Il libro si propone di esplorare la figura e il mito letterario di Peter Pan, con i suoi simboli e significati; si propone allo stesso tempo come profilo biografico del suo autore, e infine approfondisce la Sindrome di Peter Pan, una situazione psicologica, sociale, culturale sempre più diffusa nella nostra società.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Da un secolo in qua una piccola figura si aggira nel mondo dell’immaginario umano, in particolare – ma non solo – quello infantile: Peter Pan, uno dei personaggi della letteratura più famosi al mondo.
Peter nacque dalla fantasia dello scrittore scozzese James Matthew Barrie, che immaginò un bambino che vola e si rifiuta di crescere, trascorre un’avventurosa infanzia senza fine sull’Isola-che-non-c’è, come capo di una banda di Bambini Sperduti, in compagnia di Sirene, Indiani, Fate e Pirati; occasionalmente incontra persone nel mondo reale, da dove egli stesso proviene, avendo vissuto i primi tempi della sua eterna infanzia nei Giardini di Kensington, a Londra.
Oltre che in due opere letterarie e in un’opera teatrale di Barrie, il personaggio appare in numerose opere di varia natura: dai film, tra cui quello celeberrimo di Walt Disney che ebbe il merito di rilanciare Peter Pan, ai cartoni animati, i fumetti, musical, lavori discografici ispirati agli scritti di Barrie.
In qualche modo Peter Pan ha segnato anche la grande letteratura fantastica del ’900: nell’aprile del 1910, un ragazzo di diciotto anni di Birmingham andò a teatro ad assistere alla rappresentazione dell’opera di Barrie; si chiamava John Ronald Tolkien, il futuro autore del Signore degli Anelli, il capolavoro assoluto della moderna narrativa dell’immaginario.
Nel suo diario di adolescente Tolkien scrisse quella sera che quella storia era qualcosa di incredibile, e che non se la sarebbe mai dimenticata.
Un po’ di Peter Pan, delle sue atmosfere, dei suoi ideali, dei suoi sogni, c’è dunque anche tra gli Hobbit e nella Terra di Mezzo.
La storia del ragazzo che non voleva crescere è dunque diventata una sorta di mito paradigmatico: l’appellativo di “Peter Pan” lo si usa ogni qual volta ci si trovi di fronte a persone giovani o non più tali ma che manifestano uno stile giovanilista, un po’ sbarazzine, magari anche ribelli e anti-conformiste. Almeno all’apparenza.
Il nome di Peter Pan è addirittura entrato nell’uso comune medico in seguito alla pubblicazione nel 1983 di un libro di Dan Kiley, intitolato The Peter Pan Syndrome: Men Who Have Never Grown Up.
La Sindrome di Peter Pan è quella situazione psicologica in cui si trova una persona immatura, che si rifiuta – oppure è incapace – di crescere, di diventare adulta e di assumersi delle responsabilità. La sindrome è una condizione psicologica patologica in cui un soggetto rifiuta di operare nel “mondo degli adulti” in quanto lo ritiene ostile e si rifugia in comportamenti ed in regole comportamentali tipiche della fanciullezza.
Paradossalmente il personaggio di questo bambino-folletto ha davvero raggiunto l’immortalità, superando la fama del suo stesso inventore.
Di James Matthew Barrie, autore estremamente prolifico, romanziere e drammaturgo, oggi si ricorda quasi esclusivamente il piccolo eroe dell’Isola-che-non-c’è.
Sono passati centocinquant’anni esatti da quando Barrie vide la luce nell’affascinante terra di Scozia, a Kirriemuir, nella regione di Angus, in vista delle prime propaggini delle celebri, meravigliose Highlands, terre della storia e della fantasia, del mito e della leggenda, terre di eroi tragici, di fate, di tristi ricordi e malinconie mai sopite per le glorie perdute dei clans. Vallate in cui sembrano ancora echeggiare le cornamuse che chiamavano gli uomini in kilt ad epiche imprese.
Kirriemuir, ancora oggi piccolo villaggio, ricorda il suo più celebre figlio con una statua che campeggia nella via principale del borgo, tra negozi e abitazioni. Decisamente più affascinante è però l’omaggio riservato a Barrie dalla sua città d’adozione, quella Londra dove trovò lavoro e fortuna, e dove ambientò il suo capolavoro. Nei Giardini di Kensington, là dove la sua fantasia aveva collocato l’origine del suo Peter Pan, c’è una magnifica statua del fanciullo che non voleva crescere. La statua fu peraltro realizzata quando il suo autore era ancora in vita - dato l’enorme successo mondiale che Peter Pan aveva ormai raggiunto -, e Barrie, osservandola, disse che le mancava qualcosa: in quel bambino ridente e felice trovò che mancasse il lato oscuro di Peter Pan.
