Opere complete vol. 7
-Introduzione all'esistenzialismo
EAN 9788889231456
Con questo volume (numero 7) delle Opere complete di Cornelio Fabro, si svela il cammino iniziale intrapreso con cura e minuziosità dal nostro filosofo, nello studio che occupò profondamente il suo interesse per lunghi anni, per non dire da sempre. Dall’inizio della sua speculazione filosofica il suo personale interesse è rivolto “all’esistente”. Si tratta, di fatto, di un orientamento che egli stesso confermerà negli ultimi anni della sua carriera accademica come un qualcosa che lo ha ininterrottamente interessato. Così, in riferimento ad uno dei sui primi studi intitolato “Avicenna e la conoscenza divina dei particolari”, pubblicato negli anni ’35 nel Bollettino Filosofico del Pontificio Ateneo del Seminario Romano, dirà a distanza di 50 anni, che avrebbe dovuto dire “dei singolari” invece “dei particolari”, rendendo noto con questa affermazione la sua sintonia già “in anticipo”, con la preoccupazione centrale della “novissima filosofia”’. Interesse che trovò il culmine delle sue aspettative e la conferma delle sue intuizioni nel momento in cui ebbe la grazia o “la mezza disgrazia” (come affermerà nei suoi Appunti di un Itinerario, in “Essere e Libertà”), di conoscere Søren Kierkegaard. Il libro che presentiamo risulta propriamente una introduzione, se così lo si vuol definire sia dal punto di vista della sua stesura (la quale non supera le 160 pagine), sia a partire della maniera in cui sono esposti i diversi temi in mezzo ai quali è possibile trovare la definizione precisa di parecchi concetti coniati dallo stesso pensiero esistenziale che iniziava a farsi strada nella decade del ’40 quando fu scritta la prima edizione di questa opera (1943). È opportuno sottolineare, in questa sede, che è stato appunto il 1940 l’anno in cui Padre Fabro “scoprì” la prima opera del Socrate Danese intitolata: “Il Concetto dell’Angoscia”. Per capire l’interesse di Fabro nello scrivere al riguardo di quest’argomento, bisogna fare attenzione all’indirizzo dominante del momento, che portò alla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale. Avvenne così, che la scoperta ad esempio di un filosofo come Kierkegaard, in un momento talmente cruciale della storia, ebbe un’importanza unica nel suo cammino di pensatore, come riconobbe ancora negli Appunti di un Itinerario: «Penso che questo incontro, tuffandomi in un lavoro che diventava sempre più impegnativo e affascinante, mi aiutò, più di qualsiasi altra cosa, a sopportare gli enormi disagi della guerra». Sembra importante in questo contesto cronologico riportare quanto il nostro filosofo dichiara in una intervista rilasciata al prof. Valerio Verra dal titolo “Parlano i filosofi italiani” (Edizioni RAI, 3, 1972); dice Fabro: «Dal 1935 al 1940 mi ero occupato prevalentemente di metafisica e fenomenologia (La nozione metafisica di partecipazione, Fenomenologia della percezione, Percezione e pensiero): l’intento era di orientarmi sulla tensione di trascendenza-immanenza che polarizzava in Italia e fuori l’opposizione fra il pensiero classico e il pensiero moderno. Questo mi portò ad ingolfarmi nello studio dell’idealismo tedesco e specialmente di Hegel, che ho sempre continuato soprattutto sotto la spinta delle risoluzioni antitetiche dell’esistenzialismo e del marxismo. Al primo dedicai l’asciutta Introduzione all’esistenzialismo, al secondo una comunicazione al Congresso di Filosofia a Roma nel 1946 (La non filosofia del comunismo) e più tardi il volume di saggi Tra Kierkegaard e Marx. Appena uscito dall’incubo e dal trauma della guerra mi imbattei nell’opus maximum di Sartre, L’être et le néant (1943): fu un ufficiale francese, incontrato per caso in via del Tritone sulla fine di giugno del 1944, che mise a mia disposizione la copia del Circolo ufficiali dell’armata francese di piazza Barberini. L’impressione fu profonda e complessa. Da una parte questa “filosofia del nulla” mi sembrò (e mi sembra tuttora) l’inevitabile punto di arrivo dell’immanentismo moderno; dall’altra parte al fondo del cogito-volo moderno stava un’istanza di libertà radicale che mi affascinava e che vedevo frustrata dalle forme più diffuse del pensiero contemporaneo. Abituato ormai alla lettura dei classici inglesi (specialmente Hume) e tedeschi (specialmente Kant, Fichte e Hegel), confesso di aver prestato scarso interesse alla filosofia italiana ufficiale: cascami di positivismo e idealismo, per lo più seguaci di Ardigò, Croce e Gentile, un fenomeno di dissoluzione in cui è finita anche