Diritto e stato in Rosmini. Per una politica della persona
(Biblioteca di filosofia)EAN 9788886631495
La grande scoperta di Rosmini è l’identificazione del diritto con la persona: la persona è il diritto sussistente. Questo ha conseguenze decisive in ordine alla fondazione della libertà personale, come anche nella relazione con la società e lo stato. La persona non potrà mai essere assorbita né dalla società né dalla stato, a cui invece compete regolare la modalità dei diritti. La persona rappresenta dunque la fonte di ogni autorità umana. Temi dei cc.: il diritto naturale, il concetto di persona, il diritto sociale, le società rosminiane, lo stato.
Tratto dalla rivista Il Regno n. 2/2010
(htto://www.ilregno.it)
Il breve saggio che presentiamo è un’esposizione chiara, documentata, logica del pensiero di Antonio Rosmini sull’argomento. I capitoli si snodano in successione ordinata: il diritto naturale, il concetto di persona, il diritto sociale, le società rosminiane – teocratica, domestica, civile – lo Stato. La documentazione è costituita dalle edizioni degli scritti del Rosmini – fondamentale è la Filosofia del diritto (1841-1845) –, oltre che dai saggi degli studiosi sul pensiero del Roveretano. La Conclusione stringata, essenziale e molto coerente, accenna alla temperie storica, nella quale lo studio del Rosmini è stato pubblicato, costituta da un liberalismo non certo “liberale”, che non era immune dallo statalismo giacobino e sansimoniano, «antagonisti del collettivismo marxiano» (p. 93).
Il cosiddetto “liberalismo” italiano dell’Ottocento concordava con tutti i movimenti ricordati perché era fondato sulla sovranità dello Stato, che aveva spazzato via la concezione poliarchia precedente, nella quale vi erano varie fonti del diritto (imperatore, re, feudatari, comunità locali, Chiesa) e vari sistemi giuridici coesistenti. Lo sviluppo dello Stato moderno, con la Rivoluzione Francese e Bonaparte, ha portato ad una svolta che ha visto l’unica sovranità dello Stato su un territorio. Rosmini aveva vissuto l’esperienza dell’Impero asburgico ed era introdotto nelle novità che ha affrontato successivamente in questa materia. Il vissuto di un piemontese, con le riforme di Carlo Alberto e, soprattutto, la svolta costituzionale (Statuto del 1848) e il nuovo regime di rapporti tra Stato e Chiesa, la nuova configurazione giuridica dei religiosi (cittadini di fronte allo Stato, religiosi di fronte alla Chiesa) e la scuola di Stato (legge Boncompagni del 1848), era alquanto diverso, e il Rosmini ha trovato, come giustamente afferma De Benedittis, il punto dal quale muovere tutto il suo edificio giuridico: «La grande scoperta del Rosmini è l’identificazione della persona con il diritto: “La persona è il diritto umano sussistente, quindi anche l’essenza del diritto”.
Così inteso, il diritto non è una norma astratta, ma una qualità immanente che risiede nello stesso essere della persona, un valore che si realizza nella libertà personale» (p. 93). Ecco, dunque, una visione personalistica e, conseguentemente, relazionale del diritto, in una società civile, che è fondata, appunto, sulla relazione e lo scambio tra le persone, superando forme di riduzionismo «alla sola dimensione sociale o a quella storico-naturale» (p. 94). Il diritto è costituito da una relazione con gli altri esseri intelligenti (persone) e «c’è l’obbligo morale (o dovere giuridico) da parte degli altri di non turbare o impedire l’esercizio di quella attività» (p. 10). La visione di Bruno Leoni (1913-1967) del diritto come pretesa (1961-1966) sembra in continuità con quella rosminiana. Ed ecco perché è dirompente il discorso personalistico del Rosmini: «La persona, dunque, rappresenta la fonte di ogni autorità umana» (p. 94). Di fronte a questa affermazione, in sintonia con Kant: la persona è sempre fine, mai mezzo, cadono tutte le sovranità umane e vengono ad essere a servizio della persona umana, trovando in essa il centro della loro collaborazione. Un punto crea problema: «Numerose perplessità ha suscitato […] la proposta rosminiana di far esercitare ai cittadini il potere politico-amministrativo proporzionatamente alle imposte che pagano allo stato, e quindi al censo» (p. 95). Concordo che «la più intima giustificazione di tale teoria del Rosmini è da cercare nell’importanza fondamentale, attribuita dal filosofo, alle due società: teocratica e domestica, ai fini della realizzazione personale» (p. 95).
Ma ritengo che egli si sia trovato di fronte ad una concezione dell’organizzazione della convivenza civile che, avendo distrutto ogni ente intermedio e perso la visione della sussidiarietà, collocava il cittadino da solo di fronte allo Stato; e, in aggiunta, con l’esperienza di una società poliarchia, che non era ancora pienamente tramontata, almeno non era sparita dal vissuto dei contemporanei. È un punto da approfondire ulteriormente, e, soprattutto, per comprendere Rosmini, dobbiamo uscire dall’assolutizzazione di una visione statalista imperante ormai comunemente accolta. Il testo di De Benedittis è, infine, un’ottima introduzione alla lettura dei saggi in materia del Rosmini.
Tratto dalla rivista "Salesianum" 72 (2010) 4, 807-808
(http://las.unisal.it)