Sicilia dei primi contingenti anglo-americani (10 luglio 1943) e la loro rapida avanzata nell'isola, gli effetti dei pesanti bombardamenti aerei alleati sulle città italiane accelerarono la crisi del regime fascista, indebolito da una lunga serie di insuccessi militari, dalle drammatiche esperienze di tre anni di guerra fatte dal paese e dalla diffusione del malcontento. Un sintomo allarmante per il regime erano stati, nel marzo 1943, gli scioperi avvenuti nelle più importanti città del centro-nord.
Nella notte fra il 24 e il 25 luglio, Mussolini venne messo in minoranza in una seduta dal Gran Consiglio del Fascismo e arrestato per ordine del Re. La formazione di un nuovo governo, presieduto dal Maresciallo Pietro Badoglio - composto da funzionar! e da tecnici, senza rappresentanti dell'opposizione antifascista - non portò al ripristino delle libertà costituzionali anche se venne sciolto il Partito Nazionale Fascista e fu abolito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato. I partiti, che si stavano allora costituendo o riorganizzando, che avrebbero poi creato i Comitati di Liberazione Nazionale (CLN), organizzato la Resistenza e animato la lotta politica, erano ancora illegali, in quel periodo.
Una svolta nelle vicende militari e politiche fu rappresentata dalla firma, il 3 settembre, di un armistizio con gli anglo-americani. Un secondo e più oneroso armistizio, noto come "Lungo Armistizio", venne firmato a Malta il 29 settembre. L'annuncio dell'armistizio, dato l'8 settembre, fu seguito dall'abbandono di Roma da parte di Vittorio Emanuele III e di Badoglio mentre veniva ufficialmente comunicato: "la guerra continua". L'esercito venne lasciato senza guida, mentre gli Alleati sbarcavano nella piana di Salerno. Il 13 ottobre il Re si convinse a firmare la dichiarazione di guerra alla Germania. L'Italia venne allora tagliata di fatto in due: a sud c'era il "Regno del Sud" - il vecchio Stato monarchico che sopravviveva esercitando la sua sovranità sotto il controllo alleato -; al centro (fino all'estate del 1944) e al nord, l'occupazione tedesca. Nell'Italia occupata dai tedeschi, Mussolini, da loro liberato dalla prigionia, organizzò la Repubblica Sociale Italiana.
Nella Roma occupata dai nazisti, i partiti avevano cominciato intanto a riorganizzarsi, clandestinamente. Fra il 1942 e il '43 era stata fondata la Democrazia Cristiana da diverse iniziative convergenti. Il nuovo partito che si presentò come l'erede della migliore tradizione dei cattolici in campo politico, in una stagione profondamente diversa da quella in cui era stata elaborata la proposta di don Sturzo, impostò in modo del tutto innovativo il rapporto tra i cattolici e lo Stato. Nei primi documenti clandestini De Gasperi definì i motivi programmatici fondamentali che caratterizzeranno la DC nel dopoguerra: un partito di massa dei cattolici, laico, interclassista, antifascista, che considerava la libertà e la democrazia politica elementi fondamentali del nuovo sistema politico da costruire, con un senso cristiano dello Stato senza volere uno Stato cristiano.
De Gasperi riuscì con la Democrazia Cristiana a garantire l'unità politica dei cattolici, ad inserirli nello Stato democratico e a farli diventare i più importanti garanti di un sistema pluralista. Il sostegno dato all'iniziativa di De Gasperi dal sostituto della Segreteria di Stato, mons. Giovanni Battista Montini, fu decisivo per orientare la maggior parte dei quadri cattolici nella DC e per assicurare al nuovo partito l'appoggio dell'istituzione ecclesiastica; De Gasperi non rinunciò mai, tuttavia, al principio dell'autonomia e delle responsabilità civili e politiche.
De Gasperi - che per i primi quattro mesi dell'occupazione nazista di Roma si era rifugiato nel Seminario Lateranense, con altri componenti del Comitato di Liberazione Nazionale, da lui costituito insieme ai rappresentanti degli altri partiti antifascisti, e poi nel palazzo di Propaganda Fide - assunse fin da allora la leadership della nuova formazione politica.
