Credo la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen. Meditazioni patristiche su due articoli del credo
EAN 9788889736319
Tra questi ultimi è da annoverare il volumetto che ben volentieri segnaliamo per l’argomento che l’autore ha affrontato, che ci sembra di grande attualità nella società occidentale sempre più freneticamente immersa e forse eccessivamente appiattita sui problemi contingenti e materiali dell’uomo, senza alcun colpo d’ala; ma soprattutto centrale per le comunità cristiane nelle quali, per svariati motivi, risultano sbiaditi gli orizzonti ultimi del pellegrinaggio terreno con conseguente incidenza negativa per il vivere quotidiano del cristiano.
L’articolo di fede sulla risurrezione della carne e sulla vita eterna – che la bimillenaria tradizione della chiesa ha continuamente riaffermato nell’opera letteraria-teologica dei padri e dei maestri, dei catechisti e dei martiri, lasciandoci testimonianze indelebili nella epigrafia cimiteriale e contribuendo a costruire esistenze ricche di speranza – diventano oggetto di una lunga e articolata meditazione che assume la concorde coralità di alcune nitide voci patristiche.
La competenza dell’autore, docente presso la Facoltà Teologica del Triveneto – a cui si deve, tra l’altro, la pubblicazione di una splendida ricerca su La figura di Cristo nel Commento al Salmo 118 di Ambrogio di Milano (ed. Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 2003, pp. 294) dove l’autore esplora con rigore scientifico la metodologia esegetica (si veda anche il suo: Ambrogio di Milano e la Bibbia, Queriniana, Brescia 2004, pp. 120) e mette in luce i contenuti teologici dell’opera ambrosiana con esiti originali (il Cristo Dio e uomo, il rapporto di Cristo con la Chiesa, e con ciascuna anima credente) – e la chiarezza dell’esposizione rendono ragione di un articolo di fede che fonda le sue radici nella Scrittura, in particolare nelle affermazioni paoline (1Cor 15,14-20) e che si codifica nei vari Simboli che la storia dei primi secoli ci ha tramandato (cf. pp. 11-14).
Le cento pagine di meditazione sono scandite in otto capitoletti. I titoli fanno intravedere il tracciato del vivere cristiano in ogni epoca e latitudine: «Dove converge tutto il disegno di salvezza»; «La fede in Gesú Signore»; «L’áncora dei primi cristiani»; «Salus carnis: la salvezza anche per la carne»; «Conformati alla gloria del corpo del Signore»; .«Il giorno dopo il sabato»; «La scala del paradiso»; «Venga la risurrezione dei morti!».
Da parte dell’autore c’è una manuductio del lettore, aiutato a ripercorrere il cammino solcato da autorevoli compagni di viaggio che, diffusi nelle varie città dell’Impero romano, hanno dato univoca risposta alla domanda: «Cosa ci aspetta ‘dopo’?» (l’apostolo Paolo su tutti, ma anche scrittori ecclesiastici quali Ignazio di Antiochia, Giustino di Flavia Neapolis, A Diogneto, Ireneo di Lione, Tertulliano di Cartagine, Origene di Alessandria, Cirillo di Gerusalemme, Rufino di Concordia, Ambrogio di Milano, Agostino di Ippona, Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo, Massimo il Confessore, Germano di Costantinopoli, ecc.). Risposta che comporta sia l’intelligenza della fede (per darsi e dare ragione della speranza che è in noi) sia la trasformazione dei comportamenti della nuova vita ricevuta con il battesimo.
«Non si possono leggere queste antiche testimonianze di ricerca teologica, con tutte le fatiche che le hanno accompagnate, senza provare un sano stupore davanti all’audacia del cristianesimo. Ci viene detto che l’anima umana non merita il paradiso senza il corpo, e che la sua vita eterna comincia veramente fin da quaggiù» (pp. 68-69).
Il recensore non può che augurare a questo libretto, prezioso per il tesoro teologico-spirituale che contiene e che ci è stato lasciato in eredità, un’ampia diffusione e molti e stupíti lettori.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Forse sono pochi i cristiani che prestano seriamente attenzione quando recitano il Credo durante la messa, se i risultati di recenti indagini rivelano che la consapevolezza del reale contenuto dei principali «articoli» della nostra fede è quanto meno un po' incerta anche tra i più assidui praticanti. In particolare, le idee sembrano assai confuse riguardo alla risurrezione della carne e alla vita eterna, spesso fraintesa come semplice immortalità dell'anima (trascurando il corpo) o addirittura come reincarnazione.
