Parola e testimonianza nella comunicazione della fede.
EAN 9788883333033
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Il volume raccoglie gli Atti di un convegno, tenutosi a Roma, nei giorni 12 e 13 marzo 2012, a conclusione di un precedente lavoro di riflessione e di approfondimento realizzato dalla Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce – rispettivamente nell’area di teologia fondamentale, antropologia e teologia pastorale – riguardo al legame esistente fra la parola e la testimonianza, nell’ambito della fede.
Il tema viene affrontato, infatti, secondo diverse prospettive: antropologica ed ermeneutica, biblica e missionaria, con una particolare attenzione al rapporto esistente fra la testimonianza e la Rivelazione, da un lato, la testimonianza e la credibilità dell’annuncio cristiano, dall’altro.
In un’epoca di mutamenti culturali rapidi e intensi come la nostra, il tema della “comunicazione della fede” costituisce una grande sfida; per tale motivo, il rapporto parola-testimonianza viene analizzato, anzitutto, attraverso un excursus storico che, dal Concilio Vaticano II – convocato dal Beato Papa Giovanni XXIII, per rendere più efficace e profonda la comunicazione della fede nella società attuale – passa per l’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975), di Paolo VI, per giungere ai documenti di Giovanni Paolo II, particolarmente attento – attraverso le Encicliche Redemptoriss Missio (1990) e Novo millennio ineunte (2001) – all’orientamento dell’impegno pastorale della Chiesa alla vigilia del terzo millennio.
Dal momento che la Rivelazione divina si comunica attraverso la fede, suscitata dalla testimonianza, gli Autori degli studi presenti nel volume concordano nel considerare la testimonianza una categoria essenziale nella comunicazione del messaggio di Cristo oggi.
Javier Prades López, Rettore dell’Università di San Dámaso (Madrid), ricostruisce ciò che insegna il Magistero in relazione alla testimonianza, dimostrando come tale atteggiamento rappresenti la miglior garanzia dell’autenticità della fede comunicata: il testimone, infatti, interpella chi gli vive accanto in modo diretto e integrale.
La testimonianza riveste un ruolo fondamentale anche nella Scrittura, che – come scrive Carlos Jódar, della Pontificia Università della Santa Croce – non solo presenta diversi modi di concepire la testimonianza, ma è essa stessa “testimonianza”, in quanto manifestazione di Dio nella vita dell’uomo in epoche storiche diverse.
Altri studiosi si soffermano sul concetto paolino di testimonianza: nella prima Lettera ai Tessalonicesi (Bernardo Estrada), nelle Lettere a Timoteo e a Tito (Giuseppe de Virgilio) e negli Atti degli Apostoli (Michelangelo Tábet). Riguardo all’età patristica, Manuel Mira spiega la concezione di testimonianza in Massimo il Confessore.
Particolarmente attenti alla forza narrativa della testimonianza sono le riflessioni di Juan Alonso, che si sofferma sull’esperienza dei convertiti e due studi, che si ispirano a due famose opere letterarie: Delitto e castigo, di F. Dostoevskij (Federica Bergamino) e Le chiavi del Regno, di Archibald J. Cronin (Antonio Ducay).
Mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, sottolinea soprattutto quanto sia necessario che il cristiano si senta coinvolto in prima persona nell’apostolato, interpretato come una vero e proprio atto di donazione di sé, in cui la testimonianza e l’amore diventano una cosa sola.
Il concetto di testimonianza, tuttavia, può essere inteso in un modo che non ha nulla a che vedere con il cristianesimo, come emerge dall’interpretazione soggettivistica che di essa offre la modernità. Giuseppe Angelini – della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (Milano) – spiega, infatti, che la testimonianza è considerata da molti un semplice resoconto personale, come se il proprio vissuto fosse la fonte di una verità universalmente valida. La verità, invece, precede il soggetto e ha bisogno della vita concreta per esprimersi in pienezza.
Come chiarisce Paul O’Callaghan – della Pontificia Università della Santa Croce – ogni testimonianza oltrepassa la semplice dinamica antropologica ed epistemologica, in quanto è partecipazione alla testimonianza di Cristo, che rende il cristiano testimone dell’amore del Padre nello Spirito. La testimonianza, quindi, rimanda a Dio, Verità somma, tanto che, mentre testimonia, il cristiano è chiamato a scomparire progressivamente, fino al punto di morire, se ciò diviene necessario.
Poiché la Rivelazione cristiana si svolge sulla base del binomio «eventi e parole» (Dei Verbum, 2), la parola costituisce un elemento essenziale nel processo di evangelizzazione, in quanto ne costituisce il contenuto, come spiega Santiago Sanz, analizzando la teologia di Pannenberg.
Secondo Alvaro Granados, si è permesso che – almeno negli ultimi decenni – l’agire cristiano venisse enfatizzato a scapito dell’annuncio di Cristo, così da evitare ogni pericolo di reazione intollerante di fronte a una parola dal significato inequivocabile. Nella Chiesa si era convinti, infatti, che la testimonianza possedesse una forza intrinseca tale, da consentirle di comunicare la fede in modo immediato. Nell’analizzare il rapporto fra testimonianza e dialogo, nella comunicazione della fede, César Izquierdo – dell’Università di Navarra – chiarisce che la categoria della testimonianza non può essere ridotta a quella di dialogo, perché – attraverso la parola – la testimonianza porta con sé una verità chiara, che non può essere fraintesa. Il dialogo, quindi, pur essendo suscitato dalla parola testimoniata, non la assorbe in sé. Secondo l’Autore, inoltre, è fondamentale il ruolo della Chiesa nel processo della testimonianza di fede. Tale concetto viene ripreso e approfondito da Miguel de Salis Amaral che, nella sua analisi, collega la testimonianza alla dimensione profetica della comunità ecclesiale. Di particolare interesse, a questo proposito, è anche il contributo di Lucia Graziano sulla confluenza esistente fra la parola e la testimonianza in alcuni testi dell’attuale Codice di Diritto Canonico.
Nella Chiesa, talvolta ci si lamenta per una testimonianza senza parole – e quindi incomprensibile – o, al contrario, per una parola priva di testimonianza, senza, cioè, il sostegno di una vita cristiana integra e attraente. Entrambe le categorie, prese per se stesse, sono insufficienti.
Il progetto della Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce ha evidenziato che il Concilio Vaticano II ci ha lasciato un messaggio ben chiaro, il cui elemento costitutivo è la profonda unità esistente fra parola e testimonianza, sia nell’azione della Chiesa, che in quella di ogni singolo cristiano. Per tale motivo si parla di apostolato universale dei fedeli.
Tratto dalla rivista Lateranum n.2/2014
(http://www.pul.it)