Trattato filosofico sulla libertà. Etica della persona e teoria dell'agire
(Mimesis)EAN 9788884834713
Il volume intende offrire un saggio sistematico e articolato in sette capitoli, sul concetto etico-antropologico di libertà, riccamente documentato nelle note e nelle aggiornate bibliografie. La prospettiva è filosofica, ma non mancano considerazioni di carattere psicologico, teologico e giuridico. Il primo capitolo (Concetto e forme di libertà, pp. 17-85) si apre con varie citazioni sulla problematicità stessa della nozione di «libertà»: si constata che da sempre il termine «corre sulla bocca di tutti, ma davvero pochi l’hanno nell’intelletto!» (Dante); «nessuna idea è così piena di significati, soggetta a fraintendimenti e comprendente ogni possibile stravaganza» (Hegel); «come se ne è abusato e a quanti inganni e discordie non si è prestata la libertà?» (Rosmini). La cosa si aggrava con le deliberate mistificazioni, grazie alle quali nel nome della libertà, sono stati compiuti crimini di ogni genere: «la libertà è la falsa moneta che spacciano i demagoghi di ogni tempo, nascondendo sotto di essa il loro cuore di tiranni» (Croce). Dopo aver riportato molte definizioni che la storia ha registrato del termine «libertà», l’Autore propone la seguente: «la libertà è l’atto permanente dello spirito grazie al quale dominando ogni ostacolo il soggetto umano costituisce se stesso come persona in rapporto ad un bene» (p. 30). Sinteticamente, e rifacendosi ad autori quali Fichte, Hegel, Schelling e Gentile, la libertà «è la nostra stessa autocoscienza che si determina autonomamente, creativamente e moralmente» (ibidem). La libertà riguarda ogni attività dell’uomo, e dunque essa è stata fatta oggetto d’analisi da parte di varie scienze. Non c’è tanto, allora, una sola libertà, ma molti aspetti della libertà, quali la libertà «fisica», la libertà «psicologica », «pedagogica», «politica», «economica», «morale», «religiosa», «metafisica » ecc. (tutti aspetti che sono ampiamente descritti e discussi alle pp. 39-76). Il capitolo secondo (Libertà, fondazione dell’esistenza e nichilismo, pp. 87-128), dopo aver affermato che la vita umana è tale solo per la presenza della libertà come «sintesi di spiritualità ed eticità», passa ad esaminare le opere di vari autori quali Abbagnano, Sartre, Pareyson, Nancy, Weischedel che, pur avendo offerto interessanti contributi in merito, non sono stati capaci di fondare la libertà, che rimane malamente rapportata ora all’«essere», ora al «nulla», ora ad un astratto «inizio», ora alla «scelta individuale» ecc. Ma l’uomo, spesso, non è in grado di sopportare il peso, la vertigine e l’angoscia della libertà, e questo ha portato parecchi al «suicidio come forma estrema di libertà» ossia di rifiuto dell’esistenza stessa! Le pagine 121-128 analizzano proprio il tema del suicidio in alcuni autori esistenzialisti contemporanei. Il terzo capitolo (L’autotrascendenza come dimostrazione della libertà. Analisi critica dei determinismi, pp. 129-197) verte sostanzialmente sul seguente e fondamentale tema: come conciliare la libertà umana con la presenza d’infiniti condizionamenti di natura materiale, sociale e soprattutto metafisica. Avendo superato nel capitolo precedente ogni antropologia di tipo immanentistico e nichilistico, viene mostrato come la potenza dello spirito umano, pur vivendo immerso nella natura, tuttavia non s’identifica con essa ma riesce a trascenderla. Il solo fatto di avere coscienza dei propri limiti e condizionamenti, significa portarsi già oltre di essi. Ma ancora più difficile è conciliare l’assolutezza della libertà umana con l’esistenza di Dio, un Essere altrettanto libero e assoluto che pare non possa permettere alcunché contro e/o fuori di sé. Ora, la libertà umana esige certamente una sua assolutezza, ma insieme si riconosce relazionata e delimitata, ovvero si riconosce come creata e dipendente da un principio Creatore, che per amore si autolimita e si dona al mondo (senza contraddire con questo il proprio essere) ed ammette al suo cospetto altre libertà, altri esseri liberi (= gli uomini). Fuori di questa «visione teologica», resta difficile dare un senso ed una direzione alla libertà; e laddove questa visione non è accettata, subentrano inevitabilmente al posto di Dio una