Una città in ginocchio, la finanza nazionale e mondiale scossa da un terremoto devastante, secoli di buona tradizione bancaria e interventi a favore dell'arte e della cultura spazzati via da una gestione disinvolta di un patrimonio che appartiene alla città di Siena e dell'Italia. Pino Mencaroni e Alberto Ferrarese hanno condotto in questo libro un'indagine giornalistica minuziosa e chiara sui fatti e i misfatti che hanno travolto il Monte dei Paschi di Siena, la terza Banca d'Italia, e che hanno dato il via alle inchieste sull'acquisizione di Banca Antonveneta e sulle operazioni ''spericolate'' sui derivati e le presunte creste della cosiddetta ''Banda del 5%''.
NOTA DEGLI AUTORI
Questo libro è stato ristampato nell’agosto 2013. Rispetto alla prima edizione gli autori hanno inserito gli aggiornamenti relativi allo stato di avanzamento dei vari filoni di indagini che riguardano lo scandalo della Banca Monte dei Paschi di Siena (Mps). Tra questi le conclusioni delle indagini sull’acquisizione della Banca Antonveneta da parte di Mps, il giudizio immediato per il caso Alexandria e tutti quegli elementi non ancora noti in occasione della prima edizione del libro (giugno).
Si tratta dunque di una “fotografia” dei fatti secondo quanto, fino a questo momento, è stato possibile sapere sulla base dei documenti raccolti.
Le descrizioni delle operazioni finanziarie sono state sintetizzate cercando un compromesso tra accuratezza tecnica ed esigenze espositive in modo da renderle accessibili e comprensibili, nella loro sostanza e nel loro significato, anche a un pubblico di non addetti ai lavori.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
IL MERCOLEDÌ NERO
Nove maggio 2012: il “mercoledì nero” di Siena. In città è giorno di mercato, in Fortezza un po' di gente già si aggira tra le bancarelle, i primi dipendenti del Monte dei Paschi “strisciano” il cartellino. Alle 7.20 cinquanta finanzieri si presentano nel quartier generale della Banca a Rocca Salimbeni, altri vanno a Palazzo Sansedoni, sede della Fondazione Mps, suo maggiore azionista, altri ancora nella sede del Comune e in quella della Provincia.
Non è la prima perquisizione: nel luglio 2010 il Pm Mario Formisano vi si era già recato, insieme ad alcuni agenti, per perquisire l’ufficio di Giuseppe Mussari nell’ambito dell’inchiesta sull’aeroporto di Ampugnano. L’usciere quella volta oppose un cortese ma fermo diniego: “niente da fare senza un appuntamento”, “bisognava essere annunciati”. Ne seguì un breve scambio di opinioni e poi, ovviamente, gli agenti ebbero via libera. Invece, questa volta, di fronte a un tale spiegamento di forze, nessuno ha niente da ridire.
Per Siena è il “Big One”, il terremoto che scuote la città e dopo il quale nulla sarà più come prima. Le Fiamme Gialle hanno in mano decreti di perquisizione e quattro avvisi di garanzia: uno per l’ex Direttore generale della Banca Antonio Vigni, “dimissionato” nei fatti dalla Banca d’Italia che, il 15 novembre del 2011, ne ha chiesto la rimozione. La richiesta della Vigilanza era stata giustificata dall’esito dell’ispezione del 2011 che aveva interessato la banca. Come già emerso nelle precedenti ispezioni del 2009 e del 2010, questa continuava a perseguire una politica di investimenti che la esponeva a grandi rischi di liquidità e di perdite patrimoniali all’interno di uno schema caratterizzato da gravi carenze organizzative e procedurali. Vigni rassegnò le dimissioni, con una buonuscita da 4 milioni di euro, sostituito, dal 12 gennaio 2012, da Fabrizio Viola proveniente dalla Banca Popolare dell’Emilia Romagna. Oltre all’ex Direttore generale del Monte, risultano indagati anche Tommaso di Tanno, Presidente del Collegio Sindacale, uno dei maggiori fiscalisti italiani e docente di Diritto tributario all’Università di Siena, Pietro Fabretti e Leonardo Pizzichi, ex membri del Collegio Sindacale. Quest’ultimo si era dimesso nel novembre del 2009; già Presidente della società telefonica Eutelia, era stato arrestato nell’ambito delle indagini sul crack della società informatica Agile, da cui era uscito con un patteggiamento. Proprio Di Tanno, pochi giorni prima, rispondendo ad un socio in occasione dell’assemblea Mps del 27 aprile 2012, aveva spiegato che “il valore patrimoniale della Banca Antonveneta era di 2,9 miliardi e fu acquistata per 9 miliardi. Non entro nel merito se il prezzo pagato a Santander fosse appropriato”.