la cosiddetta scuola neoclassica della Cattolica di Milano avvicinatasi a Gentile e sfociata ora nel nichilismo di Emanuele Severino. Una delusione non meno profonda provai in questo frattempo al contatto con la “Kierkegaard- Renaissance” di Barth-Jaspers-Heidegger, che mortificava la protesta antihegeliana del singolo davanti a Dio fatta dal protestatario danese alle cose vecchie della teologia e filosofia germanica. Di qui il progetto, iniziato fin dal 1940 e che continuo a portare avanti, di un contatto diretto con tutta l’opera kierkegaardiana dei trattati e degli scritti edificanti ed in particolare con la mole dei 22 volumi dei Papirer che costituiscono la chiave indispensabile dell’interpretazione del suo pensiero e della sua vita. Effetto non trascurabile, penso, di quest’impegno è che l’Italia dispone oggi della traduzione dall’originale delle opere più rappresentative del grande danese, riconosciuto ormai come il più acuto critico di Hegel e del principio d’immanenza». Il libro in esame è diviso in quattro capitoli orientati a chiarire, ogni volta di più, che cosa deve intendersi per Esistenzialismo, guidando il lettore in un veloce percorso il quale, benché agile, raggiunge comunque lo scopo di presentare il nucleo del pensiero dei principali protagonisti che hanno generato questa corrente filosofica. Nel primo Capitolo: Il Significato dell’Esistenzialismo, Fabro sviluppa gli argomenti che spiegano la nascita di questa corrente di pensiero e, anzi, ne riconosce i meriti con espressioni come le seguenti: «Il problema: “cosa sia l’essere” torna, per merito dell’Esistenzialismo a formare il perno del filosofare» (p. 14); «L’Esistenzialismo vuol ricondurre la filosofia all’essere» (p. 17); e così via. È, infatti, possibile trovare un continuo susseguirsi d’affermazioni che rinforzano ancora l’idea: «L’Esistenzialismo, con perfetta coerenza, ha svalutato anche le scienze sperimentali e definitive poiché deliberatamente si arrestano al significato ed al risultato esteriore della realtà, dimenticando del tutto l’essere che veramente è e rispetto al quale ogni altra per noi cosa si pone nell’essere e riceve un indice di valore, l’essere dell’uomo» (p. 19). Nel Capitolo secondo, Fabro presenta l’approfondimento del pensiero esistenziale tramite la “testimonianza” di prima mano di quelli che sono stati in realtà gli inventori di questa corrente fondata a partire in certo senso dalle vicende drammatiche della loro propria vita. Il criterio seguito da Fabro nella scelta di questi pensatori si trova nell’ampia Nota Bibliografica che appare alla fine del libro, dove riconosce che lo scopo di presentare questi autori «è stato principalmente di mettere in vista lo sviluppo graduale e la coesione intima fra le forme del pensiero esistenziale nell’intento di tracciare le linee di una “filosofia” che vuol assumere in sé il movimento dell’essere come tale. L’Esistenzialismo, come e più delle altre filosofie, ha maturato i suoi temi per contrasti e continue riprese. Perciò, accanto al fondatore Kierkegaard, si è fatto posto al romanzierefilosofo russo Dostojevskij ed al poeta-filosofo Nietzsche, senza dei quali non è ormai possibile comprendere lo sviluppo dell’Esistenzialismo ed il volto attuale della vita europea» (p. 125). Merita un rilievo questo Capitolo, non solo per il denso contenuto filosofico, ma anche per il significativo contributo culturale di cui è possibile giovarsi nella sua lettura, specialmente quando descrive il pensiero di Dostojevskij: di fatti Fabro offre una visione dell’esistenzialismo professato dallo scrittore, sapendola ricostruire anche attraverso la trama delle sue opere principali. A questo punto, il lettore non avrebbe mai immaginato di intravedere nella lettura di quest’Introduzione vasti squarci della trama dei capolavori del grande scrittore russo, come: «Memorie del Sottosuolo»; «Delitto e castigo»; «I Fratelli Karamazoff»; «I Démoni»; «L’Idiota»; ecc., opere per lo più patrimonio della letteratura universale. Ancora una volta, Fabro ci stupisce con la sua maestria nel saper assorbire in un discorso filosofico l’aspetto culturale che lo circonda ed in un’armonizzazione mai forzata. Il Capitolo terzo è dedicato a La struttura dell’Esistenza. È questo uno dei momenti più densi del libro, dove Fabro descrive propriamente quale sia la problematica concreta della filosofia esistenziale, presentando il pensiero dei suoi sostenitori e le loro divergenze, soprattutto per quanto riguarda il definire sia i limiti come le prospettive future. Con l’esposizione