La Santa Sede e la questione armena (1918-1922)
(Mimesis)EAN 9788884833334
«V.S.Illma faccia, Nome Santo Padre, le più vive istanze presso cotesto ministero Esteri…, affinché i poveri armeni siano rispettati dai turchi rioccupanti territorio attribuito loro nel trattato pace con Russia». Il 12 marzo 1918 il delegato apostolico di Costantinopoli mons. Dolci riceve questo telegramma cifrato del segretario di Stato vaticano, il cardinale Gasparri, in cui, appunto, si intravede l’attenzione, anzi l’ansia, della Santa Sede – e in questo caso, del Papa Benedetto XV – rispetto alla sorte terribile a cui sono andate incontro le popolazioni armene, ossia una vera e propria strategia di distruzione sistematica degli armeni da parte del governo ottomano dei Giovani Turchi. In particolare, il telegramma citato si riferisce alla situazione creatasi, dopo le vicende belliche della Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione d’Ottobre in Russia, nonché la creazione di una Repubblica Armena indipendente, che però subiva pressioni e attacchi da parte dell’Impero ottomano e da parte delle autoproclamatesi repubbliche azere e armene.
La complessa e dolorosa “questione armena” è stata tempestivamente affrontata, dunque, dalla Santa Sede, con un coinvolgimento diretto del Pontefice allora regnante: questa realtà è ora testimoniata da una serie importante di documenti presentati e analizzati nel libro di Mario Carolla, che tende a colmare una sorta di “vuoto” bibliografico sull’argomento. L’illusione degli armeni di poter essere finalmente un Paese e una patria durò davvero poco: dal 1918 al 1922, il tempo della Repubblica, poi spazzata via inesorabilmente. La Santa Sede, in prima linea per far cessare i massacri, cercò in questo lasso di tempo di appoggiare l’Armenia agendo, nei limiti del possibile, presso le potenze occidentali e avviando i primi contatti in vista di regolari rapporti diplomatici con il nuovo Stato. Ma, come scrive Carolla, «il periodo tra il 1918 e il 1922, specialmente nel Caucaso, fu quantomai confuso e turbolento» e dunque, il Papa e i suoi diplomatici si muovevano con molta prudenza nel compiere passi ufficiali. In ogni caso, Benedetto XV ha compiuto passi significativi a sostegno degli armeni: la sua Nota alle potenze belligeranti, inviata il 1° agosto 1917, al punto numero 5 invocava «l’assetto dell’Armenia», alla pari di quanto si chiedeva per gli Stati balcanici e per la Polonia. «È significativo – sottolinea l’autore del saggio – che il Papa considerasse le aspirazioni armene legittime quanto quelle dei paesi europei».
A chi potesse obiettare che, forse, l’appoggio all’Armenia, da parte del soglio pontificio, non fosse del tutto disinteressato, c’è invece da rispondere, come scrive Carolla, che «l’auspicio comprensibile per la riunificazione della Chiesa apostolica con quella cattolica non fu mai una conditio sine qua non per gli aiuti caritativi e il sostegno diplomatico». Insomma, la Santa Sede aveva semplicemente a cuore le sorti di un popolo fiero e nobile, orgoglioso del suo “primato” di nazione cristiana, perseguitato e condannato a rischiare persino l’estinzione.
Tratto dalla rivista Radici Cristiane n. 34 - Maggio 2008
Il libro prende in esame il tema dell’appoggio fornito dalla Santa Sede alla Repubblica armena nel periodo dal 1918 al 1922, quando il popolo armeno riuscì a darsi uno Stato dopo il genocidio patito dai Giovani Turchi durante la prima guerra mondiale e prima di essere “inghiottito” dalla rivoluzione bolscevica e dalla “nuova” Turchia post-ottomana. Un libro composto soprattutto da documenti diplomatici inediti che l’autore ha potuto consultare presso gli archivi della Segreteria di Stato, della Sacra Congregazione delle Chiese Orientali e presso l’Archivio Segreto Vaticano. Mario Carolla, storico e archivista, ha potuto mettere a disposizione del lettore un’opera che permette anche ai non addetti ai lavori di scoprire le vicende di un periodo, importante e poco conosciuto, della lunga tragedia armena.
Tratto da Il Timone n. 56 - anno 2006
(http://www.iltimone.org)
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