L' ontologia dimenticata
-Dall'ontologia spagnola alla «Critica della ragion pura»
(Pensamiento latino)EAN 9788882923846
Nella ricerca storico-filosofica è importante valutare quanti e quali apporti, non solo la filosofia antica ma anche tardo-antica, medievale e moderna abbiano dato a una produzione che segna senz’altro una svolta intellettuale del pensiero europeo a partire dalla dissertazione del 1770. Piero Di Vona aggiunge ora un prezioso tassello alla ponderata e documentata valutazione di questi apporti, soffermandosi, in questo suo volume, esattamente nella parte seconda (pp. 69-113), volutamente sintetica e semplice, sulle correlazioni tra la «dottrina dell’ente che fu propria dell’ontologia moderna», soprattutto sui cosiddetti “concetti trascendenti”, e l’«esame del trascendentale kantiano della Critica della ragion pura» (p. 67).
Il pensatore tedesco, infatti, «ebbe la pretesa di sostituire l’ontologia con la sua analitica» (p. 71), ovvero, da quando con la scienza moderna se ne ebbe un significativo ampliamento, l’ontologia si era cominciata a configurare come «quel campo della ricerca umana, nel quale si ordinano, si dispongono e si congiungono tutte le teorie collegate col concetto di ente in quanto ente, sia riferite a questo, sia superiori perché cercano termini ritenuti di generalità più elevata, sia sovraordinate ad esso perché lo condizionano e rendono possibile il suo studio, sia ancora subordinate perché ne sono delle conseguenze e degli sviluppi indiretti» (p. 24).
In tal modo, come si legge nella Postfazione, «utilizza gli esiti delle sue ricerche sulla Scolastica moderna come veri e propri paradigmi interpretativi sia per mostrare la continuità e la costante presenza delle dottrine dell’ontologia del Seicento nel pensiero moderno (e non solo) sia, criticamente, per misurare l’effettiva originalità teoretica di quel pensiero» (p. 153). In sede di bilancio, Di Vona conclude che «è un fatto che la sua metafisica riformata e rinata Kant non l’ha mai scritta, o almeno non l’ha mai pubblicata personalmente.
La sua intenzione sarà pur stata lodevole, ma non è mai divenuta una realtà effettiva» (p. 142). E questo perché nella sua prima Critica Kant «non ha fatto la critica del concetto trascendentale scolastico di ente» (p. 141), quel concetto trascendentale scolastico che, nella meticolosa ricostruzione di Di Vona, invece, appare nelle sue diverse forme e configurazioni. Nel medesimo orizzonte, Kant «non ha criticato la metafisica generale, o ontologia, e quindi non ha trattato dell’ente e dell’analogia del concetto di ente. Egli ha espresso il suo pensiero sull’analogia trattando di argomenti attinenti alla metafisica speciale» (p. 111). Purtroppo, «le definizioni del trascendentale date da Kant nella Critica della ragion pura sono puramente gnoseologiche ed attinenti alla teoria della conoscenza.
Esse ci dicono come noi conosciamo, ma non entrano nella fondamentale questione di quale sia il modo in cui il trascendentale kantiano si riferisca ai concetti ed alle rappresentazioni che sono ad esso subordinate » (p. 81), ovvero si limitano a riprendere, particolarmente nella configurazione del giudizio sintetico a priori, soltanto a uno dei tre “modi”, quello per adiacenza, che erano stati elaborati dalla Scolastica moderna. Posta, infatti, la premessa che, nell’ontologia dimenticata, «non ha nessuna rilevanza ontologica il modo col quale si formano nella mente umana i concetti “trascendenti” » (p. 28), ma che la «la sola questione veramente importante è considerare come i concetti “trascendenti” siano implicati, congiunti o collegati con tutti gli altri concetti inferiori formati dalla mente umana, comunque essi ed i concetti “trascendenti” vengano formati» (pp. 28-29), ne consegue una dottrina generale della trascendenza dell’ente ossia «dell’ente in quanto ente nel suo essere l’ente come tale» (p. 28), dottrina nella quale ci si interroga, nella parte della dottrina generale, sia sulla universalità, particolarità o singolarità di un concetto trascendente, sia sul “modo di trascendenza”, sia sull’essenza fisica e metafisica della nozione di trascendenza. Dal punto di vista degli esiti o non esiti specificamente kantiani, che occupano, come si diceva, tutta la parte seconda del volume di Di Vona (Il trascendentale nella Critica della ragion pura), la Scolastica moderna distingue il modo di trascendenza in trascendenza per identità, per inclusione e per adiacenza.
