De immortalitate animae. L'immortalità dell'anima
(Patristica) [Con sovraccoperta stampata]EAN 9788889094600
Siamo di fronte quasi a tre volumi in uno. In primo luogo, il testo latino della bella operetta agostiniana, desunto dal Migne (PL 32, 1021-1034) e riprodotto senz’apparati critici (cf. p. 16). L’opera che, come scrive Nello Cipriani, è «del tutto singolare, che richiede molta fatica a chi vuole capirla, tradurla e spiegarla» (p. 7), fu redatta da Agostino «nella primavera del 387, prima di essere battezzato e, come riportato nelle Retractationes, dopo il suo ritorno a Milano» (p. 40). In secondo luogo, la versione italiana, preceduta da un’ampia e documentata Introduzione (pp. 19-61) e con abbondanti note epesegetiche, bibliografiche e logico-formali. In terzo luogo, un succoso trattatello di logica moderna, propedeutico all’interpretazione logico-formale del testo di Agostino, posto da Balido in Appendice (pp. 169-205). In questa si leggono, nella prima parte, precisi elementi di logica enunciativa (o logica proposizionale): la logica enunciativa prende in considerazione gli enunciati, ovvero la mera espressione linguistica che può essere vera o falsa, senza indugiare sul senso dell’enunciato stesso; nella seconda parte, elementi di logica dei predicati: questa logica «consente di superare le difficoltà che si presentano nell’ambito del calcolo enunciativo, quando si utilizzano espressioni linguistiche quantificate, espressioni, cioè, che contengono termini come “tutti”, “ogni”, “qualche”, “qualcuno”, “qualcosa”» (p. 191).
Non mancano cenni di logica del secondo ordine che, rispetto a quella del primo ordine (che quantifica soltanto le variabili individuali), «quantifica anche le variabili predicative » (p. 197), come accade, ad esempio, nell’asserto “Napoleone ha tutte le qualità dello stratega”, laddove il termine sincategorematico “tutte” «si riferisce a proprietà o predicati» (p. 198). Non soltanto, dunque, una nuova versione italiana, dopo quella di Domenico Gentili del 1976 e di Giovanni Catapano del 2003 (cf. Premessa, p. 15), peraltro sempre assai difficile, se si tien conto del fatto che l’opera agostiniana è «nata come una raccolta di appunti da utilizzare per il completamento dei Soliloquia e perciò frutto di riflessioni in cui si accavallano idee che rilevano ora il procedere del logico ora quello del retore» (p. 124).
Difatti, «la necessità di questo lavoro risiede nel fatto che Agostino sentiva l’esigenza di finire immortale l’animo, perché sede inseparabile di una disciplina, la “dialettica”, coincidente con la verità e perciò con l’immortalità» (p. 41). Anzi, oltre che una nuova versione, una vera e propria “nuova” interpretazione di questo testo la cui «struttura argomentativa» nacque come «promemoria per successivi sviluppi» (p. 42). Un testo, peraltro, finora mai sottoposto a «una lettura logico-formale» (dalla Prefazione, p. 11), benché a tutti dovrebbe esser noto che «Agostino è un profondo conoscitore sia della logica stoica sia di quella aristotelica» (ivi), di cui la logica simbolica contemporanea è da ritenere «lo sviluppo rigoroso» (ivi). Proprio per questo, l’attacco dello scritto agostiniano, il cui scopo è quello di giustificare razionalmente l’asserto che l’anima è immortale, viene svolto mediante il termine “disciplina” che, chiarisce Balido, «non va inteso come erudizione (eruditio), possesso cioè di una conoscenza acquisita attraverso lo studio, ma come struttura dottrinale che produce e accoglie conoscenze certe ed è in grado di alimentare un’attività intellettuale che si esprime nelle forme oggettive della scienza» (p. 64, n. 1). Purtroppo, «la fatica di Agostino sembra arrestarsi in modo improvviso, dando l’impressione di un lavoro lasciato in sospeso e, perciò, bisognoso di un’ulteriore revisione, per chiarire e approfondire molti punti difficili» (p. 61). Questo Agostino, già dalle prime battute presenta anche notevoli difficoltà dal punto di vista logico-formale (cf. p. 44), in quanto «fa uso di inferenze complesse non riducibili a quelle della logica del Tardo Antico, anzi non riducibili neppure a quelle della scaltrita logica dei giorni nostri» (p. 12).