Peter Pan ha detto e dato molto, in cento anni di vita, ma ha ancora molti segreti e misteri da rivelare.
Vale dunque la pena andare ad esplorare i suoi simboli, i suoi significati, il suo mito letterario, e allo stesso tempo tracciare il profilo biografico del suo autore, quel piccolo, timido scozzese che dietro la gioia che regalava ai bambini nascondeva la malinconia di una infanzia piena di sofferenza e la tristezza per una felicità mai conseguita da adulto. Infine vale la pena approfondire la Sindrome di Peter Pan, una situazione psicologica, sociale, culturale sempre più diffusa nella nostra società.
Alle origini di Peter Pan
All’origine di tutto c’è un romanzo: The Little White Bird, “L’uccellino bianco”, pubblicato nel 1903, dove il personaggio del “bambino che non volle crescere” compare per la prima volta.
L’anno dopo Barrie – la cui notorietà era dovuta principalmente alle sue opere teatrali –, esordì in teatro con una commedia che riprendeva quel personaggio, ma arricchita di molti elementi avventurosi e di personaggi fondamentali, ottenendo un grandissimo successo. La intitolò Peter Pan, o il ragazzo che non voleva crescere.
Il debutto avvenne il 27 dicembre 1904, e fu un successo clamoroso.
Per la prima volta dopo secoli, dopo che il genio di Shakespeare aveva creato il Sogno di una notte di mezza estate, qualcuno si era cimentato nel far irrompere a teatro la fantasia, la mitologia. James Barrie vinse la sfida.
Nel 1906 il suo editore decise di estrarre da “L’uccellino bianco” i sei capitoli relativi a Peter, pubblicandoli in un racconto a sé, con illustrazioni di Arthur Rackham, dal titolo Peter Pan nei Giardini di Kensington.
Tra il primo abbozzo del personaggio e la commedia, pubblicata successivamente in forma di romanzo con il titolo Peter Pan e Wendy nel 1911, vi sono profonde differenze, anche se il punto di partenza è comune.
In primo luogo l’età del protagonista: ne I Giardini di Kensington Peter è praticamente un neonato, ha una settimana di vita; nell’opera teatrale e nel romanzo successivo ha l’aspetto di un bambino di circa sette/otto anni, pur non avendo età.
Il secondo aspetto riguarda il luogo: da un parco nel centro di Londra, – i Giardini di Kensington, appunto – che svela la sua dimensione fantastica solo dopo il tramonto, all’Isola-che-non-c’è: terra della fantasia più sfrenata, topos dell’immaginario collettivo per eccellenza.
Alla diversità dei luoghi e delle caratteristiche del protagonista si accompagna una diversa atmosfera: più malinconica e “romantica” nel primo caso, avventurosa e giocosa nel secondo.
Infine i personaggi che circondano Peter: gli uccelli e le fate del primo racconto mantengono una dimensione da nursery rhimes, racconti fiabeschi per bimbi piccoli, mentre nell’opera teatrale hanno personalità più definite, tanto da diventare importanti per lo svolgersi del racconto e per i suoi significati, quanto il protagonista.
Peter Pan nei Giardini di Kensington inizia con una descrizione dei Giardini così come, secondo l’Autore, li vedrebbe un bambino. Gli alberi, i viali, il laghetto… non sono semplici elementi paesaggistici, ma luoghi misteriosi e magici che si animano dopo l’ora di chiusura del Parco e diventano territorio delle fate. Benché nessun bambino possa restare nei Giardini dopo l’ora fatidica, tutti sanno che il Parco diventa il luogo della fantasia e sono in grado di coglierne i segnali durante la loro passeggiata diurna. Gli adulti invece, ovviamente, si fermano all’apparenza e non colgono le tracce nascoste; solo chi sa farsi bambino, suggerisce l’Autore, può entrare anche se solo per qualche istante in quel mondo incantato.
Così come per il “fanciullino” Pascoliano, si tratta di ritrovare quello sguardo innocente e curioso che giace nel profondo di ciascuno di noi ma che soltanto nel poeta viene alla luce consapevolmente, secondo il modello romantico che fa dell’artista l’interprete dell’Assoluto e della magia della Natura.