La trascendenza d’inclusione, molto diffusa tra i tomisti moderni ma anche tra scotisti e gesuiti, ritiene che il concetto di trascendenza sia incluso o “imbevuto” in tutti i suoi inferiori, ovviamente con diverse declinazioni tra tomisti sostenitori dell’analogia e scotisti che si muovevano invece nell’orizzonte dell’univocità del concetto di ente. A sua volta, la trascendenza di adiacenza, che Sebastian Izquierdo denominava per adiectionem, proposta dai gesuiti a partire dalla seconda metà del Seicento, pur non ritenendo incluso il concetto di ente in tutti i suoi inferiori, sostiene che comunque esso «non può non aggiungersi ai concetti ad esso inferiori, o non può non essere concomitante e non può non accompagnare i concetti inferiori» (p. 39).
Infine, la trascendenza d’identità, sostenuta da Ignacio Peinado, pone che «l’identità di ragione di due o più termini distinti consiste nella conoscenza, per la quale appaiono e sono costituiti come definibili dalla medesima definizione» (p. 43). Sul piano storiografico, oltre all’interessante scenario di una Scolastica moderna che ha ben presente il fatto che la mente umana riesce a pensare innumerevoli concetti trascendenti, uno dei quali è certamente il concetto di ente, uno ma non l’unico, bisogna sottolineare un altro notevole guadagno: dopo la stagione aurea della Scolastica medievale, «contrariamente a quanto comunemente si pensa, nel corso del Rinascimento vi fu una rinascita imponente della Scolastica, e vi furono dottori [… che] aspirarono a costituire una trattazione organica, ben ordinata e completa di tutte le materie che spettavano alla scienza dell’ente in quanto ente […] in maniera indipendente dai modelli letterari ereditati dal Medioevo» (p. 22).
Tra gli ultimi anni del Cinquecento a tutto il Settecento, filosofi cattolici, luterani e calvinisti in qualche modo “crearono” il trattato moderno di ontologia, le cui tracce, come ci ricorda Di Vona, vanno ritrovate non soltanto negli scritti di un domenicano quale Diego Mas, di un luterano quale Cornelio Martini, di un calvinista quale Clemens Timpler, ma «anche nelle metafisiche comprese nei Cursus Philosophici che allora furono pubblicati dagli autori scolastici, e nei commenti a S. Tommaso d’Aquino ed a Duns Scoto, come anche in opere che portavano ancora il titolo di Metaphysica» (p. 23). Ma soprattutto costituirono un ripensamento della dottrina tradizionale della trascendenza d’inclusione dell’ente, così come avverrà dopo Kant nella stagione di Hegel, il quale «dà a Kant il fondamentale riconoscimento che la sua filosofia forma la base ed il punto di partenza della moderna filosofia germanica.
Nondimeno Hegel respinge il trascendentale kantiano» (p. 117; tutta la terza parte del volume è dedicata a La critica di Hegel e la spiritualità di Kant, pp. 115-140). Probabilmente, il tema storiograficamente e speculativamente più rilevante ai nostri scopi, presente come in un secondo livello del volume di Di Vona, è quello del posto da assegnare alla ricerca razionale su Dio, nell’ontologia generale. Com’è noto, tale ricerca si presenta, ancor oggi, come un possibile sviluppo dell’ontologia generale nei corsi filosofici delle facoltà di filosofia e di teologia ecclesiastiche. Valgano per tutti come esempio i due titoli ontologici del compianto Pasquale Orlando, titolare di Metafisica nella Sezione S. Tommaso della Facoltà Teologica di Napoli. Egli ha pubblicato una Filosofia dell’essere finito (Napoli 1995) che si chiude sulla soglia del credo religioso, nel senso che «ci spinge a Dio razionalmente giustificato, nella sua pienezza o infinità, nella sua partecipazione a noi, a tutti, a tutto l’universo: a Dio che la filosofia contempla e la religione adora» (p. 397), a cui segue logicamente L’Infinito.