serie di surrogati che prendono il nome di Destino, Materia, Storia, Universale, Assoluto, Sostanza, Idea ecc., che anziché salvare la libertà umana la soffocano ed affossano. In tutte queste metafisiche (e dalla metafisica non si esce, ci tiene ad affermare l’autore… se vogliamo continuare a filosofare e se non vogliamo cadere in ideologie pseudometafisiche!) l’uomo risulta alla fine niente più che una pedina insignificante alla mercé di meccanismi che lo stritolano e, dunque, l’uomo risulta privo di vera identità, privo di vera individualità, privo di dignità e insomma privo di consistenza ontologica. Vengono esposti, discussi e, dove occorreva, criticati, autori come Spinoza, Schelling, Schopenhauer, Nietzsche, Martinetti, N. Hartmann, Schlick e il neopositivismo. Il quarto capitolo (Libertà, persona e azione morale, pp. 199-266) prende avvio dalla tesi che non può darsi alcuna «teoria della libertà» che non implichi una «teoria dell’azione», essendo lo spirito umano non sterile contemplazione ma, appunto, perenne attività, sublime creatività, concretezza, assunzione di valori, dovere, intenzione, intersoggettività, responsabilità. Nel capitolo quinto (Sul rapporto libertà/verità. Etica e gnoseologia, pp. 267-307) viene fatta chiarezza intorno alla «libertà di pensiero», sotto il quale si nasconde per lo più l’arbitrio dell’ignoranza, il relativismo e lo scetticismo, se non persino la malafede. Il pensiero, più che libero, è invero necessitato dalla verità. Senza una qualche verità di supporto, restano irrisolvibili molti problemi di ordine pratico (il bene pubblico, la tolleranza, l’individualismo, la violenza ecc.), a meno che ci si voglia chiudere in un convenzionalismo giuridico. Il sesto capitolo analizza le principali psicopatologie che condizionano gravemente l’esercizio della libertà e che soprattutto influenzano la responsabilità delle cattive azioni in sede penale. Ma Hegel e Croce, richiamati e citati, hanno protestato contro questo lassismo giuridico, che scusa tutti coloro che si permettono di abusare della libertà compiendo il male. Il «perdono» non viene certo negato, ma questo appartiene alla sfera della carità e della grazia, e non a quello della giustizia e delle sue esigenze sociali, di difesa e di sicurezza del bene collettivo. Il capitolo approfondisce dunque il problema del male morale, dell’imputabilità e della responsabilità psicologica e giuridica. Il «trattato filosofico sulla libertà», potrebbe concludersi qui, afferma l’autore. La libertà è stata vivisezionata in lungo e in largo, secondo varie prospettive ed analizzando molte tematiche. Tuttavia il Chimirri ha voluto aggiungere un ultimo e settimo capitolo (Applicazioni della libertà e destino metafisico dell’uomo, pp. 357-406), dove fornisce quattro complementi di etica generale e di antropologia, quali: 1) una critica dell’edonismo, come ennesima strumentalizzazione della libertà; 2) un’analisi del rapporto fra i «mezzi» e i «fini» nella struttura dell’agire morale, e l’annesso problema del «conflitto dei valori»; 3) una chiarificazione circa la meta ultima della libertà umana. Ci si chiede: che fine deve fare la libertà dell’uomo? Deve forse morire con l’uomo stesso, oppure deve inverarsi nella dimensione dell’immortalità?; 4) Esiste un’«etica laica», svincolata da ogni rimando al trascendente? E se esiste, come può auto-fondarsi e giustificarsi? Qui la posizione del Chimirri si rifà esplicitamente ed in modo documentato alle dottrine di Fichte, Hegel e Schelling, seppure rivisitati e «utilizzati» in una prospettiva cristiana che allontani ogni sospetto di panteismo e di trascendenza solo orizzontale (cosa che equivale all’immanenza). Una libertà senza una tale fondazione metafisico-teologica si ridurrebbe ad un mero sperimentare senza direzione, ad un’ebbrezza che nasconde insoddisfazione, ad un agire in vista di nulla ed anzi a questo nulla destinato. La libertà è certo il valore umano per eccellenza, la libertà è certo l’essenza del nostro spirito e l’ideale inalienabile, ma insieme, bisogna affermare l’inconsistenza ed inutilità di una libertà umana senza un Principio del bene che l’avvalori oltre la storia.
Tratto dalla rivista Aquinas n. 1-2/2008
(http://www.pul.it)
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