Così non era tra le prime generazioni cristiane, perché il credere nella risurrezione, di Cristo e nostra, era un punto decisivo sul quale si giocava tutto il senso della fede. Lo ricorda, come sappiamo, Paolo in 1 Cor 15,14-20 e lo ribadiscono molti Padri della Chiesa, in diverse occasioni, soprattutto per combattere le interpretazioni erronee e le polemiche anticristiane. G. Maschio, prete della diocesi di Vittorio Veneto, docente di Patrologia allo Studio teologico di Treviso-Vitto rio Veneto, ci propone una serie di meditazioni sugli ultimi articoli del Credo (Credo la risurrezione della carne, la vita eterna) basate su testi dei Padri, per aiutarci a riconoscere la sua importanza non solo come dogma da conoscere, ma anche rispetto al senso che esso può dare alla nostra esistenza. Non è mai stata una verità facile da accettare per gli uomini, tanto che gli stessi seguaci di Gesù non vollero credere a chi annunciava loro la risurrezione, come ci ricorda Mc 16,9-14. Eppure ben presto fu chiaro che questo era il punto decisivo della verità del cristianesimo: la risurrezione di Cristo rende possibile la salvezza anche per la carne, infrangendo il disprezzo per il corpo che la tradizione filosofica neoplatonica e la gnosi avevano diffuso nell'ambiente culturale dell'epoca, come documentano testi di papa Clemente, Giustino, Origene contro Celso, Ireneo di Lione e di altri, brevemente ma efficacemente commentati dall'autore. Perché combattere così aspramente gli gnostici? Perché, «maestri di un cristianesimo d'élite» (p. 58), disprezzano la visione popolare dei comuni cristiani, rifiutando e deridendo l'idea della corporeità dei risorti; ma «negando la risurrezione della carne si disimpegnano anche dalla carità concreta» perché «non ne vedono più la ragione vera» (p. 61).
La vera risurrezione dei corpi, poi, va nettamente distinta anche dalla nozione filosofica dell'immortalità dell'anima, come ribadisce Ambrogio, perché l'uomo ha per fine un rapporto di comunione con Dio, non un'immortalità «senza il soffio della grazia» (p. 75). Perciò si considerava «un grave sacrilegio» non credere alla risurrezione dei morti, perché equivaleva a negare tutta la vita di Gesù Cristo e la sua stessa missione: «Se non è risorto per noi, non è affatto risorto, perché non aveva motivo di risorgere per sé», come afferma Ambrogio (p. 76). G. Maschio sa cogliere nei Padri espressioni di inusitata audacia poetica (e teologica!) — come: «Dio riposerà quando farà riposare noi in se stesso» (p. 82) — dotate peraltro di una straordinaria efficacia nel guidarci verso la contemplazione del «mistero»; questa, per esempio, tratta dalla Città di Dio di Agostino: «Lì riposeremo e vedremo, vedremo e ameremo, ameremo e loderemo.
Questo si avrà senza fine, alla fine» (p. 82). Sono espressioni che, apprezzate e rielaborate dai grandi spirituali del Medioevo, possono però sconcertare l'uomo contemporaneo, che si ritiene solo artefice del proprio destino e ha perduto così il ricordo della promessa di una vita e di una patria (la Gerusalemme celeste) che rappresenta, invece, nella consapevolezza dei Padri, l'orientamento più sicuro dell'esistenza del cristiano. E così accade che «ostinatamente si chiami conquista di civiltà quello che è piuttosto un nuovo sofisticato controllo della libertà di tutti»; per questo — come suggerisce G. Maschio — «ha senso far riascoltare oggi questi canti, quasi a risve gliare ciò che dorme nel fondo dell'animo umano e dargli ancora ali per ritrovare le cose vere» (p. 86). Nei Padri era ben viva la consapevolezza che così come la risurrezione di Cristo non poteva che passare attraverso la sua crocifissione, la croce è anche per il cristiano «la via al cielo», in quanto «strumento di una redenzione estesa a ogni tempo e spazio, all'intero cosmo» (p. 87).
E qui G. Maschio propone un'altra delle molte perle di spiritualità e di fede che sa scovare nello scrigno della letteratura patristica: un inno contenuto in un'antica omelia di un anonimo autore, in cui la croce è simbolicamente raffigurata come un albero di vita, fiorito e ricco di frutti, «sostegno dell'universo, / supporto del mondo intero, / vincolo cosmico che tiene unita / la instabile natura umana» (p. 88). Una simbologia destinata anch'essa a diventare uno dei cardini del patrimonio spirituale e icono-grafico del cristianesimo. Oppure l'accostamento tipologico, proposto da Ambrogio, della croce alla scala di Giacobbe, quali segni della comunione tra cielo e terra (p. 94). Questo è un libro da meditare — come invita a fare il card. M. Cè nella breve ma intensa presentazione — non per cercarvi l'argomentazione dottrinale (che pure ben solidamente sottostà a ogni pagina), ma per lasciare che la mente si soffermi a «ruminare» queste verità, affinché poco per volta esse possano acquistare quella forza capace di orientare la vita, come accadeva appunto per i Padri e per i fedeli affidati alla loro cura pastorale. E nei testi proposti si possono scoprire esempi di una bellezza nell'espressione letteraria che ben si adatta all'arduo compito di condurre la mente, valorizzando le poenzialità positive dei simbolismi, alla contemplazione di colui che è Bellezza.
Tratto dalla rivista "Credere Oggi" n.1 del 2008
(www.credereoggi.it)
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