Per una metafisica non razionalistica. Discussione su «Metafisica e senso comune» di Antonio Livi
(Sensus communis. Nuova serie)EAN 9788888926599
In questa collettanea Valentina Pelliccia, docente di Filosofia nella Pontificia Università Lateranense, raccoglie alcuni dei commenti seguiti alla pubblicazione dell’opera di Antonio Livi Metafisica e senso comune. Sullo statuto epistemologico della filosofia prima (Leonardo da Vinci, Roma 2007). Gli specialisti intervenuti in questa collettanea sono: Pier Paolo Ottonello (docente di Storia della Filosofia nell’Università di Genova), Ambrogio Giacomo Manno (professore emerito di Storia della Filosofia nell’Università “Federico II” di Napoli), Markus Krienke (docente di Filosofia rosminiana nella Facoltà teologica di Lugano) e alcuni docenti della Pontificia Università Lateranense (Francesco Coralluzzo, Roberto Di Ceglie, Francisco de Macedo, Maria Antonietta Mendosa, Horst Seidl, Flavia Silli), con il contributo di Mario Mesolella, ricercatore nella Pontificia Università Lateranense. La necessità di un tale approfondimento circa il rapporto fra la metafisica e il senso comune, secondo quanto afferma la stessa Pelliccia, è da rintracciarsi non solo nell’originalità del tema trattato da Livi (il senso comune come fondamento epistemico della metafisica), ma anche negli interrogativi che esso è capace di suscitare (che cos’è l’essere per i metafisici?). Difatti Livi, per la radicalità delle sue affermazioni, introduce nel panorama della filosofia contemporanea un tema innovativo, capace di suscitare interessi speculativi ma anche di provocare accese polemiche, quasi sempre derivanti da inevitabili fraintendimenti concettuali. Ora, tali fraintendimenti, ci teniamo a sottolineare, non hanno la loro origine nel modo in cui Livi espone la sua filosofia (Livi è senz’altro uno dei pochi studiosi ad aver adottato costantemente un dettato nitido e intenzionalmente didattico), ma sono da rintracciarsi nel “bagaglio culturale” di ognuno; un “bagaglio”, il cui peso incide e in alcuni casi compromette l’adeguatezza del comprendere. Una sorta di filtro ideologico-formale che affonda le sue radici nella modernità (e più precisamente nei principi metodologici della metafisica cartesiana), che è fonte di equivoci, e dal quale è possibile sottrarsi solo dopo un’attenta e accurata dissertazione sui temi qui trattati: ovvero il senso liviano del ruolo che la metafisica deve attribuire alla conoscenza per esperienza. L’obiettivo di questa collettanea è, dunque, proprio quello di esporre, senza lasciar spazio a compromessi, il senso autentico in cui Livi, attraverso la metodologia della logica aletica, rileva il senso comune quale fondamento epistemico e referente dell’intero discorso metafisico. Non è un caso, infatti, che la Pelliccia, nell’organizzare la stesura del presente lavoro, abbia ritenuto opportuno l’intervento dello stesso filosofo toscano, il quale risponde agli autori della collettanea, proprio come avverrebbe in un reale dibattito pubblico. La Pelliccia non si limita a introdurre, commentare i vari interventi, ma assicura al lettore l’adeguatezza del loro contenuto, mettendo le diverse riflessioni al vaglio della loro fonte “diretta”, il filosofo del senso comune Antonio Livi. Difatti, nonostante la Pelliccia abbia riscontrato in tutti gli interventi un pieno consenso circa «la necessità, nell’attuale dibattito filosofico, di una ricerca metafisica che torni a parlare dell’intero dell’esperienza» (p. 165), non ha potuto fare a meno di rilevare in alcuni di essi la presenza di “fraintendimenti comuni”; fraintendimenti, sia chiaro, il cui mancato chiarimento rischia di compromettere non solo la tesi di Livi, ma la legittimità delle rivendicazioni che gli stessi autori avanzano a partire da quella: mi riferisco in particolare agli interventi di Markus Krienke, Horst Seidl e Pier Paolo Ottonello. A mio avviso, infatti, è proprio a partire dal contenuto di questi interventi che la collettanea assume le caratteristiche di un vero dibattito, intellettualmente provocatorio. Con questo non voglio di certo sminuire il merito e la qualità