Apologia per i cristiani
-Giustino
(Sources chretiennes)EAN 9788870946406
La presente edizione per le Sources Chrétiennes è il frutto di un attento lavoro dello studioso Charles Munier, coadiuvato dall’équipe del Seminario di Patrologia della Facoltà di Teologia e di Storia delle Religioni dell’Università di Strasburgo II (Marc Bloch) ove, verso il 1985, prese forma l’idea di una nuova edizione dell’Apologia di Giustino (cf. Prefazione pp. 7-8).
Le cosiddette “due Apologie” di Giustino, pervenuteci in due manoscritti – uno dei quali (il Codex Musei Britannici, Loan 36/13, sigla B) è una copia diretta del Codex Parisinus graecus 450 (sigla A) della Biblioteca nazionale di Parigi – in realtà formano un’unica opera (cf. pp. 27; 106-110).
La presente edizione si fonda essenzialmente sul testo di A. Disponendo, infatti, di un ampio assortimento di fotocopie dei manoscritti parigini e londinesi (cf. nota 19, p. 119), il curatore tiene a precisare che l’unità di composizione, di redazione e di pubblicazione dell’opera – secondo quanto è possibile leggere nella Introduzione – fa pensare più a un libellus (cf. note 59 e 60, p. 387; II Apologia 14), ossia alla petizione di una parte in causa giudiziaria, rivolta all’imperatore.
Abilmente, al fine di dimostrare che l’Apologia dipende dal genere giudiziario, Munier individua nel testo una composizione in cinque parti, la quale caratterizza tale genere: esordio (I,1-3); narrazione (I,4-II,12-6); prova (II,12,7-15,3); confutazione (I,4-12); perorazione (II,12,7-15,3). Connessa a queste parti, l’ultima, a sua volta, è suddivisa in altre quattro sottosezioni (confutazioni delle accuse comuni; esposizione della dottrina cristiana e tesi; dimostrazione in due tempi).
Se nel quarto capitolo dell’Introduzione (pp. 55-71) si ricostruisce minuziosamente il procedimento apologetico di Giustino, dopo aver presentato schematicamente la struttura letteraria dell’opera (pp. 37-59), rilevando anche le possibili influenze e i punti di contatto tra l’Apologia e antecedenti apologie (in particolare l’Apologia di Socrate di Platone e il Protrettico di Aristotele), nel capitolo quinto assai interessante è lo studio del connubio tra cristianesimo e filosofia, logos divino e ragione umana (cf. Apologia I,5).
Senza indugiare in un’arida sintesi dell’opera, già ampliamente studiata nel corso dei secoli e che attentamente il curatore rileva grazie alla precisa bibliografia (pp. 125-142), che conta più di duecento studi redatti da circa centoquaranta autori diversi (limitandosi solo al secolo XX fino al primo decennio del XXI), ci si limiterà qui a sottolineare alcuni snodi tematici che emergono e che sono assai decisivi per tracciare il profilo storico-ermeneutico dell’Apologia.
L’Apologia non è semplicemente un ramo della teologia di matrice cristiana che si occupa della apologa, cioè della difesa delle verità religiose di fronte ad avversari che la negano in tutto o in parte, ma essa – più in generale – costituisce la base fondamentale di quell’atteggiamento che si ritrova in tutte le religioni monoteistiche (giudaismo, cristianesimo, islam). Ognuna di queste tradizioni si propone come depositaria della rivelazione piena, definitiva e ritiene che la ragione stessa possa confermare l’adesione al proprio credo. In tali tradizioni, dal momento che viene assunta fortemente anche l’esigenza razionale, è possibile affermare che una dimensione apologetica è presente in tutta la teologia, in quanto essa non solo illustra, ma ha anche un preciso target: fondare e “giustificare” l’actus fidei e la veritas fidei in base a determinati procedimenti propedeutici e probatori (soprattutto con il ricorso all’analogia, usata abbondantemente da Giustino). L’apologetica, inoltre, è già teologia giacché essa tenta di accompagnare e facilitare l’atto di fede, piuttosto che di sostituirlo o provocarlo.