In questo periodo drammatico della guerra in Italia, era stato formato nel frattempo a Salerno - la "capitale provvisoria" del Regno del Sud, dove il Re si era trasferito da Brindisi - il primo governo di unità nazionale, presieduto ancora dal Maresciallo Badoglio, ma comprendente i rappresentanti dei partiti del CLN, come ministri senza portafoglio: fra gli altri, Benedetto Croce, Carlo Sforza, Palmiro Togliatti, che con la "svolta di Salerno" del partito da lui guidato aveva reso possibile la formazione di quel ministero.
La liberazione del paese procedeva intanto lentamente: l'Italia era considerata un fronte di importanza secondaria dopo l'apertura di quello nuovo e decisivo in Normandia. Soltanto il 4 giugno 1944 gli Alleati erano riusciti a liberare Roma. Il giorno successivo, il principe Umberto veniva nominato Luogotenente; Vittorio Emanuele III lasciava così la scena politica, ma non abdicava. Il compito di formare un nuovo governo - non più "emanazione diretta del Re", ma espressione "dei partiti rappresentati nel Comitato di Liberazione Nazionale" - venne affidato a Ivanoe Bonomi. De Gasperi ne fece parte come ministro senza portafoglio. Fu il suo primo incarico ministeriale.
Il 1° ministero Bonomi aprì una fase nuova della politica del paese, non ancora interamente liberato. Con il decreto legislativo luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151 - la cosiddetta "Costituzione provvisoria" - fu stabilito infatti che "dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali" sarebbero state scelte da una Assemblea Costituente, eletta a suffragio universale, diretto e segreto, cui era affidato anche il compito di approvare una nuova Costituzione. Il ministero ebbe tuttavia una vita breve: si dimise ai primi di dicembre del 1944 per dissensi fra i partiti sulla questione dell'epurazione e sul ruolo del CLN. Ma fu ancora l'ex Presidente del Consiglio del primo dopoguerra, ora esponente della Democrazia del Lavoro, ad essere incaricato della formazione del nuovo ministero (12 dicembre 1944-21 giugno 1945). Alcide De Gasperi vi assunse l'incarico di ministro degli Affari Esteri.
L'avanzata degli Alleati, dopo lo sfondamento della "linea Gotica", e l'insurrezione partigiana al Nord liberarono e riunificarono, il 25 aprile 1945, l'Italia. La diversità delle esperienze vissute nelle varie parti del paese, dal settembre 1943, si rivelò però non facilmente componibile; approfondì, in modo diverso nel Nord e nel Sud, la cesura della guerra e le tradizionali spaccature.
Nell'immediato dopoguerra prevalse comunque l'attesa di mutamenti profondi nella vita civile e nelle istituzioni. Dopo una crisi ministeriale lunga e complessa si costituì, il 20 giugno 1945, un ministero guidato da Ferruccio Parri, ex vice comandante del Corpo Volontari della Libertà, esponente del Partito d'Azione. La nomina di Parri a Presidente del Consiglio fu il risultato dell'elisione delle candidature contrapposte di Nenni, segretario del Partito Socialista, e di De Gasperi al quale fu confermata tuttavia la responsabilità degli Affari Esteri.
Da quella posizione, De Gasperi potè conoscere meglio l'ambiente internazionale del dopoguerra, le tendenze che dopo la fine delle ostilità si stavano affermando nei rapporti fra le potenze; potè consolidare la consapevolezza di condizionamenti internazionali nella rinascita della democrazia in Italia.
Dopo un breve periodo di attività, svolta fra grandi difficoltà per la gravissima situazione dell'economia e della finanza pubblica, per la disoccupazione e lo stato di miseria in cui era il paese, il ministero Parri dovette dimettersi per contrasti fra i partiti del CLN che lo sostenevano.
La carica di presidente del Consiglio venne affidata allora a De Gasperi; per la prima volta l'esponente di un partito di massa, il leader dei cattolici italiani raccolti nella DC - che aveva sostenuto il dovere di passare "dall'opposizione al governo" - assumeva la guida del paese. La vicenda costituì uno dei segni significativi dei cambiamenti avvenuti dopo il crollo del fascismo: l'affermarsi di una democrazia fondata sui partiti popolari e di massa.
