Santo Padre. Dal martirio di Pietro alla canonizzazione del papa
(Sacro/Santo. Nuova serie)EAN 9788883343766
"Santo subito!": questo diceva uno striscione in piazza San Pietro il giorno dei funerali di papa Giovanni Paolo II, la cui beatificazione avverrà il prossimo 1o maggio. Santo padre è, com’è noto, anche un modo corrente per rivolgersi al pontefice della Chiesa cattolica: lo storico Roberto Rusconi lo assume come titolo di una sua ricerca volta a tracciare tutte le traiettorie che hanno condotto, nel corso dei secoli, a fare del papa in quanto tale un santo per definizione. Ma chi erano i santi all’inizio della storia del cristianesimo? E, prima ancora, il termine «santo» che significato aveva nell’Antico Testamento? In esso la parola è attribuita a tutto ciò che appartiene o è riferito a Dio. Santo è il luogo dove Dio si manifesta in maniera esclusiva, come si può ad esempio evincere in Esodo 3,5, e non può, dunque, essere riferito ad altri. «Santo», nell’accezione veterotestamentaria, essenzialmente significa ciò che è del tutto separato dal profano. Per questo motivo le cose sante, che non possono essere toccate senza pena e precetti cultuali, demarcano una netta separazione da ciò che non lo è: esse sono sante perché dietro di esse vi è il Dio santo, il Santo per eccellenza.
Nel Nuovo Testamento l’idea della santità di Dio è espressa in modo più diradato. Gli apostoli, ossia coloro che sono autorizzati ad agire in una determinata maniera secondo l’ordine ricevuto, di fatto non si pongono il problema di dare definizioni della natura e delle perfezioni divine, piuttosto concentrano la loro attenzione sulla rivelazione della santità divina in Gesù Cristo. Da questa prospettiva ne deriva che la santità di Dio non è un’«aseità» completamente avulsa dalla realtà fattuale del mondo, esprime, invece, una relazione con l’uomo e il suo mondo. Strumenti di questa relazione sono lo stesso Gesù e lo Spirito. D’altra parte è con san Paolo che si delinea l’accezione di «santo» qual è il credente nel suo impegno di fede di tipo non ascetico: non a caso nella Prima lettera a Timoteo l’Apostolo delle genti esalta la tensione spirituale della vita cristiana come servizio, dono di sé che possiede intrinsecamente una connotazione radicalmente comunitaria. I «santi», fanno parte di una «comunità santa», di un popolo eletto, realizzano un’unità viva di testimonianza detta «tempio », il luogo dove viene manifestata la presenza di Dio in terra (1Cor 3,17), e la santità non è prerogativa di alcuni credenti più o meno solitari, essa è vocazione rivolta alla comunità nel suo insieme affinché si faccia, a seconda dei carismi posseduti dai suoi componenti, strumento docile e rigoroso dell’opera divina. Nel corso dei secoli tale comunità divenne Chiesa e, come ben evidenzia Rusconi nel suo poderoso quanto coinvolgente volume, la santità indicò commemorare la vittoria della comunità cristiana sul paganesimo e proporre i martiri come modelli di vita da imitare. Su tale approccio agiografico e apologetico s’innestò l’idea che santi fossero anche gli asceti o i vescovi come sant’Agostino.
La svolta fondamentale, in ogni caso, si ebbe durante il secolo XI con papa Gregorio VII. Con tale pontefice la santità del papa è data in modo indubitabile per via dei «meriti di Pietro». Due secoli dopo, nel XIII, la santità del successore di Pietro diventa prerogativa del capo della cristianità occidentale, vero e autentico sovrano taumaturgo: il papa, come stabilisce il diritto canonico, è giudice di questa santità. Parallelamente dopo il 1000 ricompare l’eresia e i movimenti pauperistici invocano l’attesa di un papa angelico che farà risorgere con una riforma non più procrastinabile la Chiesa dalla sua putrefazione. Chiesa come figura dell’Anticristo secondo John Wyclif, il riformatore inglese del Trecento dichiarato eretico, autore di un trattato il cui titolo è già un programma: De Christo et adversario suo Antichristo. Al teologo inglese farà seguito, nel secolo successivo, il domenicano Savonarola, auspice non di un antipapa, ma di «un papa sancto successore di san Pietro episcopo romano», il cui rogo a Firenze arse anche l’ultima possibilità di riformare la Chiesa prima dell’avvento di Lutero. È proprio il monaco agostiniano, un anno prima della morte nel 1545, a pubblicare lo scritto Contro il papato di Roma creato dal diavolo avendo, forse, in mente l’elezione di papa Leone X del 1514. A questa offensiva protestante i teologi cattolici dovettero operare – come afferma Rusconi – «una sorta di sterilizzazione del pensiero escatologicoapocalittico tardo-medievale, soprattutto allo scopo d’inibire la principale conseguenza che da esso si poteva trarre, vale a dire l’identificazione del papato con l’Anticristo».
Nel 1586 il card. Roberto Bellarmino, destinato a essere proclamato santo a sua volta, pubblica una sua disputa controversistica in cui tenta di dimostrare che l’Anticristo era un unico personaggio escatologico e che, di conseguenza, non poteva essere identificato con la successione papale. Spetterà a papa Benedetto XIV con il suo trattato De canonizatione sanctorum a creare una cornice di riferimento volta a uniformare su criteri più equilibrati la canonizzazione dei papi. La modernità bussa alle porte e con essa muta il discorso sulla santità papale. Il papa è ora martire dei furori rivoluzionari francesi, sarà prigioniero dei Savoia, farà i conti con l’Italia unita e anticlericale, prenderà accordi con il regime fascista, il tutto in una logica che beatifica i predecessori in un orizzonte tutto politico. Logica che giunge pressoché intatta sino ai nostri giorni, ma che sembra destinata a esaurirsi.
Concludendo l’eccellente lavoro, Rusconi evidenzia la distanza che ci separa dal Dictatus papae di Gregorio XI, il quale nel momento in cui affermava che il «Romanus pontifex, si canonice fuerit electus, indubitanter efficitur sanctus», di fatto inaugura una linea che attribuisce al papa «una sorta di santità di stato, in una certa misura non dipendente dalle virtù individuali della persona». Pertanto, e sono le parole conclusive del libro concernenti la realtà di una santità papale, «la stessa definizione icastica dell’età gregoriana in questi giorni quindi assumerebbe ben altro significato e starebbe a indicare nello stesso tempo la sacralità della carica e la santità della persona».
Tratto dalla Rivista Il Regno 2011 n. 6
(http://www.ilregno.it)
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