L’invasione di Siena da parte delle Fiamme Gialle viene battuta dalle agenzie e la Procura invia un breve comunicato stampa in cui spiega di aver “disposto una serie di perquisizioni presso le sedi legali della Banca Monte dei Paschi di Siena, della Fondazione Monte Paschi Siena, del Comune e della Provincia, di numerose istituzioni finanziarie italiane ed estere con sede sul territorio nazionale, nonché di abitazioni private, in ordine ad una serie di condotte poste in essere a partire dal 2007, in occasione dell’acquisizione di Banca Antonveneta dagli spagnoli del Banco Santander, protrattesi sino al 2012.
I reati ipotizzati sono, a vario titolo, “manipolazione del mercato ed ostacolo alle funzioni delle autorità di vigilanza in relazione alle operazioni finanziarie di reperimento delle risorse necessarie all’acquisizione di Banca Antonveneta e ai finanziamenti in essere a favore della Fondazione Monte dei Paschi”.
Vengono perquisiti anche gli uffici di Siena e di Roma e l’abitazione di Giuseppe Mussari, Presidente dell’Abi, l’Associazione Bancaria Italiana, ma per sei anni, dal 2006 all’aprile 2012, Presidente del Monte dei Paschi, sostituito − con qualche “mal di pancia” del Presidente della Fondazione Gabriello Mancini − da Alessandro Profumo, che come primo atto, rinuncia allo stipendio da Presidente, per guadagnare quanto un normale membro di CdA.
A Mussari e Vigni vengono sequestrati i pc. Altre perquisizioni sono condotte in 12 banche − tra cui JP Morgan, Credit Suisse, Deutsche Bank − in varie città: Firenze, Roma, Milano, Mantova e Padova. L’operazione dura tutto il giorno.
Il Pm Antonino Nastasi, che insieme ai colleghi Aldo Natalini e Giuseppe Grosso porta avanti l’inchiesta, lascia la sede della Banca solo alle 21.30. Un’intera stanza del Palazzo di Giustizia viene riempita di documenti e altro materiale sequestrato. I tre magistrati sono tutti giovani. Nastasi e Grosso (i due si conoscono dai tempi del liceo) vengono da Messina, dove il primo ha fatto molto “rumore” per l’inchiesta sull’Università che aveva portato in carcere cinque persone. Natalini, viterbese, il più giovane dei tre, è il maitre à penser del pool per i reati finanziari, forte di un Dottorato di ricerca in Diritto penale dell’economia. Grosso è quello più defilato, che appare meno, tanto che i due colleghi, ironicamente, lo chiamano il “portavoce”. Ma non gli mancano acume e senso dell’ironia, che gli valgono il secondo soprannome, il “caustico”. Seppur scarno, il comunicato stampa della Procura ad una attenta lettura, chiarisce quale sia il perimetro dell’inchiesta: i Pm di Siena hanno messo gli occhi sull’acquisizione di Antonveneta e sulla complessa operazione finanziaria messa in piedi per pagare i 9 miliardi voluti da Santander. Il 21 maggio poi si diffonde un vero scoop.
È opera di Stefano Bernabei, giornalista della Reuters, che apre un primo interessante squarcio sull’oggetto delle indagini: nell’articolo si racconta infatti che secondo gli investigatori, Mps potrebbe aver ingannato la Banca d’Italia nelle modalità utilizzate per reperire un parte delle risorse servite per comprare l’Antonveneta.
La notizia è per palati fini, seppur bene illustrata non è ancora roba per il grande pubblico, ma coglie nel segno, tanto da essere poi riscoperta dalla carta stampata otto mesi dopo quando lo scandalo Mps assume una risonanza internazionale.
Lo scoop della Reuters è l’ultimo acuto di quel maggio rovente, poi la vicenda Mps entra in una sorta di letargo mediatico arido di notizie. Ma il lavoro dei magistrati, seppur sottotraccia e lontano dai clamori, non si ferma. Vengono sentite diverse persone informate dei fatti, mentre gli uomini del Nucleo di polizia valutaria esaminano la grande mole di materiale acquisito, cercano riscontri, seguono i flussi di denaro e di titoli. Ogni tanto qualche giornale fa il nome di Mussari come possibile indagato, ma l’interessato o i suoi legali smentiscono e i riflettori si spengono.