Fra difficoltà di carattere interno e internazionale, De Gasperi riuscì a garantire una ordinata transizione verso un assetto finalmente democratico del paese. Nella primavera del 1946 si svolsero le prime elezioni libere dell'Italia liberata, alle quali parteciparono per la prima volta le donne, per eleggere i Consigli Comunali; il 2 giugno si tenne il referendum per la scelta fra Monarchia e Repubblica che contribuì alla diffìcile saldatura fra l'Italia repubblicana che stava nascendo e l'Italia monarchica e a porre la Repubblica - che ottenne il 54,3% dei voti - su basi solide. Lo stesso giorno venne eletta anche l'Assemblea Costituente. La Democrazia Cristiana risultò il primo partito nazionale con il 35,2% dei voti; il Partito Socialista di Unità Proletaria ottenne il 20,7%, il Partito Comunista Italiano il 18,9%. Ai tre partiti maggiori vennero assegnati 426 dei 556 seggi dell'Assemblea Costituente che il 28 giugno elesse alla carica di capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola.
Dopo le elezioni De Gasperi formò il suo secondo ministero basato sull'accordo fra i tre partiti di massa e sulla partecipazione dei repubblicani. La collaborazione dei partiti antifascisti non si tradusse però in una rappresentanza paritetica nel governo, come prima delle elezioni, ma proporzionale alla loro forza elettorale.
Il programma del nuovo governo si riassumeva in due punti principali: continuazione dell'opera di ricostruzione del paese e di riattivazione della sua economia e controllo dell'ordine pubblico. Sul piano dei rapporti internazionali il tema dominante era quello del trattato di pace. L'Italia era stata considerata a tutti gli effetti una nazione sconfitta: doveva impegnarsi a pagare le riparazioni, a rinunciare alle colonie, a ridurre la consistenza delle forze armate, ad accettare rettifiche di frontiera. Soltanto una richiesta di De Gasperi - ministro degli Affari Esteri ad interini fino al 18 ottobre 1946 - fu accettata: la frontiera del Brennero rimase intatta anche per gli accordi diretti da lui conclusi con il ministro degli Esteri austriaco Gruber. Per il territorio di Trieste venne invece adottato un regime provvisorio, la suddivisione in due zone, A e B. La prima con la città di Trieste rimase sotto un governo militare anglo-americano, mentre la zona B comprendente una parte dell'Istria venne assegnata all'amministrazione militare jugoslava.
Doveva trattarsi di una sistemazione provvisoria; durò invece fino all'ottobre 1954. La soluzione della questione di Trieste rimase strettamente legata all'evoluzione della situazione politica internazionale e a quella interna dell'Italia provocando gravissime tensioni con la Jugoslavia.
Alla Conferenza della pace De Gasperi difese con grande forza e dignità le ragioni della posizione dell'Italia, ma l'accettazione del trattato di pace fu obbligata. Soltanto così si poteva chiudere la drammatica parentesi della guerra, riprendere su basi nuove l'iniziativa in campo internazionale, rendere possibile un ruolo attivo dell'Italia nel contesto europeo e in quello mediterraneo.
In questa prospettiva De Gasperi si recò, nel gennaio 1947, negli Stati Uniti. Il viaggio contribuì in maniera decisiva ad ottenere aiuti, ad acquistare credibilità di fronte alla classe dirigente di quel paese e ad impegnarlo per reinserire l'Italia nel contesto internazionale, nell'area delle democrazie occidentali. L'Italia fu, infatti, il primo tra i paesi vinti ad essere integrato nelle istituzioni internazionali; il 23 marzo 1947 venne ammessa alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale.
Al ritorno dal viaggio negli Stati Uniti, De Gasperi dovette affrontare una nuova crisi ministeriale in seguito alla scissione verificatasi nel partito socialista con l'uscita del gruppo che faceva riferimento a Giuseppe Saragat il quale non condivideva la linea di stretta unità di azione con il PCI, in stretta consonanza con l'Unione Sovietica, sostenuta dalla maggioranza del partito.
