Quando nel 1250 Federico II emise le Assise di Melfi il papato si oppose non tanto perché venivano lesi alcuni diritti ecclesiali (si sarebbe trattato, in questo caso, di bassi interessi personalistici), bensì perché, con quell’atto, lo Stato pretendeva di poter legiferare su tutto, sottoponendo al diritto positivo (cioè alla legge scritta da un determinato legislatore) anche il diritto naturale.
Ma cos’è esattamente la legge naturale? Tommaso Scandroglio, dottorando in Filosofia del Diritto presso l’Università degli Studi di Padova ed assistente di Filosofia del Diritto e Filosofia Teoretica presso l’Università Europea di Roma, riesce ad affrontare un fondamentale tema filosofico e morale riuscendo a rendersi perfettamente comprensibile grazie a un taglio che, senza mai venire meno alla scientificità, abbonda di esempi che ci possono far capire quali sono le implicazioni della rinuncia alla legge naturale.
Infatti sembra che i “diritti” per i quali si batte la cultura contemporanea consistano soprattutto nell’abbattimento dei principi naturali e, quindi, nella rinuncia ai diritti fondamentali della vita: l’aborto e l’eutanasia, tanto per cominciare; poi la distruzione della famiglia naturale, l’inversione dei valori (grazie ad un ecologismo che mette sullo stesso piano vita umana ed animale o vegetale) e via dicendo.
Il tutto è possibile perché si ritiene che il diritto naturale sia sullo stesso piano di quello positivo: modificabile a piacimento, a seconda dei gusti della maggioranza del momento, seguendo i dettami della moda o della società. Esattamente il contrario di ciò che è invece la legge naturale: inamovibile ed immutabile.
Tratto dalla rivista Radici Cristiane n. 35 - Giugno 2008
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