degli altri interventi (anch’essi ricchi di spunti di riflessione), ma è tra opposte vedute e diversi punti di partenza, che il lettore sente la necessità di “pensare”, “approfondire” e “valutare” le differenti accezioni in cui Livi e i metafisici in genere parlano dell’essere. Ora, ciò che Livi non afferma, ma che costantemente gli viene attribuito implicitamente ed esplicitamente, nella forma dell’equivoco suddetto, da autori come Markus Krienke, Horst Seidl e Pier Paolo Ottonello, è che nell’esperienza originaria ad essere conosciuto è l’esse commune rerum nella sua formalizzazione filosofica (cioè l’intuizione della nozione metafisica di “essere”), e non l’intuizione della dimensione metafisica della realtà (che è l’aspetto fondamentale del pensiero di Livi). Il fatto che Ottonello, così come Krienke (cfr. pp. 83-84), ritenga possibile assimilare la filosofia del senso comune ai presupposti gnoseologici dell’ontologia di Antonio Rosmini (cfr. pp. 22-25); o che Seidl, pur elogiando l’operato del filosofo toscano, consideri metafisica l’esplicazione di un logos che si aggiunge alla empeiria e la trascende (cfr. pp.49-50), non fanno che confermare il nostro assunto, e cioè che esiste, filosoficamente parlando, un «equivoco metafisico dell’essere»; equivoco, che lo stesso Livi tenta di superare criticando quell’uso del termine “essere” che corrisponde a una arbitraria «ipostasi idealistica» o finisce per denotare soltanto un «mero evento linguistico» (p.159). Infatti, Livi, quando parla dell’essere si riferisce unicamente all’intuizione della dimensione metafisica della realtà, e questo sulla base di una sua profonda convinzione: che non si debba limitare lo scibile all’ambito della conoscenza per inferenza; l’obiettivo del filosofo toscano è proprio di fondare l’inferenza sull’esperienza e di riconoscere il ruolo veritativo dell’intero dell’esperienza: del senso comune per l’appunto. Le certezze del senso comune, permettono, secondo Livi, di sostenere la possibilità in atto di distinguere la natura delle res, ossia la differenza delle sostanze (i singoli enti) e delle loro essenze (le differenze e le somiglianze degli enti) già al livello della conoscenza per esperienza, e non esclusivamente della conoscenza per inferenza. E questo perché l’atto conoscitivo proprio della conoscenza per esperienza non si limita, secondo Livi, alla “percezione dei sensi”, ma è simultaneamente apprensione intellettiva dell’essere degli enti (cioè apprensione dell’essere di ciascun ente come identico/analogo a quello degli altri enti), conoscenza della dimensione metafisica della realtà e punto di partenza per una riflessione sistematica sull’esse commune rerum (cfr. pp. 9-10). Al riguardo ha ragione la Pelliccia quando scrive: «Nelle certezze che compongono il senso comune va riconosciuto l’oggetto della metafisica che è l’intero dell’esperienza. I giudizi del senso comune esprimono la realtà nella sua integralità, in quanto indicano tanto la dimensione materiale (dei corpi fisici) quanto la dimensione immateriale (sostanza, forma, essenza, natura e cause) della realtà. Questo perché il senso comune si compone di certezze nelle quali sono presenti i dati della conoscenza per esperienza. Ora, la conoscenza che è acquisita per esperienza ha nella sensazione la sua origine, ma non termina con essa: nel senso che la conoscenza per esperienza non si limita alla raccolta di impulsi sensoriali, per essere tale la conoscenza per esperienza necessita dell’apprensione dell’unità dell’essere delle res da parte dell’ intelletto. Insieme, la percezione sensitiva (che fornisce la conoscenza della dimensione materiale) e l’apprensione intellettiva delle essenze (conoscenza della dimensione immateriale), che i medioevali chiamavano “simplex apprehensio”, costituiscono la conoscenza per esperienza» (p.13). Il che significa che per Livi, diversamente da quello che alcuni autori di questa collettanea gli attribuiscono, la metafisica è già presente in nuce nell’esperienza immediata; e che pertanto non si può parlare del senso comune come di una realtà esperita in un primo approccio ancora “non