Il terzo ministero De Gasperi - nel quale Carlo Sforza venne nominato ministro degli Esteri, carica che mantenne fino al 26 luglio '51 - affrontò e risolse il delicato problema della firma del trattato di pace, salvo la ratifica dell'Assemblea Costituente, e contribuì alle intese raggiunte sui primi articoli del progetto di Costituzione messo a punto dalla Commissione dei 75 sui quali si era cominciato a discutere in Aula il 4 marzo.
I dissensi in tema di politica estera e di politica economica con i socialisti e con i comunisti portarono De Gasperi, alla fine di maggio, a ritenere chiusa quella fase di collaborazione e a dare le dimissioni. Dopo i non fruttuosi tentativi fatti da due esponenti del vecchio mondo liberale, Francesco Saverio Nitti e Vittorio Emanuele Orlando, di formare un governo l'incarico venne affidato a De Gasperi che riuscì a formare un governo monocolore senza rappresentanti dei partiti socialista e comunista e con la significativa partecipazione del liberale Luigi Einaudi, come ministro delle Finanze e del Tesoro, e del repubblicano Carlo Sforza al ministero degli Affari Esteri. Il 21 giugno il nuovo Gabinetto otteneva la fiducia da una maggioranza formata dai deputati della Democrazia Cristiana, del Partito Liberale e dell'Uomo Qualunque. Si concludeva la stagione dell'unità antifascista, la transizione. I profondi dissensi che si erano verificati fra la DC, i comunisti e i socialisti sui temi di politica economica - sulla cosiddetta "linea Einaudi" per realizzare le condizioni di stabilità necessarie per reinserire l'economia italiana nel contesto internazionale - vennero approfonditi dall'allineamento delle sinistre alla politica dell'Unione Sovietica e dalle loro posizioni critiche sulla "dottrina Truman", proclamata il 12 marzo 1947, e sul Piano Marshall, presentato il 5 giugno dal Segretario di Stato americano per favorire la ricostruzione economica dell'Europa (ERP).
La divisione del mondo in due blocchi contrapposti, nella seconda metà del '47, ebbe conseguenze profonde anche in Italia, ma non compromise l'intesa fra i partiti dell'Assemblea Costituente per ratificare il trattato di pace e per approvare, a larghissima maggioranza, anche dopo la fondazione del Cominform - l'Ufficio di informazioni voluto dall'URSS tra i partiti comunisti al potere dell'Europa orientale (ad eccezione di quello albanese), al quale aderirono anche i partiti francese e italiano, il 22 dicembre 1947, la nuova Carta costituzionale.
Le elezioni del 18 aprile 1948 per la formazione del primo Parlamento repubblicano si svolsero in un clima di netta contrapposizione tra comunismo e anticomunismo, influenzato anche dalla "guerra fredda" fra Stati Uniti e Unione Sovietica, acutizzata dal colpo di stato comunista in Cecoslovacchia del febbraio 1948. La campagna elettorale fu caratterizzata da una grande mobilitazione; propose la scelta fra due opzioni contrapposte sul piano delle alleanze internazionali, dei sistemi politici e dei modelli sociali. La Democrazia Cristiana potè contare sull'appoggio della Chiesa, sui Comitati Civici guidati da Luigi Gedda che mobilitarono le parrocchie e le associazioni. I consensi che raccolse andarono tuttavia ben al di là degli ambienti cattolici. Il risultato di quelle elezioni furono la vittoria della DC, che ottenne il 48,5% dei voti e la maggioranza assoluta alla Camera dei deputati, il successo dei suoi alleati e la sconfitta del Fronte Popolare, che aveva riunito candidati socialisti e comunisti. Le elezioni del 18 aprile risultarono così decisive per un lungo periodo; consentirono la scelta occidentale, garantirono la libertà nella sicurezza, favorirono la fondazione del sistema democratico e la ricostruzione economica.