del pensiero dei principali rappresentanti della così detta: «Kierkegaard-Renaissance» (Heidegger, Jaspers e Abbagnano), Fabro offre un vasto panorama della problematica. Utilizzando gli stessi termini e le loro stesse espressioni, riesce a fare il punto della posizione di ognuno ed evidenzia come Nicola Abbagnano sia arrivato all’idea più giusta del problema; ma comunque, la discussione è a questo punto «al suo bivio ultimo, alla crisi della crisi che è posta dal dilemma: o idealismo o realismo» (p. 86). Fabro non finirà il Capitolo senza riconoscere, da una parte, i meriti dell’Esistenzialismo in alcuni dei suoi aspetti, lasciando vedere così di nuovo la sua onestà intellettuale che trova sempre quello che c’è di vero e di positivo in ogni pensiero; e dall’altra, prendendo chiara posizione mediante un’analisi dello status quæstionis nel quale definirà che «il problema [...] ben difficilmente presenta una soluzione apprezzabile [...], tanto da parte realista come da parte idealista. Tanto più che sta il fatto, invero scandaloso [...], che vi sono sia realisti, come idealisti i quali, conservando la propria fede di battesimo, aderiscono con tranquilla coscienza all’Esistenzialismo. [...] una delle due: o il tema dell’esistenza è solidale - come vogliono Heidegger e Jaspers - dei principi kantiani [...]; od invece è un richiamo di valore universale alla “sobrietà” del pensiero che può e deve esser raccolto da quanti vedono in tale “sobrietà” la salvezza del pensiero stesso, come pretendono i Realisti. Per sincera convinzione ed anche per coerenza, noi incliniamo per la seconda soluzione: ad essa servirà d’introduzione, come un tentativo ed una trama, l’Esistenzialismo marceliano» (pp. 86-87). Arriviamo dunque al Capitolo quarto intitolato Il Fondamento dell’Esistenza, già anticipato nella conclusione del Capitolo precedente, dove è possibile analizzare la filosofia di Gabriel Marcel, del quale Fabro apprezza aspetti positivi ma non senza farne le convenienti e puntuali critiche. L’epilogo del Capitolo si intitola Esistenzialismo e Tomismo, qui l’autore fa rilevare la tendenza verso il realismo di Marcel, che nella sua sostanza è di “schietto tomismo” (cf. p. 101). Vale sottolineare la conclusione del Capitolo, che servirà anche da corollario dell’intera opera, dove Cornelio Fabro prende la parola di maestro e presenta, in forma sintetica, la sostanza della sintesi tomista da lui stesso riscoperta e ringiovanita; così, nella Nozione di Partecipazione egli mette in rilievo la “deficienza” dell’essere finito ed il suo appello alla Trascendenza come a Principio influente (causa) ed eventualmente termine del movimento, che ha l’esistenza verso la pienezza della vita, ed insieme pone nell’ente un fondo di positività. Questo è il tema che Fabro riconosce come già intravisto “lucidamente” da Kierkegaard e che ha nella dottrina cattolica della Chiesa e dei Sacramenti una soddisfazione quanto sovrabbondante altrettanto inderogabile (cf. p. 111). Il discorso termina con un’analisi molto acuta di come Dio è più presente all’anima che essa a se stessa; e dell’anima nella riflessione su di sé; espresso in un linguaggio tanto poetico, quanto la profondità dell’argomento lo esige (cf. p. 113), mentre la brevissima Conclusione ammette la necessità di scegliere: «Idealismo o Realismo, Razionalismo o Cattolicismo», perché «non c’è via di mezzo» (p. 124). Infine, il punto di riferimento resta sempre Søren Kierkegaard, alla luce della cui filosofia compara e analizza le diverse interpretazioni degli altri esistenzialisti, studiati in questo lavoro. A Cornelio Fabro, spetta l’originalità, malgrado l’opposizione e le opinioni di tanti critici, della scoperta di Kierkegaard (“l’anti-Hegel”), il cui pensiero è ben diverso da quello espresso dalla “Kierkegaard-Renaissance”. Kierkegaard è stato così non solo riscoperto da Fabro, ma anche proposto per la prima volta, con una fisionomia nuova. Vale evidenziare che con quest’opera non ci troviamo ancora d’avanti al pensiero ultimo che l’autore ha riguardo all’Esistenzialismo. Tale pensiero sarà sviluppato ed approfondito ancora in altre pubblicazioni, che videro la luce immediatamente dopo, come: Problemi dell’Esistenzialismo, del 1945 e L’Assoluto nell’Esistenzialismo, del 1954, secondo quanto è affermato nell’Avvertenza, nota scritta dal curatore di questa pubblicazione, Elvio C. Fontana (cf. p. 143). Pertanto ci auguriamo che anche questi lavori possano essere inseriti al più presto nell’elenco di quelle opere già pubblicate dell’Opera omnia.