L’itinerario apologetico è sostanzialmente identico per le diverse religioni: dall’esistenza di Dio alla verità della rivelazione e alla chiesa (o ad analoga istituzione) come depositaria e garante autentica e unica dell’ortodossia. L’apologetica cristiana, nei meandri della storia, ha subito varie trasformazioni: dall’assunzione, nei primi secoli, di argomenti dell’apologetica giudaica (cf. Filone di Alessandria e i libri sapienziali della Bibbia) contro la confutazione del monoteismo e della rivelazione biblica, contro i pagani, all’apologetica medievale (per esempio: la Summa contra gentiles di san Tommaso d’Aquino), che cercava di confrontarsi con l’islam o a quella moderna, obbligata necessariamente ad aprire nuovi fronti nella polemica tra le varie confessioni cristiane. Tre esempi, questi, emblematici di tre tappe storiche assai diverse e progressivamente più complesse.
Non ci interesseremo di tutto il caleidoscopico mosaico dell’apologetica, ma di quella di matrice cristiana e, in particolare, di quella apologetica che comincia a muovere i suoi primi passi (II secolo) e che è legata alla figura di Giustino (ca. 100-165) e all’ambiente romano. Il germinare di una teologia cristiana è l’esito del concorrere di fatto di un ordine esterno e di uno interno.
«Andate e fate discepole (maqhteuvsate) tutte le genti» aveva detto il rabbi Gesù (cf. Mt 28,19; I,31,7; 61,3) e l’eco della sua voce non poteva rimanere inascoltata o, peggio, relegata nell’ambito personale e individuale. Il cristianesimo, ancor più del giudaismo, aveva (e ha) come base fondamentale l’annuncio, cioè una forte istanza missionaria, frutto di quell’ascolto fecondo del Logos che scaturisce a sua volta dalla pístis (Mc 16,14) e che termina nella martyríakèrygma (testimonianza-annuncio) indirizzata ai pavnta ta; e[qnh. Quindi, la missio ad gentes recluta ormai intellettuali del calibro di Giustino, i quali possiedono un background filosofico, con un preciso fine: poter dialogare con altrettanti intellettuali del mondo pagano, all’inizio soprattutto greco. Tutto questo costringe ad alzare il livello della risposta filosofica e teologica.
Di ordine interno, invece, non può essere dimenticato il pericolo delle grandi figure dello gnosticismo del II secolo, primi tra cui gli gnostici appartenenti alla scuola di Valentino, sebbene Giustino offra un’ampia panoramica delle varie eresie, nonché un profilo fondamentale dei vari eresiarchi (Simone Samaritano, Menandro e Marcione: I,26; 56,1; 58). Proprio questi ultimi – ancor prima degli apologisti – hanno applicato per primi i metodi della riflessione razionale all’approfondimento del dato rivelato. Tipico rappresentante di quell’incontro tra cristianesimo e cultura ellenistica che doveva favorire decisamente il sapere della riflessione teologica è Giustino, la cui vita è ampliamente descritta nel primo capitolo dell’Introduzione (pp. 11-26). Nel presentare il testo non può mancare un’osservazione su come esso sia costantemente attraversato dall’intenso dibattito dei rapporti tra problematica teologica e filosofica. È qui, infatti, che si pone l’attualità di Giustino: uomo di fede e, inseparabilmente, di ragione, il cui pensiero scaturisce sempre da una profonda esperienza di Dio e da una ricca conoscenza delle Scritture, da come è possibile evincere dall’Indice Biblico, il quale conta più di duecento riferimenti scritturistici (pp. 393-397; pp. 98-104). In altre parole, nel corso del testo emerge non solo il percorso tormentato filosofico-esistenziale del figlio di Prisco, ma anche il credente, il cercatore di Dio, il mavrtu" e il swfov" che ha scoperto Colui che è la Via, la Verità e la Vita (cf. Gv 14,6), grazie «all’esempio dei cristiani davanti alla persecuzione e alla morte» (p. 11), che lo convinse ad abbracciare il cristianesimo. In tal senso, Giustino appare un pensatore innovatore e al contempo «testimone privilegiato del dialogo tra la filosofia greca e il Cristianesimo» (p. 11), capace di esprimere una certa indipendenza dall’ambiente romano del suo tempo che ne fa il più importante degli apologisti del II secolo. Giustino «fu il primo […] a professare pubblicamente la fede cristiana pur conservando il mantello del filosofo» (p. 11); così afferma nelle ultime battute della sua Apologia: «Se sono vagliate con saggezza, le nostre dottrine non sono cosa turpe, ma, al contrario, sono più elevate di ogni umana filosofia» (I,15,3).