La proposta politica di De Gasperi fu caratterizzata dall'alleanza fra cattolici democratici e laici, fra Democrazia Cristiana, Partito Liberale, Partito Repubblicano e Partito Socialista dei Lavoratori d'Italia (PSDI, dal 1952); fondata su una convinzione profonda, era stata già realizzata prima del risultato elettorale del 18 aprile, quando le truppe di occupazione avevano lasciato definitivamente l'Italia, il 15 dicembre 1947. La sua linea era stata caratterizzata infatti dallo "sfuggire all'alternativa guelfo-ghibellina", dal superamento dello "storico steccato politico"; la DC - come scriveva a Fanfani dieci giorni prima di morire - era così diventata "movimento, un partito italiano, al di sopra dello storico conflitto". La fedeltà alle regole costituzionali, allo Stato di diritto costituì il presupposto di ogni iniziativa, come la fiducia nel regime parlamentare e nella dialettica fra maggioranza e opposizione; non confuse il piano politico con il piano costituzionale. Nel '47 come negli anni successivi si preoccupò che le crisi di governo e delle intese politiche non diventassero crisi di regime.
Negli anni della I legislatura De Gasperi riuscì ad esercitare, fra molteplici difficoltà, con un alto senso dello Stato, il ruolo di guida e di responsabile politico del Gabinetto; seppe mantenere un giusto rapporto fra istituzioni e partiti. Il Parlamento contribuì grandemente, d'altra parte, nel periodo del "centrismo", per il ruolo che ebbe, per le leggi che approvò e per i dibattiti sui grandi temi di politica interna e internazionale che vi si svolsero, alla legittimazione democratica delle istituzioni costituzionali e degli stessi partiti. I governi De Gasperi della I legislatura repubblicana continuarono nell'opera di ricostruzione alla quale saldarono la nuova fase dello sviluppo che trasformò profondamente, seppur con squilibri, la società italiana in tutti i suoi aspetti. Il Piano Fanfani per le case popolari, le leggi di riforma agraria, la istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, la riforma tributaria, il doloroso e faticoso riequilibrio delle finanze pubbliche, il rilancio dell'IRI e la creazione dell'ENI costituirono gli esiti significativi di una importante stagione di riforme.
La politica di centro, l'alleanza fra cattolici democratici e "laici", caratterizzò, seppure con alterne vicende, tutta la I legislatura repubblicana. L'ispirazione cristiana non impediva, anzi favoriva, per De Gasperi, la collaborazione. Difese i valori della laicità e dell'autonomia dei cattolici contro ogni forma di integralismo clericale, contro le proposte di "blocchi d'ordine" anche contrapponendosi agli orientamenti di parte del mondo ecclesiastico. Considerò il centrismo l'unica politica possibile, in quel periodo, per realizzare la ricostruzione e poi le riforme, per garantire lo sviluppo del paese nella sicurezza, ancorandolo all'Occidente.
Verso la metà della legislatura, i risultati ottenuti nelle elezioni amministrative del 1951 dalla Democrazia Cristiana sembrarono mettere in discussione quel disegno politico, la natura e le scelte del partito. Le elezioni si svolsero sulla base di una nuova legge elettorale che nei Comuni superiori ai 10.000 abitanti, attribuiva alla lista o al gruppo di liste collegate che avessero ottenuto il maggior numero di voti validi, i due terzi dei seggi, per favorire la stabilità dei governi locali. Il terzo rimanente doveva essere ripartito proporzionalmente fra le altre liste. I risultati delle elezioni dei Consigli comunali e provinciali del maggio 1951 indicarono una notevole diminuzione di voti della DC rispetto al 1948 e provocarono una mobilitazione degli ambienti cattolici nella prospettiva delle elezioni che avrebbero dovuto essere tenute a Roma l'anno successivo. In Vaticano si temette il successo delle sinistre e il valore simbolico che questo risultato avrebbe potuto avere nel mondo intero, in particolare tra i cattolici, in un momento dello scontro epocale tra comunismo e Chiesa, soprattutto nell'Est europeo. La prevalenza delle convinzioni che si dovesse fare di tutto per evitare un simile risultato elettorale si tradusse in una serie di iniziative per "apparentare" la DC con le destre in funzione anticomunista, con una lista capeggiata dall'anziano fondatore del Partito Popolare, don Luigi Sturzo. De Gasperi sostenne, con convinzione e con grande dignità, l'operato del governo, la politica del centrismo e rifiutò alleanze a destra. Piuttosto che agire contro la volontà del Papa si disse disposto a dimettersi da Presidente del Consiglio, ma non a rinunciare alla politica di collaborazione con i "partiti laici", a quel "giusto equilibrio trovato, caso per caso, tra la sua fede cristiana e la sua fede politica".