Tratto dalla rivista Aquinas n. 1-2/2009
(http://www.pul.it)
Il libro, che appare oggi nelle Opere Complete, vide la luce per la prima volta nel 1943, quando la filosofia dell’esistenza iniziava a penetrare un po’ dappertutto. Il nostro Autore sempre pronto a captare ogni segnale apportatore di nuovi fermenti, se ne interessa con molto impegno e in questo libro si propone, come dice lui stesso nella Prefazione «di rintracciare, in forma sia pure elementare, il filo conduttore che svolge il tema dell’esistenza e di coglierne l’autentico volto nonostante, anzi a traverso, i contrasti e gli stessi fallimenti delle filosofie esistenziali» (p. 7). Il libro si articola in quattro capitoli. Il primo tratta del significato dell’Esistenzialismo; il secondo dei temi dello stesso emergenti in kierkegaard, Dostojevskij e Nietzsche; il terzo della struttura dell’esistenza così come si presenta in Heidegger, Jaspers e Abbagnano; e nell’ultimo il fondamento dell’esistenza visto in Marcel, in un primo momento, nella seconda parte in un accostamento davvero interessante tra Esistenzialismo e Tomismo. L’Esistenzialismo è una forte reazione all’Idealismo che, portando a compimento il primato del cogito cartesiano sul sum, ha assorbito l’essere nel pensiero.
Tutti gli esponenti, a partire da kierkegaard, rivendicano la concretezza dell’essere, tornando al senso di stupore e meraviglia di fronte ad esso con cui Aristotele fa iniziare il filosofare. L’Autore è dichiaratamente d’accordo con questa prospettiva che fa un ritorno deciso all’essere. Questa giusta esigenza, tuttavia, identifica l’essere con l’essere dell’uomo, del singolo e, indulgendo tanto sulla singolarità dell’esistente, rende molto problematica ogni possibilità di pronunciarsi sull’essere stesso. Infatti, passando in rassegna gli esponenti dell’Esistenzialismo, si conclude con una variegata puntualizzazione che spesso ha in comune solo l’identificazione dell’essere con la soggettività del singolo che non si può pensare se non incomunicabile. Da ciò si evince la grande difficoltà di comprensione, anche per l’ermetismo con cui le varie analisi esistenziali sono espresse. Da qui, inoltre, l’indefinita possibilità di interpretazioni dell’essere. Pertanto, nella disamina dell’Autore non si nasconde tale difficoltà, pur rivendicando il merito dell’Esistenzialismo di aver riportato il filosofare al suo compito primario che è la ricerca dell’essere, appunto, dopo l’ubriacatura della ragione di hegeliana memoria. Scrive, infatti, il Fabro: «La chiarezza cristallina di una ragione illimitata e onnipotente all’atto pratico ci ha delusi e ci delude ad ogni rinnovato tentativo di toccare il fondo dell’essere nella vita, nell’arte, nella politica.
Malgrado ogni promessa e i più generosi propositi, ci troviamo in balia di forze che sfuggono ad ogni controllo e contrastano con la pretesa evidenza dell’anticipazione più seria e precisa. E questa realtà allora ci deve far riconoscere che l’essere, se obbedisce a qualche ragione, questa non è certo la nostra. Costatazione di un’importanza così capitale, come lo è la vita e quanto ad essa fa capo. L’Esistenzialismo ha avuto ed ha un senso vivissimo di tutto ciò, e almeno su questo bisogna essergliene grati. Che poi in esso vi siano molti elementi caduchi, che più di un momento dello stesso metodo vada ripudiato non è impossibile, anzi è più verosimile per l’Esistenzialismo che per qualsiasi altro sistema: per parte nostra la esposizione che seguirà avrà più di una opportunità per darne qualche elementare indicazione» (p. 25). Da questo stralcio della Prefazione cogliamo la capacità di penetrazione e di equilibrio nel pronunciarsi su una corrente di pensiero che, rispetto al tempo in cui il Fabro scriveva, avrebbe avuto ulteriori e molteplici sviluppi.
Tratto dalla Rivista di Scienze dell'Educazione n. 3/2009
(http://www.pfse-auxilium.org)
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