L’Apologia, inoltre, assume una curvatura pratica e morale del cristianesimo. I cristiani non possono essere ostili alle autorità precostituite ma, al contrario, costituiscono quella parte dei cittadini che è la più affidabile: i cristiani non contestano i governatori, vivono virtuosamente, si limitano a praticare i loro culti pacificamente. Nel giorno del sole, scrive Giustino, «ci si riunisce tutti, dalle città e dalla campagna dove risiediamo, e leggiamo le Memorie degli apostoli, oppure gli scritti dei profeti» (I,67,3; cf. i riti cristiani: battesimo I,61-62; eucaristia I,65-67). Giustino è il primo scrittore cristiano che attesta la lettura del Vangelo (ta; ujpomnηmonevmata tw`n ajpostolw`n) nella prima parte della messa. Il filosofo arriva ad affermare: «noi siamo per voi dei coadiutori e degli alleati nel cercare la pace» (I,12,1).
Più precisamente, nella prima parte dell’Apologia (1-68), l’autore si rivolge all’imperatore Adriano come a un giudice e al Sacro Senato «a favore di quegli uomini di ogni razza» (I,1,1). L’accusa principale è quella di ateismo (cf. Introduzione, pp. 59-71) e Giustino non fa che contestare le false accuse mosse contro i cristiani e che hanno come origine l’azione dei demoni cattivi rilevando, tra le altre cose, le cause concrete delle persecuzioni (cf. II,1-2) e la causa dell’eccellenza della dottrina cristiana che è la tesi finale di tutta l’Apologia.
La sintonia di Giustino con il platonismo è pressoché indiscussa (cf. pp. 1623). Ciò si evince dal modo di rappresentare Dio e la materia in cui si esercita l’azione demiurgica del Logos. L’assunzione del paradigma medio-platonico mutò profondamente la concezione del Dio biblico, tuttavia non compromise il nucleo della fede cristiana; tale assunzione, infatti, servì a esprimere i contenuti fondamentali del cristianesimo. In altre parole, il logos di Giustino, sebbene sia molto vicino al «secondo Dio» del medio-platonismo, ha degli appellativi certamente biblici ed è identificato chiaramente con Gesù Cristo (cf. Introduzione pp. 75-88).
Ora, l’Apologia risulta essere una sorta di abbozzo di lettura filosofica del cristianesimo vicina al platonismo di quei tempi. Quindi, l’autore non condanna la filosofia – come fecero altri padri apologisti che elaborarono una vera e propria pars destruens della filosofia – ma ritiene che essa possa essere un valido strumento per giungere a un certo grado di verità. La alhvqeia totale, il Logos-Cristo, per Giustino, si può acquisire solo con il riconoscimento della rivelazione divina (cf. Introduzione, pp. 79-84).
Giustino, per difendere i cristiani e per fare giustizia, fa leva sull’amore per la alhvqeia, che caratterizza il vero filosofo, il quale, se è autenticamente tale, dovrebbe stimare e amare soltanto la verità «rifiutando di seguire le opinioni degli antichi, quando sono cattive […Infatti] la sana ragione […] mostra come l’amico della verità debba scegliere di dire e di fare in tutti i modi ciò che è giusto, anche a costo della propria vita, anche quando vi sia minaccia di morte» (I,2,1; 12,5). Il filosofo, per Giustino, quindi, altro non è quindi che filal?qης (“amante della verità”), e per questo si rivolge a chi dovrebbe essere «custode della giustizia» e «amante dell’istruzione», quale si presenta l’imperatore. È proprio con quest’autorità che l’apologista samaritano parla, quando presenta la tesi dell’eccellenza della dottrina cristiana (p. 215). Da qui l’espressione forte e ardimentosa: «noi riteniamo di non poter subire alcunché di male da parte di nessuno» (I,2,4). Pertanto, tutta l’opera è una richiesta di indagine sulle accuse fatte ai cristiani e «se si dimostrasse che le cose stanno proprio così, ci si punisca come è giusto; ma se non c’è nulla di cui accusarci, la ragione sincera non ammette che, a causa di voci maligne, si faccia ingiustizia a uomini innocenti, o piuttosto a voi stessi». Da una parte il testo è una difesa e dall’altra una sorta di resoconto della vita dei cristiani e dei loro insegnamenti (I,3,4; 4,6; 14,2-3).