Superando la logica del primo ordine (a cui non sono riducibili, per esempio, espressioni come essentia, natura, cogitatio…) e perfino del secondo ordine, che comunque non riesce a rendere conto dell’èidos, Agostino “costringe”, in qualche modo, il suo interprete a “forzare” tutti quei testi non «trascrivibili nel calcolo enunciativo ed in quello della logica dei predicati n-argomentali» (p. 14). Ecco perché Balido, quando si trova di fronte a un tal tipo di testi, simbolizzando alcuni termini di per sé non simbolizzabili, li scrive ricorrendo, talvolta, a una costante individuale. Oppure, quando la simbolizzazione del linguaggio ordinario farebbe rischiare «di confondere la proprietà di un ente con ciò che rende possibile a quell’ente di acquisire tale proprietà» (p. 77), ovvero di confondere l’effetto con la causa, lo fa puntualmente notare, cercando comunque di scavalcare in qualche modo l’ostacolo, per esempio inserendo delle «proposizioni che interessano la logica modale» (p. 125, n. 130).
Tuttavia, rispetto ad altre operazioni similari che a volte non solo forzano, ma eliminano totalmente i testi che presentino difficoltà di simbolizzazione, alla simbolizzazione logica Balido fa sempre precedere quella informale, anche per consentire al lettore di apprezzare non soltanto il rigore argomentativo del logico Agostino, perfino nel dilemma costruttivo del paragrafo 11.18 (p. 138), ma anche per far apprezzare la ratiocinatio del retore con le sue peculiari forme retoriche lunghe. Così, pure, ogni volta che può, Balido ricostruisce i passaggi logici mancanti in alcune argomentazioni agostiniane (entimemi e brachilogie), per esempio dove si tratta appunto di «un’entimema, cioè di un’inferenza in cui sono saltati i passaggi» (p. 75).
Altre volte, ritenendo comunque di non forzare i testi né di tradirne lo spirito, oltre che la lettera del testo agostiniano, Balido ne riscrive, in linea con la struttura profonda del testo, l’argomentazione logica (cf. p. 147, n. 162), peraltro facendo tesoro di un «articolo pionieristico» di Michele Malatesta (p. 149, n. 163). L’autore annota di tanto in tanto il limite della logica dei nostri giorni, che non è in grado, per esempio di simbolizzare l’asserto “Ogni essenza è tale in quanto è” (cf. p. 143) «perché l’essenza non è il predicato di qualche cosa. Ci troviamo, infatti, a un livello di logica non analizzabile con gli strumenti moderni» (p. 143).
In tal caso, Balido si limita «alla sola ricostruzione nel linguaggio informale, poiché non possediamo gli strumenti simbolici adeguati per una trasposizione logico-formale» (p. 154, n. 176). La versione dal latino, in genere è ben riuscita (tuttavia, “magis est” di p. 112 viene tradotto, forse troppo liberamente, con “ha gradiente di essere” a p. 113; “corpus nostrum nonnulla substantia est” di p. 70 viene, altrettanto liberamente, reso con “il nostro corpo, poi, ha una certa consistenza fisica” di p. 71; così, avrei rinforzato con un “è perché”, a p. 111, la traduzione di “ideo quod inhaeret” a p. 110).
Non mancano numerose difficoltà linguistiche, per esempio nell’interscambiabilità dei termini animus e anima. Balido, pur traducendo il primo termine latino con “animo” e il secondo con “anima”, ritiene, infatti, che essi possano essere usati come sinonimi per indicare l’immortalità dell’anima umana in generale, dunque non soltanto di una sua parte maschile o femminile, anche se «quando, invece, Agostino vuole distinguere le capacità intellettuali dell’anima allora impiega il termine anima rationalis che riguarda mente e volontà» (p. 66). Dal punto di vista antropologico, Balido, in linea con i suoi precedenti studi agostiniani, che lo occupano da una ventina d’anni, ribadisce che l’Ipponense «prende… le distanze sia» dal modello «platonico, per il quale l’uomo si identifica con l’anima razionale, sia da quello plotiniano, che concepisce l’anima caduta in un corpo dal quale si deve liberare, sia, infine, da quello di Porfirio… per il quale “è razionale ogni anima, che partecipa della sensazione e della memoria”» (p. 67).
Dal punto di vista ermeneutico generale, egli si mantiene nella linea, più volte asserita e scritta, di un ripensamento soltanto strumentale, da parte di Agositino, delle teorie filosofiche neoplatoniche. Gli scritti del padre latino, anche nella produzione precedente all’ordinazione presbiterale ed episcopale, non sono legati «a dottrine filosofiche», anzi, il loro stesso «ambiente di formazione è stato profondamente ripensato da Agostino alla luce della fede cristiana» (p. 36).
Tratto dalla rivista "Asprenas" n. 4/2010
(http://www.pftim.it)
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Studente Rocco Pennetta il 31 luglio 2018 alle 21:22 ha scritto:
Nonostante la dissertazione per la metà di tipo empirico matematico agostino ne snocciola la verità di fede partendo dai presupposti logici da cui partirebbe qualsiasi non credente. Molto significativa la copertina:il pavone simbolo cristiano antico dell'immortalità.