Un'opera pastorale. Preoccupata di insegnare ciò che si è imparati e ciò che orienta nella vita, soprattutto in quello spazio e quel tempo del dono che è la liturgia. Ed il sottotitolo ne sottolinea e struttura la relazione. Mentre il titolo ne motiva l'azione. Infatti l'Autore all'inizio del primo capitolo, subito precisa la 'definizione' della preghiera ("è un luogo e un tempo dell'anima in cui l'uomo - sia come persona, che come coppia e comunità -, si lascia conoscere da Dio"). "Alla base della preghiera c'è l'amore, che cerca, che conosce, che vuole trovare" (p. 11). In sintonia con quanto mons. Bruno Forte, nella presentazione, ricorda citando Martin Heidegger: "il tratto fondamentale del pensiero non è l'interrogare, bensì l'ascoltare".
E solo con questa premessa riesce meno stupefacente quanto l'Autore afferma nel capoverso successivo: "il primo orante, nella storia della salvezza, è Dio: Dio, uscendo dalla sua infinita solitudine e creando l'uomo, intende concelebrare il suo amore con l'essere umano. La preghiera, infatti,prima che elevazione del cuore dell'uomo, è il bussare dell'amore divino alla porte del cuore umano". Per cui "un amore senza conoscenza non può crescere: una fede senza preghiera è rachitica. Non pregando, non diamo a Dio la possibilità di amarci. Nella liturgia il protagonista è Dio e il suo amore, che viene incontro all'uomo attraverso Cristo nell'azione dello Spirito Santo e con la mediazione sacramentale della Chiesa: in essa l'uomo è associato al mistero di Dio." (p. 13)
I quindici capitoli articolano e paragrafano diversi ambiti (peccato e preghiera, e celibato e pratiche di pietà e sonno e corpo che prega) e molteplici specificità della preghiera (come contemplazione e azione, come lectio divina, come "diagramma dello spirito"). Per poi focalizzare la preghiera nella liturgia delle ore e proporre Maria come presenza orante e silente, esemplificata come preghiera e carità dall'annunciazione alla visitazione (nell'ultimo capitolo).
Se il sacramento dell'amore è la premessa alla preghiera, il mistero del (o nel?) silenzio ne è la condizione: l'Autore vi dedica l'intero secondo capitolo (pp. 33-57) associando al silenzio la parola, la sinfonia, il canto del silenzio cosmico per poi diversamente qualificarlo (il silenzio umano, cristiano, santo).
Molte pagine, e soprattutto quelle dedicate al mistero del silenzio, sono sottese dalla presenza e dagli scritti di don Francesco Mottola (presbitero di Tropea (Vv), fondatore dell'Istituto Secolare degli Oblati del Sacro Cuore e di cui è in corso la causa di beatificazione). Citazioni legittime, ma in opere con questo titolo rischiano di identificare gli argomenti trattati con gli insegnamenti e la vita di un testimone, alienando il loro genere e la loro portata in quanto la circoscrivono ad un personaggio (che forse merita un'attenzione particolare in un'opera specifica) e ad un territorio. In verità non mancano citazioni dei Padri della Chiesa. Poche di teologi. Ancor meno di liturgisti, qualche volta dei documenti ecclesiali. Ma l'Autore intende privilegiare l'esperienza testimoniale e testimoniante, il "pregare si impara pregare" più che esporre la dottrina della preghiera. Oscillando anche nell'argomentare comunicativo che caratterizza proprio l'intenzione di voler raggiungere un pubblico di lettori non specialisti ma almeno desiderosi di dilatare gli spazi del silenzio e i tempi della preghiera (si vedano i consigli pratici per una lectio divina). Perciò sono anche interessanti le brevi osservazioni di terapia delle "malattie della preghiera" (le distrazioni, il sonno, l'abitudinarietà, la ritualità, l'aridità, la sciatteria...).
Alcuni capitoli - che ovviamente cominciano sempre in pagina dispari, quindi a destra - sono premessi in pagina pari, quindi a sinistra, da versi dello stesso Autore, tratti dalla sua opera Terra margia (Italgrafica, Catanzaro 1983).
Opere simili, inducono e suscitano perplessità, almeno da parte di chi avrebbe voluto che alla preghiera fosse riconosciuto altro: un orientamento spaziale più 'catt-olico', un respiro e una prospettiva ecumenica e soprattutto una esemplificazione di come 'anche' nell'antico testamento il pregare si imparava pregando ed in questo modo ci si riconosceva di abitare la terra promessa e attendere il Messia. Tra queste pagine prevale una territorialità circoscritta dove abita occasionalmente l'orizzonte e ancor meno la prospettiva. La lex orandi, la lex credendi e la lex canendi sono sincopate. Forse la preoccupazione pastorale dell'Autore e la aurea simplicitas per i destinatari potranno fare più bene di chi guardando un po' troppo lontano rischia di inciampare e non cogliere quel fiore sbocciato, che pur avendo un panorama intorno a sé, è sempre meglio degli altri che altrove potrebbe ancora non essere fioriti.
P. T.
(RL 2008)
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