«Melior ut est florenus». Note di storia monetaria veneziana
(Deput. Storia Patria Venezie. Studi)EAN 9788883349256
Con la grande, forse eccessiva, produzione editoriale, può accadere che certi lavori passino inosservati, magari per essere stati poco pubblicizzati o perché non interessano il grande pubblico. Ma è una lacuna lasciar cadere nell’oblio lavori come il presente che tratta di storia monetaria veneziana, per la quale – prima di poterne scrivere – occorreva una competenza ben dettagliata, attinta direttamente a fonti come quelle dell’Archivio di Stato di Venezia.
Il problema, non semplice, della monetazione interessa anche gli storici ecclesiastici quando si imbattono in carte pubbliche o private che ricordano denari d’argento e d’oro, soldi e lire di piccoli o di grossi. La tradizione britannica ha semplificato il problema, sino a quasi la fine del secolo XX con la formula che 1 lira corrispondeva a 20 soldi e 1 soldo a 12 denari, ma la moneta veneziana (o quella che circolava in Occidente come quella bizantina e orientale con iperperi e bisanti) era piú complessa, con le variazioni del proprio valore per cause ben note anche nei tempi moderni. La questione è comprensibile se si pensa che Venezia commerciava e trafficava con ambedue i mercati d’Oriente e d’Occidente. Nella prima delle quattro sezioni in cui ha suddiviso il lavoro, l’Autore percorre la storia della moneta veneziana dagli inizi dello stato ducale fino al 1185/1190 circa, quando prevale la moneta aurea, con sporadiche indicazioni di moneta argentea, solo successivamente affiancata da quella aurea bizantina e orientale.
Non mancano le curiosità: ad esempio, le prime monete veneziane conosciute portano al dritto il nome dell’imperatore e al rovescio l’iscrizione «Venecias», per cui nella prima metà del secolo IX il ducato lagunare, pur di matrice bizantina, privilegiava la moneta carolingia. I mercanti lagunari quando trafficavano con l’area bizantina utilizzavano quella valuta, mentre nell’interscambio italiano si servivano solitamente della moneta veronese. Solamente nella seconda metà del secolo XII viene coniata la prima moneta «veneziana», il mezzo denaro d’argento con impresso non piú il nome dell’imperatore tedesco, ma quello del doge Vitale Michiel II (1156-1172). Farà seguito il primo denaro veneziano: l’operazione è interessante perché mostra anche in questo ambito l’indipendenza del ducato dai due imperi orientale e occidentale. Il problema sorge comunque, in quanto mentre in Oriente si esercitava un controllo efficace sulle emissioni monetarie, in Occidente mancando un’unica entità statale proliferavano le zecche locali, con crescenti degenerazioni e abusi.
La seconda fase, che l’A. conclude nel 1284, viene contraddistinta da coniazione e uso di moneta esclusivamente veneziana, in particolare il denaro d’argento piccolo e il denaro d’argento grosso o semplicemente grosso. Quanto al rapporto effettivo con le altre monete e con la lira, si trova la corrispondenza di 1 grosso a 24 piccoli (cioè 2 soldi) e, nel 1254, di 1 lira a 9 denari grossi piú 5 piccoli. Naturalmente, le variazioni di valore delle monete veneziane risentono delle vicende politiche e finanziarie che il Comune Veneciarum incontra nella sua storia, per cui una moneta con un piú elevato potere d’acquisto può ottenere un maggiore riconoscimento in ambito internazionale, quando l’iperpero d’oro di Bisanzio diventa inaffidabile. Non deve comunque meravigliare la raffigurazione di san Marco nel dritto del denaro grosso, col Vangelo e col vessillo che consegna al doge, e nel rovescio il Cristo seduto in trono.
Il ducato veneziano, diventato indipendente, non dimenticava l’origine bizantina dove i simboli religiosi ne costituivano l’anima sociale e politica, e dove la consegna del vessillo al doge significava la missione di diffondere e rappresentare la vera fede nelle terre conquistate. Il sistema monetario veneziano non rimaneva tuttavia stabile una volta per sempre, ma era soggetto a continue evoluzioni a seconda delle necessità che si presentavano. Cosí, nel Trecento si incontreranno 6 differenti tipi di monete coniate: il soldino, il mezzanino, oltre a denari e al ducato d’oro. Ci pensava il Senato a perequare il valore delle diverse monete tra di loro e con la lira. L’aspetto piú riformistico della monetazione veneziana viene considerata la coniazione del ducato d’oro accanto ai diversi tipi di lira d’argento (del valore di 240 denari).
Per questo dal 1284 iniziava il periodo del bimetallismo, anche se ciò comportava la discrepanza di valore e la diversa valutazione delle due monete nei mercati orientali e in quelli occidentali. È anche vero che il ducato d’oro veneziano conserverà una forte stabilità, almeno lungo il Quattrocento, anche se la maggiore disponibilità d’argento offrirà possibilità migliori per l’emissione della lira d’argento. Non è il caso qui di inseguire tutte le vicende di tale monetazione fino alla fine della Repubblica con i conseguenti problemi collegati con la vita interna e con i rapporti con l’estero, compresa la decisione di coniare il tallero, pur se incontrava poca fortuna in Levante, a differenza dello zecchino apprezzato e ovunque ricercato. Ciò in qualche modo aiuta a comprendere la differenza tra la varietà di monete coniate dalla zecca di Venezia e la moderna concezione di una moneta nazionale con un’unità di base e con multipli e sottomultipli.
Ormai nel Settecento l’introduzione della moneta cartacea, garantita da un corrispondente deposito in valuta metallica pregiata, ci porta sino ai tempi moderni, ma pure alla fine della gloriosa Repubblica. La ricchezza della documentazione archivistica e fotografica fa del volume un insostituibile strumento di studio per gli storici di Venezia e i cultori della disciplina.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 1/2013
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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