In questo mondo a metà tra la realtà e la fantasia, la veglia ed il sogno, vive Peter Pan: “ha solo una settimana e benché sia nato tanto tempo fa, non ha mai avuto un compleanno e non c’è la minima possibilità che ne abbia mai. La ragione era che era sfuggito alla sua condizione di essere umano quando aveva sette giorni, era fuggito dalla finestra tornandosene in volo ai Giardini di Kensington”. Tutti i bambini, infatti, prima di nascere sono stati uccelli e nei primi giorni di vita hanno desiderato almeno una volta tornare sulle cime degli alberi, ma solo Peter ha potuto realizzare questo desiderio: “dimenticò di essere un neonato in camicia da notte e se ne volò dritto sulle case verso i Giardini”, poiché non si era ancora accorto di aver perso le ali. Era meraviglioso riuscire a volare senz’ali… e forse noi tutti potremmo volare se fossimo così ciecamente sicuri della nostra capacità di farlo, come l’aveva quella sera il coraggioso Peter Pan”.
In questo commento dell’Autore, sentiamo l’eco di ciò che rappresenterà la capacità di volare nell’opera successiva: può volare solo chi ha pensieri felici e un po’ di polvere di fata, ma se ci credi davvero tutto diventa possibile…
Il povero Peter però non è più veramente un uccello e ben presto si scontra con la sua condizione che è ormai irreversibile: quando cerca di dormire appollaiato su un ramo, si accorge di non riuscirci e si sveglia tremante dal freddo.
Nella descrizione delle vicissitudini del bambino troviamo una profonda malinconia, anche se addolcita da un lieve umorismo: Barrie sembra suggerirci che l’uomo non può trascendere la propria condizione né ritrovare pienamente l’identità con la natura; può soltanto scegliere di vivere in una sorta di mondo intermedio: rifiutando la banalità e la prosaicità della realtà (il rifiuto di crescere), ma senza poter rivivere del tutto l’innocenza originaria.
Dietro questa visione di Barrie non c’era solo la sua fantasia, il suo ricchissimo retroterra culturale scozzese fatto di miti e leggende, ma anche la sua storia personale, la sua personale condizione, ancora una volta è la condizione di uomo e di artista che non si sentiva a suo agio nel mondo borghese della Londra vittoriana ed edoardiana, ma che non poteva distaccarsene del tutto.
Al di là del tema sociale, vi è una paura più profonda che è quella del divenire e della morte. Crescere implica trasformazione, ma anche perdita di ciò che è stato: le responsabilità dell’età adulta non compensano il rimpianto per l’innocenza e la semplice felicità dell’infanzia perduta. Addirittura, nella sua prima versione, Barrie fa risalire tale condizione innocente ad un tempo che precede la nascita stessa: non si può non notare l’analogia con l’immagine platonica dell’anima che perde le ali quando si unisce ad un corpo per tornare a rinascere.
Quando giunge all’Isola degli uccelli che devono diventare bambini, nel centro della Serpentina – il laghetto più grande dei Giardini – il corvo Salomone, custode dell’Isola, gli dice che non potrà più essere uccello e quindi non potrà volare, ma che non è nemmeno come gli altri bambini. Sarà un “tra il Qui e il Là” gli dice il saggio Salomone: definizione che esprime in modo assai appropriato la natura liminale di Peter; il suo essere sul Confine: ad esempio tra ciò che è umano e ciò che non lo è, “E i confini saltano fuori ovunque, non appena entriamo in quella duplicità della mente che sente due modalità ad un tempo… una porta girevole è in noi che ci conduce verso gli spazi immemori di una condizione metaumana”.
Salomone gli insegna molte arti proprie degli uccelli: accontentarsi facilmente, fare sempre qualcosa e pensare che sia sempre qualcosa di grande importanza, soprattutto gli insegna ad avere un cuore felice in ogni attimo, senza preoccupazioni per il futuro: gli uccelli lo esprimono con il canto, ma Peter non sa cantare, quindi si costruisce un flauto. Tuttavia Peter non sa distinguere il gioco dalla realtà, nessuno gli ha insegnato a giocare, né ad usare i giocattoli ed egli spesso spia gli altri bambini nel Parco e vorrebbe poter raggiungere i Giardini per giocare “come un vero bambino”. Finalmente riuscirà a costruirsi una barca che in verità ha la forma di un nido e a raggiungere così i Giardini, dove inizieranno le sue avventure con le fate.
Ne I Giardini di Kensington è contenuto l’episodio cruciale della storia di Peter, che verrà poi ripreso nell’opera più conosciuta quando lo stesso Peter lo racconterà a Wendy; si tratta del tentativo di tornare dalla mamma che è intitolato “L’Ora di Chiusura”, con il doppio riferimento alla chiusura dei Giardini e alla chiusura della finestra della camera per Peter.