Saggio di Intellettualismo critico (Torre del Greco 1993), che è una teologia naturale che si propone di «trattare filosoficamente di Dio, solamente ed esclusivamente “con luce intellettual piena d’amore” (Paradiso XXX, 40)». In questi ambienti accademici, evidentemente ci si muove alla luce delle indicazioni dell’enciclica di Giovanni Paolo II del 1998: «la Rivelazione propone chiaramente alcune verità che, pur non essendo naturalmente inaccessibili alla ragione, forse non sarebbero mai state da essa scoperte, se fosse stata abbandonata a sé stessa. In questo orizzonte si situano questioni come il concetto di un Dio personale, libero e creatore, che tanto rilievo ha avuto per lo sviluppo del pensiero filosofico e, in particolare, per la filosofia dell'essere […].
Anche la concezione della persona come essere spirituale è una peculiare originalità della fede: l'annuncio cristiano della dignità, dell'uguaglianza e della libertà degli uomini ha certamente influito sulla riflessione filosofica che i moderni hanno condotto» (Fides et ratio 76). In merito, Di Vona ci ricorda opportunamente come non sia un caso che «nel secolo in cui si formò l’ontologia come scienza, alcuni importanti metafisici che furono vescovi e generali di ordini monastici, come Martin Meurisse, Stefano Spinula e Philippus a SS. Trinitate rinviassero alla teologia rivelata le questioni di Dio e dell’anima» (p. 27).
L’antico adagio agostiniano Deum et animam scire cupio, dunque, sarebbe riservato alla fede rivelata e ai suoi sviluppi e non alla filosofia, e questo proprio nel momento in cui l’ontologia moderna si configura come scienza neutra, nel senso che «si fonda sui concetti “trascendenti” i quali trascorrono per tutti gli ordini degli enti, in quanto trascendenti tutti i concetti inferiori e particolari»? (ivi). In tale ottica, anche il concetto, esso stesso inferiore e particolare, in quanto limitato a un particolare ordine di enti, ancorché divino, qual è appunto quello di Dio, resta logicamente un inferiore del concetto “supertrascendente” e generalissimo di ente, al punto che qualche scolastico moderno si doveva domandare se per caso esso non fosse da presupporre alla stessa attività della mente umana.
Di Vona, sulla scia di Sebastian Izquierdo, la cui dottrina della trascendenza gli appare «la più comprensiva e completa» (p. 33, n. 2), intende rivendicare il primato assoluto del concetto trascendentale di ente, a cui lo stesso concetto di Dio resta logicamente subordinato, anche per questo dichiara di non approvare «quei trattati di filosofia che subordinano in qualunque modo il concetto di ente trascendentale al concetto di Dio, e pretendono di far scaturire in qualunque modo il concetto di ente dal concetto di Dio» (p. 28). E questo affinché la ricerca umana circa lo stesso Infinito resti umana e razionale e non sia una sorta di derivazione da un altro genere, rivelato, di premessa. In merito, il già citato Orlando scriveva: «Tutto questo si esprime dicendo che: queste nozioni hanno valore ontologico, non fenomenale, manifestano all’intelletto l’essere e non l’apparire, se non in quanto l’apparire è esso stesso un qualche essere intelligibile […] quelle nozioni hanno valore trascendentale.
Convengono a tutti gli esseri possibili, anche all’essere trascendentale per eccellenza, a Dio, se egli esiste, se è necessario che esista, se non è assurdo, ma “un qualcosa che è”» (L’Infinito, 458). Forse anche Dio e l’anima possono essere oggetti autonomi d’indagine della mente umana indipendentemente, ma in correlazione, con la rivelazione cristiana. Ma questo è un altro discorso, sempre da riprendere.
Tratto dalla rivista Asprenas n. 4/2010
(http://www.pul.it)
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