Natale è una festa capace di accendere i cuori, non solo quelli dei credenti, e di stimolare la letteratura e la poesia. Anche il filosofo Jean-Paul Sartre nel Natale del 1940, prigioniero in un campo nazista, scrisse e interpretò un testo teatrale sulla nascita di Gesù. Insieme alle pagine del filosofo cattolico Jean Guitton, dello scrittore Erri De Luca e di Agostino Clerici - autore del Racconto - le pagine di Sartre formano un mirabile intreccio, che si presta anche ad essere rappresentato.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Elogio dell'incarnazione
Il testo che viene qui proposto è stato pensato e scritto per essere letto e declamato, con l'accompagnamento della musica. In effetti è stato rappresentato nella chiesa di Santa Brigida a Ponzate (Como) la sera del 15 dicembre 2012 con la voce recitante dell'attrice toscana Erika Renai e le pause musicali del violinista varesino Stefano Grossi.
L'intreccio di testi - Erri De Luca, Jean-Paul Sartre, Jean Guitton, cui s'aggiunge chi scrive - bene si presta ad un del Natale.
Ovvero, un Fatto inaudito prima di quando avvenne, ma, da allora, continuamente raccontato ed ascoltato. La vera notizia del Natale è l'incarnazione di Dio, il venire alla luce della Luce entro i confini fragili di una carne umana. La nascita di un bambino qualunque, eppure la nascita di Dio. Questo fatto genera stupore. Genera un discrimine nel panorama religioso dell'umanità e fa del cristianesimo un unicum: l'incarnazione di Dio è oggettivamente uno «scandalo».
Questo avvenimento avvicina Dio, lo rende "uno dal volto umano", eppure rischia paradossalmente di annullare proprio quella "distanza" tra Dio e l'uomo che assicura il successo di una religione, attribuendo a Dio il ruolo di imperturbabile sovrano celeste. Il Vangelo di Gesù, Dio fatto carne, crea, invece, un mondo di fratelli e non di sudditi, e noi non siamo più chiamati "servi" ma "amici".
L'avvenimento dell'Incarnazione, in sé così sconvolgente, rischia pertanto di essere banalizzato e come normalizzato. I cristiani stessi finiscono col vivere la loro fede come una qualunque forma religiosa, annullando di fatto lo "scandalo" dell'Incarnazione: Dio si è fatto vicino ed essi cercano di allontanarlo, Dio si è fatto uomo incontrabile ed essi preferiscono ributtarlo sulla nuvoletta!
Ecco pecche questo "racconto", ma solo uno spunto di riflessione che vorrei condividere con i lettori - occorre fare un salto qualitativo nella considerazione del dogma dell'Incarnazione, che è centrale nel mistero cristiano. La visione di un Dio che si è abbassato - cara alla teologia paolina - deve essere superata e inverata nella visione di un Dio che, grazie al suo viaggio nella carne, si è innalzato.
La domanda - quasi più scandalosa del Fatto stesso - è questa: Dio ha assunto la carne umana come uno svuotamento della sostanza divina, oppure il farsi carne di Dio è un misterioso arricchimento del suo Essere? La domanda è profonda ed antica: cur Deus homo? Perché Dio si è incarnato? Si risponde normalmente con una formuletta da catechismo: per salvare l'umanità decaduta a causa del peccato. Se non vi fosse stata la necessità della redenzione, quindi, non avremmo avuto un Gesù Bambino, una incarnazione, un Natale?
Capisco che la domanda, posta così, in una pagina vagamente introduttiva ad un racconto di Natale, possa quasi sembrare irriverente. Invece è fondamentale. E vorrei suggerire una risposta (che trae spunto dalla riflessione del filosofo medioevale Duns Scoto) che, salvaguardando l'opera della redenzione, non faccia dipendere da essa la bellezza dell'incarnazione.
Infatti, io credo che un cristiano debba tessere un elogio dell'Incarnazione, smettendo di considerarla un "purtroppo" per spiegare la redenzione dell'umanità. La carne dell'uomo Gesù è "necessaria" a Dio per amare se stesso, amando un Altro, che sia degno di Lui ma fuori di Lui, e insieme per essere amato da un Altro, che sommi in sé la perfezione della natura divina e della natura umana. La vita nella carne ha trovato nell'uomo Gesù - quello annunciato a Maria, quello cresciuto nel suo grembo, quello partorito nella povertà di Betlemme - il massimo splendore, sia dell'uomo che di Dio. La Vita, che è da sempre, si è fatta visibile. L'Essenziale è uscito dal silenzio e si è coniugato in Parola.