C'è bisogno di riportare al centro il mistero dell'incarnazione di Dio, vera e propria cifra dell'annuncio cristiano. Relegato tra le pieghe della festa del Natale, si riduce, quando va bene, a struggente memoria della nascita di Gesù Bambino. Invece lo stupore per un Evento inaspettato che è tuttora presente in mezzo a noi deve far riemergere le domande che ruotano attorno al Dio Uomo:" Perché Dio si è fatto carne? "Cosa significa che Dio 'diventa' uomo?" E l'incarnazione è solo 'svuotamento' oppure la Vita di Dio nella carne è l'essenza del suo Essere e del suo Amare? In questo libro - a partire dalle mail scritte da due giovani di oggi e da una 'questione' che è stata oggetto di vivace discussione nelle scuole e nei monasteri del Medioevo, da Anselmo d'Aosta a Giovanni Duns Scoto -l'autore non si sottrae a queste domande, proponendo un abbozzo di teologia dell'incarnazione e alcuni schizzi di predicazione.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Due mail e... una prima risposta
Caro padre, so che lei è molto impegnato, ma visto che ha dato la sua disponibilità ad ascoltare e, nei limiti del possibile, a rispondere attraverso i moderni canali della comunicazione digitale a chiunque la interpelli, mi permetto di disturbarla.
Sì, disturbare, e mai parola è più adatta, mi creda. Intendo proprio confonderla con una forza tutta particolare e disordinare qualcosa che di per sé rappresenta un punto nevralgico dell'ordine che il cristianesimo è venuto ad instaurare nel nostro mondo umano.
La mia domanda è molto semplice, ma non è di quelle che ingolfano la rete e che spesso vedono coinvolti voi preti, come consultori spirituali a metà strada tra lo psicologo e l'amico. Non riguarda il modo di vivere la sessualità, i meandri dei comportamenti umani, la lotta contro i vizi, le regole imposte dalla Chiesa, le appartenenze politiche, le beghe che affliggono parrocchie, gruppi o movimenti... Nulla di tutto questo.
La domanda è una sola, semplice nella sua formulazione ma pesante quanto l'universo: perché mai Dio si è fatto uomo? Perché mai ha abbandonato il cielo per abitare la terra? Perché ha voluto scendere sulla terra appesantendosi con quella carne che così tanti problemi ci crea?
A me pare che avrebbe potuto agire meglio da Dio, usando la sua onnipotenza con quella suprema libertà che si può mettere in campo solo stando fuori dal terreno di gioco.
Avrà capito che io all'incarnazione ci credo, sono cristiano e non mi permetto di dire che si tratta di una invenzione costruita a tavolino da un gruppetto di pescatori della Palestina del primo secolo e che — chissà come — ha avuto successo nelle maglie dell'impero romano. Non le sto chiedendo se è vero che Dio si è fatto uomo: diamo per assodato questo fatto... Le chiedo perché lo ha fatto, sconvolgendo l'intero panorama religioso dell'umanità, che è tutto fondato su una distanza — più o meno profonda — tra Dio e l'uomo.
Mi sono detto tante volte che un Dio sulla nuvoletta è in fondo più comodo anche per l'uomo, mentre un Dio fatto uomo viene a scombussolare le carte e costituisce pure un esempio imitabile.
Ma questo è un problema nostro. A me, invece, piacerebbe sapere — mettendomi quasi dalla parte di Dio — che cosa lo ha spinto a preparare e realizzare una discesa sulla terra con una formula così inaspettata (e così lontana dai canoni, ad esempio, della mitologia greca) in cui Dio si mischia talmente ad un uomo da coincidere di fatto con la sua stessa vita, con le vicende terrene della sua vita in una carne umana.
Lei che è prete, magari, riesce meglio di me a mettersi quasi dalla parte di Dio e a darmi una risposta...
Ci pensi tutto il tempo che ritiene necessario, ma le chiedo il favore di farmi pervenire una risposta entro il prossimo Natale, così da poterlo celebrare con una consapevolezza più grande. Con stima, la saluto e già la ringrazio con tutto il cuore.
Mario C.
Caro don, sono una studentessa di filosofia. Mi considero ufficialmente non credente, ma non riesco a definirmi atea. La realtà mi interessa, tutta quanta, e mi incuriosisce anche quanto riesco ancora a respirare di cristiano in questo mondo, che sembra aver smarrito ogni punto di riferimento che non sia l'apparente affermazione razionale dell'"ego", ogni "ego", ognuno il suo. Mi sento molto carica di passione, mi piace sviscerare i problemi, ma non mi sogno affatto di applicare il "rasoio di Ockham" alla mia vita di relazione e nemmeno lo uso per impostare la mia etica.
Ultimamente sono molto affascinata dalla persona di Gesù, così come traspare dalle pagine dei Vangeli. Mi piace cogliere tutte quelle sfumature di umanità — così rara oggi — che ne fanno un grande uomo e, proprio per questo, un Dio credibile. Essere Dio, facendolo vedere da uomo, a me sembra una intuizione veramente divina, anche quando il volto di Dio viene svelato così diverso da come l'uomo se l'era immaginato e magari da come vorrebbe continuare a vederlo.
Non mi scandalizza affatto che Dio si sia fatto uomo, anzi sarei delusa se non lo avesse fatto e non mi avesse così regalato una versione fresca e desiderabile dell'essere Dio e dell'essere uomo. Perché io in Gesù riesco a cogliere una pienezza, sia della dimensione divina che di quella umana: vi vedo un uomo realizzato — e talvolta mi dico che, come donna, ne sto cercando anch'io uno così — ma anche un Dio più perfetto che se non fosse diventato uomo.
Mi ha deluso sentire l'altro giorno un teologo, invitato in un salotto televisivo, pontificare sull'incarnazione di Cristo come di un evento, decisivo solo perché necessario alla salvezza e alla redenzione dell'umanità. Mi ha dato la sensazione che i cristiani, investiti da una così grande notizia — Dio che si è fatto carne l'abbiano intesa semplicemente come l'annuncio di un oscuro abbassamento — per giunta provvisorio e accidentale — tutto proiettato alla morte di croce.
Una botta di vita solo per colpa del peccato di Adamo?
Non so come la pensi tu su questa cosa. Mi piacerebbe molto se condividessi con me la tua personale percezione del Dio fatto carne. E se mi aiutassi intanto a capire e poi, magari, anche a credere... Con affetto
Elena R