Alle elezioni romane la DC si presentò alla fine con una lista "apparentata" con PLI, PRI e PSDI. I partiti "apparentati" di centro riuscirono a conquistare la maggioranza nel Comune di Roma. Per De Gasperi fu tuttavia una vittoria amara. La vicenda delle elezioni amministrative della capitale segnò un momento critico nel rapporto con Pio XII. Il rifiuto dell'udienza chiesta da De Gasperi al Papa per sé e per la moglie in occasione della professione solenne della figlia suor Lucia e dell'anniversario di matrimonio prova quali fossero, in quel momento, i rapporti tra il pontefice e il Presidente del Consiglio, sempre così rilevanti per la storia della democrazia nell'Italia del secondo dopoguerra.
Dopo le elezioni amministrative del '52, inoltre, si moltipllcarono le pressioni sulla DC e su De Gasperi da parte di ambienti ecclesiastici per iniziative legislative idonee a ridurre l'influenza dei laici e delle sinistre, per una nuova legge sulla stampa, per provvedimenti che limitassero lo spazio e l'azione del partito comunista o perché venisse addirittura messo fuori legge; misura che De Gasperi aveva sempre teso ad evitare perché ciò avrebbe significato estromettere i comunisti dal quadro parlamentare e democratico, al quale voleva invece ancorarli, e provocato forse la guerra civile.
In quel periodo, De Gasperi temette anche la formazione di un altro partito formato da cattolici, sostenuto da alcuni ambienti ecclesiastici, sulla destra dello schieramento politico. Sarebbe stata la fine dell'unità politica dei cattolici, il ritiro della delega cattolica alla DC con la prospettiva del pluralismo politico dei cattolici o di più partiti cattolici, che era stata accantonata dopo la fine della seconda guerra mondiale. In questo quadro, l'approvazione, nel giugno 1952, della "legge Scelba" - che all'art. 1 prevedeva il reato di ricostituzione del disciolto partito fascista - rappresentò una vittoria della sua leadership.
Anche la politica estera, con la "scelta occidentale" e gli indirizzi europei-stici che la caratterizzarono, fu del tutto innovativa occupandosi, fra l'altro, dell'apertura dei mercati di lavoro per la nostra manodopera nelle varie forme della cooperazione europea ed occidentale allora possibile. La partecipazione italiana al Patto Atlantico - voluta da De Gasperi e dalla maggioranza di governo, superando la durissima opposizione socialcomunista nel Parlamento e nelle piazze - costituì una soluzione al problema della sicurezza, consentì di far superare all'Italia la condizione di Stato sconfitto, di inserirla come membro con pari dignità nella comunità occidentale liberandola dalle pesanti eredità del fascismo. L'appartenenza alla comunità atlantica si rivelò inoltre funzionale alla salvaguardia dei presupposti costituzionali della Repubblica e allo sviluppo della politica europeistica.
La costruzione dell'Europa unita costituì poi, all'inizio degli anni '50, l'obiettivo più importante della politica estera di De Gasperi. Significative sono le iniziative politiche e diplomatiche da lui assunte; l'adesione al "Piano Schuman", presentato dal ministro degli Esteri francese il 9 maggio 1950, nel quale De Gasperi vedeva la possibilità di eliminare il dissidio franco-tedesco, che era stato causa di tante guerre e il primo serio tentativo di avere nell'Europa moderna un'autorità supernazionale; l'appoggio dato alle attività del Movimento federalista europeo. Il trattato che istituì la Comunità Europea per il Carbone e l'Acciaio (CECA), firmato il 18 aprile 1951, risultò la pietra angolare dell'edificio europeo. In questa prospettiva De Gasperi si batte per la creazione di "un esercito europeo al servizio di un'Europa unita" (CED) cercando di conciliare il principio della sicurezza con quello della solidarietà europea e sostenendo che esso doveva "divenire la base permanente per gli Stati Uniti d'Europa". La sua proposta di una Assemblea che avrebbe dovuto preparare un progetto per la trasformazione della comunità in un organismo federale basato sul sistema bicamerale e sulla divisione dei poteri, intendeva garantire alla Comunità di Difesa un quadro politico istituzionale che avrebbe preparato la soluzione federale, la Comunità Politica Europea (CPE). La Comunità Europea di Difesa (CED) avrebbe dovuto costituire il primo solido nucleo soprannazionale dell'unità dell'Europa. L'obiettivo del trattato della CED, firmato a Parigi il 27 maggio 1952, non venne poi realizzato per la mancata ratifica da parte dell'Assemblea Nazionale francese.