metafisico”. Il senso comune – così come Livi lo intende – non ha nulla a che vedere con le equiparazioni proposte dagli specialisti testé citati: e questo perché, sulla base delle precedenti affermazioni, non vi è corrispondenza alcuna tra il senso comune e l’idea di essere concepita comeun «a priori» del quale l’intelletto dovrebbe servirsi per “decifrare” la realtà esperita in un primo approccio ancora “non metafisico” (cfr. p.164). Pertanto, quando Livi parla di “punto di partenza della filosofia” non è esclusivamente ai “contenuti di coscienza” (cioè alle idee, alle rappresentazioni) che si riferisce, ma al giudizio che esprime l’esistenza delle cose: cioè alle cose non a partire dal perché sono conosciute, ma in quanto sono e come tali sono conosciute (cfr. p.153). La filosofia del senso comune, scrive il filosofo toscano, consiste «nel considerare come principio non un’idea ma un giudizio, il giudizio di esistenza originario («res sunt») che esprime la percezione dell’esserci (presenza) delle cose date nell’esperienza immediata» (p.164); «chi sostiene che l’essere è una categoria razionale che si applica all’esperienza – e non una nozione elaborata dalla ragione a partire dall’esperienza, invece di essere derivata da essa per via di induzione – ritiene in buona fede di praticare la metafisica in continuità con la metafisica classica, ma in realtà ha assunto i principi metodologi della metafisica cartesiana. L’essere di cui questi pensatori parlano non è l’essere degli enti, ma l’essere che permette di “vedere” intellettualmente gli enti: è un “a priori”, un’idea percepita immediatamente dall’intelletto e non derivata dalla percezione sensibile. Questo però non è metafisica: è ontologia certamente, ma un’ontologia di stampo “ontologistico”» (p.161). Ha dunque senso il titolo dato a questa collettanea, e cioè: Per una metafisica non razionalista. La metafisica per Livi non ha nulla a che vedere con il razionalismo comunemente inteso; per il filosofo toscano è l’ente fisico, dunque la realtà concreta nella sua totalità, a garantire la dimensione metafisica della conoscenza (ossia il rapporto intenzionale del soggetto verso l’oggetto: a partire dalle prime certezze del senso comune nelle quali la realtà è appresa e affermata nelle sue forme essenziali, fino alla dialettica che assume il compito di comprenderla). Ora, quanto si sta asserendo circa il senso autentico della metafisica liviana è riaffermato dallo stesso Livi nel suo intervento a questa collettanea, specialmente quando scrive: «La mia filosofia del senso comune non può però essere rifiutata sulla base di questo equivoco concettuale. Io ho sempre dedicato ampio spazio a spiegare che per “esperienza” intendo la conoscenza immediata, in quanto conoscenza e in quanto immediata. Si tratta della percezione originaria dell’essere degli enti, i quali sono percepiti come tali (sicut entia) dall’intelletto (simplex apprehensio e iudicium). È infatti l’intelletto che, sulla base dei dati forniti dai sensi, in un solo atto di conoscenza ne coglie sia la presenza, ossia il loro “esserci” (Dasein), sia l’essenza (Wesen), ossia il loro essere qualcosa» (p.158). Concludo dunque questa recensione esortando il lettore di questa collettanea ad essere “vigile” e “imparziale”; la questione da esaminare in quest’opera, infatti, riguarda più il punto di partenza del filosofare che l’opposizione dei risultati dialettici del realismo e dell’idealismo. La filosofia del senso comune ripropone in termini nuovi il tema del rapporto tra metafisica e gnoseologia: Livi non parla di un realismo da “fondare”, ma di un realismo che è nell’esperienza. È dall’esperienza, accettata senza alcuna forma di apriorismo razionalistico, che il filosofo toscano ritiene possibile la metafisica: in quanto la metafisica altro non è che la formalizzazione scientifica dell’esperienza, ovvero la formalizzazione scientifica del senso comune.
Tratto dalla rivista Aquinas n. 3/2008
(http://www.pul.it)
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Massimiliano il 10 settembre 2010 alle 22:32 ha scritto:
Ottima recensione, complimenti all'autore.