Come già accennato, oltre a ricorrere alla teoria del furto e del plagio (II,59-60), che si limitava a spostare il problema senza risolverlo e già usato nell’apologia giudaica, il martire elabora una teoria del logos spermatikòs (cf. Introduzione, p. 75-73; I,21; II,7(8); 10; 13,3-6), secondo cui il logos individuale è una parte del logos universale che, incarnatosi in Gesù, preesisteva a lui. Esso ha trasmesso agli uomini semi di verità. Per questo alcuni filosofi, come Socrate accusato delle stesse colpe dei cristiani, hanno potuto scoprire determinate verità mediante l’indagine filosofica.
Cristo è l’incarnazione del Logos eterno, sempre esistito e sempre manifestatosi tra gli esseri umani, per cui coloro che hanno vissuto secondo il Logos sono cristiani, anche se sono considerati dall’umanità atei, come – tra i greci – Socrate ed Eraclito e tra i personaggi dell’Antico Testamento: Abramo, Mosè e Aronne. Nell’antichità solo i profeti veterotestamentari hanno avuto una piena conoscenza del Logos. I filosofi greci (ad esempio, Socrate: cf. II, 40,5ss), invece, hanno avuto una conoscenza parziale di quest’ultimo perché sono stati probabilmente influenzati dai profeti (cf. I,31-43, soprattutto 36: regole di ermeneutica) e da Mosè (cf. I,32; 54,5ss; 62, 2-4), considerato da Giustino il primo profeta secondo il credo dei samaritani e «il più antico di tutti gli scrittori greci» (I,44,8). Lo stesso Platone ha preso da Mosè molteplici concetti, che poi ha sviluppato nelle sue opere, tra cui la creazione e la conflagrazione finale (cf. I,44,8ss; 59-60), affermazioni, queste, che servono per supportare la tesi dell’apologista: «Non siamo dunque noi che professiamo le stesse dottrine degli altri, ma sono tutti gli altri che continuano ad imitare e ripetere le nostre» (I,60,10).
Per quanto concerne la dottrina del Logos divino, «nato senza unione carnale» (I,21,1), Giustino detiene un primato: è il solo apologista che abbia affermato che il dogma cristiano dell’incarnazione non rappresenta nulla di nuovo, ma ha dei suoi precedenti nella mitologia greco-romana, tenendo a precisare, però, che tali miti sono una «corruzione della testimonianza profetica» (cf. nota 3, p. 209). Com’è possibile leggere nell’ampia Introduzione, la teoria del logos spermatikòs può essere vista secondo due prospettive distinte, ma convergenti: da una parte essa approfondisce la via aperta antecedentemente da Filone di Alessandria (30 a.C.-45 d.C.), che mirava a legittimare la cultura ellenistica in quegli aspetti considerati positivi perché propedeutici alla rivelazione cristiana; dall’altra, tale teoria rischia di risolversi in un argomento circolare che – mentre estende i confini del logos cristiano – li misura e li subordina ai suoi criteri di verità (cf. I,60,10; II,13,4). Così afferma Giustino: «tutti parlano imitando le nostre dottrine» (I,60,10) e «ciò che tutti hanno detto bene, appartiene a noi cristiani» (II,13,4). Giustino inaugura, così, una via nuova che sarà percorsa e approfondita dai teologi successivi. Ancora oggi, pertanto, la figura di Giustino è quanto mai attuale, soprattutto per quanto concerne la capacità di dialogare insita nella sua Apologia (cf. p. 21). Egli è altresì l’uomo del dialogo che «non si rivolge soltanto ai neofiti e ai cristiani di lunga data, ma anche agli ebrei che accettano di discutere con lui sulle Scritture, e ai pagani interessati al fenomeno cristiano o semplicemente curiosi» (ivi).
Sì, probabilmente è vero che «Giustino non è un autore facile: a tratti apparentemente prolisso e diffuso, e, più volte, di una densità quasi impenetrabile» (p. 120), ma al curatore Munier e alla sua équipe – grazie a questo lavoro mirabile di introduzione e apparato critico, nonché all’accurata traduzione da parte della studiosa e religiosa Maria Benedetta Artioli della Piccola Famiglia dell’Annunziata – va il merito di aver dato, oggi, la possibilità a numerosi studiosi e appassionati di Storia della chiesa e del cristianesimo dei primi secoli di riscoprire un cristiano attuale, quale è Giustino: filosofo e martire come ebbe dire un altro grande cristiano del III secolo, Tertulliano (Adversus valentinianos 5,1).
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 1-4/2014
(http://www.pftim.it)
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