L'ideale europeistico di De Gasperi di una Europa della pace e della democrazia soprannazionale, la base di consenso realizzata in Italia a favore di una politica per l'unità dell'Europa, il suo impegno - insieme a quello di Robert Schuman e di Konrad Adenauer, costituirono comunque il patrimonio sul quale si è basato il successivo processo di integrazione europea.
Per assicurare stabilità al governo e funzionalità al Parlamento, per favorire il mantenimento della maggioranza "centrista" e dell'unità politica dei cattolici nella DC, De Gasperi propose una riforma elettorale che avrebbe assicurato alle liste "apparentate" che avessero ottenuto il 50% dei voti un "premio di maggioranza", il 65% dei seggi alla Camera dei deputati. Il disegno di legge fu approvato dopo un durissimo ostruzionismo delle opposizioni sia alla Camera che al Senato, ma alle elezioni politiche del 7 giugno 1953 le liste "apparentate" non riuscirono a raggiungere, per 57.000 voti, la metà più uno dei voti necessari per far scattare il "premio" anche per la presentazione di liste "dissidenti".
La coalizione centrista mantenne la maggioranza alla Camera e al Senato - nonostante la DC passasse dal 48,5% dei suffragi ottenuti nel 1948 al 40,1% e le perdite più contenute degli altri partiti di governo -, ma la sconfitta politica segnò la fine della stagione degasperiana del centrismo e condizionò nel lungo periodo lo sviluppo del sistema politico italiano. Stava mutando, allora, il quadro internazionale: la "guerra fredda" aveva raggiunto l'apice con il conflitto coreano, scoppiato nel giugno 1950 quando le forze nord-coreane, armate dall'Unione Sovietica, invasero il sud del paese; la morte di Stalin, avvenuta circa tre mesi prima delle elezioni in Italia, aveva aperto la prospettiva di nuove relazioni internazionali, che parve confermata dalla speranza nella fine della "guerra fredda" espressa da Winston Churchill e dall'ipotesi, da lui avanzata, di una Conferenza al vertice.
Negli anni successivi la formula del centrismo sopravvisse sul piano parlamentare, seppure in modo precario, mentre si andavano ricercando nuovi equilibri.
Dopo le elezioni del '53, De Gasperi incaricato dal Presidente della Repubblica, Einaudi, di formare un nuovo governo, inaugurò la prassi delle consultazioni con tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento. Riuscì a costituire soltanto un ministero monocolore democristiano che non ottenne però la fiducia della Camera. La sconfitta parlamentare (28 luglio 1953) ebbe anche ripercussioni internazionali. In una fase politica difficile anche per l'insoluta questione di Trieste, dopo un tentativo di Attilio Piccioni, Giuseppe Pella riuscì a formare un governo.
De Gasperi tornò al suo impegno nel partito; il 28 settembre venne eletto alla segreteria della DC. Continuò ad occuparsi dei grandi temi che avevano caratterizzato i suoi governi: l'alleanza occidentale, la questione di Trieste, - la cui soluzione era resa più difficile per il rafforzamento di Tito, per l'accordo firmato con gli Stati Uniti nel 1951 e per il trattato di amicizia firmato il 28 febbraio 1953 con la Grecia e la Turchia, due paesi membri della NATO - e soprattutto la ratifica del trattato che istituiva la Comunità Europea di Difesa; una ratifica ritardata, alla fine della I legislatura, dalla battaglia per la nuova legge elettorale. De Gasperi aveva la consapevolezza che il fallimento della CED avrebbe "ritardato di qualche lustro ogni avviamento all'Unione Europea". Il suo discorso al V Congresso della DC a Napoli fu il suo testamento politico. Si ritirò poi a Borgo Valsugana dove morì il 19 agosto 1954 invocando il nome di Gesù.
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