La fede è insieme dono, protesta, fiducia. È la grande affermazione della dignità dell'essere umano che rifiuta di ridurre l'universo a quel che i suoi sensi percepiscono. La fede è sempre una miscela di luce e oscurità. Credere è essere fedeli nelle tenebre a quel che si è visto nella luce.La fede è la protesta dell'evangelo contro tutte le oscurità, gli idoli e le illusioni del nostro mondo. È la fiducia che non si sbaglia mai a scegliere l'umiltà, a tenere le mani aperte, a lasciarsi guidare sulla strada di un amore più grande.
INDIRIZZO
Carissimo Thomas,
così sposerai mia figlia! E giunto il tempo per lei di abbandonare il padre e la madre, e la mia felicità più grande è saperla contenta.
Una coppia è fatta di due personalità, di due storie uniche che si uniscono per un cammino condiviso. Fra tutte le vostre differenze si trova quella della fede cristiana. Abbiamo cercato di trasmetterle l'evangelo, cosa che l'ha portata a frequentare diversi ambienti di chiesa, mentre tu sei cresciuto lontano da ogni riferimento religioso. So che rispetti profondamente la sua fede e vorresti capire quel che significa per lei. Ti dirà, con le sue parole, quel che vive ma, poiché sono un po' teologo, cercherò di spiegarti la mia comprensione della fede cristiana. Con le tue domande mi hai costretto ad andare al fondamento del mio credere e a fare la cernita tra ciò che dipende dalla ragione e dalla passione, dalla deduzione e dalla scommessa.
So bene che troppo spesso si pensa alla fede cristiana come a una regressione infantile che ha lo scopo di sedare le angosce della vita: vorrei mostrarti che è tutt'altro. È insieme scommessa e lotta, una ragione bella per vivere e una speranza più forte delle notti che minacciano il nostro mondo.
Siccome sei uno scienziato, comincerò con un enigma. Oggi più nessuno contesta l'esistenza storica di Gesù di Nazaret. Gli storici concordano nel dire che è vissuto all'inizio della nostra era, ha raccolto dei discepoli intorno a sé, ha parlato alle folle ed è morto crocifisso a Gerusalemme, abbandonato da tutti. Punto e basta. Al momento della sua morte, la vicenda di Gesù non merita una riga in un'enciclopedia di storia dell'umanità. La grande singolarità di Gesù di Nazaret rispetto agli altri fondatori di religioni consiste nel fatto che al momento della sua morte il bilancio della sua vita somiglia a un fallimento clamoroso.
Secondo la tradizione Mosè è morto di fronte alla terra promessa a un'età rispettabile, dopo aver condotto il suo popolo alla libertà. Buddha è morto a ottant'anni, pacifico, in mezzo ai suoi discepoli, dopo aver dato vita a una grande comunità di monaci e monache. Confucio, ritornato alla fine della vita a Lu, da dove era stato scacciato, si è spento dopo essersi dedicato alla formazione di un gruppo di discepoli e alla redazione del suo insegnamento. Muhammad, dopo aver assaporato gli ultimi anni della sua vita come capo politico dell'Arabia, è morto tra le braccia della sua favorita. Il fondatore dell'islam è stato un capo militare, mentre il fondatore del cristianesimo ha rifiutato ogni altro potere diverso da quello della Parola.
Solo la dipartita di Socrate si può paragonare a quella di Gesù, nella misura in cui egli viene condannato a morte ingiustamente dalla città. Detto ciò, Socrate è costretto a bere la cicuta a un'età relativamente avanzata e si spegne circondato dai suoi discepoli, discorrendo tranquillamente dell'immortalità dell'anima. Gesù muore giovane, rifiutato dalla folla, tradito e rinnegato dai suoi discepoli, condannato dalle autorità civili e religiose, abbandonato dagli uomini e da Dio. Inoltre, muore per mezzo di un supplizio tra i più orribili e barbari inventati dalla crudeltà umana.
Ecco dunque l'enigma annunciato: come ha fatto a nascere da questo nulla il movimento che, forse, ha influenzato maggiormente la storia dell'umanità degli ultimi due millenni? È un caso improbabile, una di quelle astuzie della storia che fanno accadere un'idea quando può essere accolta, o questo Gesù di Nazaret era qualcosa di più di quel che la sua biografia lascia intendere?
Riprendendo i dati della storia, il movimento di Gesù poté proseguire dopo la sua morte perché i suoi discepoli ne assicurarono la continuità. Si rialzarono, parlarono, partirono per strade diverse, conquistarono l'insieme dell'impero romano in meno di tre secoli senza versare una sola goccia di sangue, se non quella dei loro martiri. Come si ripresero i discepoli dopo la rovina, il fallimento della crocifissione? Possiamo immaginare che si siano riavuti dicendosi gli uni gli altri: "Gesù è morto e noi siamo stati incapaci di stare con lui sino alla fine. Ci è mancato il coraggio ma ora dobbiamo riprenderci. Per essere più credibili non ci resta che inventare una storia di resurrezione". Ma fatico a credere a questa ipotesi. Per me è più saggio dare credito a questi uomini e ascoltare quel che loro stessi dicono dei motivi di questo risollevarsi.
A questa domanda il libro degli Atti degli apostoli, che racconta la storia dei discepoli dopo la morte di Gesù, mette loro in bocca una stessa risposta: "Colui che era morto, lo abbiamo rivisto vivo".
Henri Guillemin è uno storico che ha riletto la narrazione evangelica con gli strumenti del proprio mestiere. Circa la resurrezione è giunto a questa conclusione:
La constatazione della storia non può essere: il Nazareno è risorto, poiché nessuno sa esattamente che cosa sia successo. Ma la storia ha il dovere di registrare come fatto accertato, innegabile, come certezza esente da dubbio: i discepoli di Gesù credettero, come si crede a unaverità d'evidenza, di aver rivisto vivo colui che era appena spirato.
Davanti all'enigma posto all'inizio della storia del cristianesimo, si offrono a noi due possibilità di risposta. O si tratta di un caso difficilmente spiegabile in base ai dati storici, o dobbiamo accordare un certo credito alla testimonianza dei discepoli di Gesù, che sembra altrettanto improbabile. Di fronte a due risposte poco verosimili, l'onestà ci spinge ad analizzare seriamente le due ipotesi. Lascio esplorare agli storici la prima pista e lascio loro spiegare come fu possibile al movimento di Gesù assumere una tale ampiezza, se gli togliamo ogni dimensione divina. Da parte mia seguirò la seconda traccia. Il mio scopo non è di dimostrare razionalmente la fede - che sta per natura al di là della ragione -, ma di mostrare che non è assurdo, lungi da ciò, dare qualche valore alla parola dei discepoli che affermarono di aver rivisto vivo colui che era morto.
Esploriamo un po' di più quel che la Bibbia dice della resurrezione. Ci sorprende per prima cosa che essa non la includa nel registro della prova. Se Gesù avesse voluto dimostrare con la resurrezione il suo status di Messia, il Risorto sarebbe andato a presentarsi alle autorità romane e religiose. Durante il suo ministero Gesù mostrò sempre una grande sfiducia per una fede fondata sul miracoloso. Dio non si propone mai attraverso una dimostrazione, ma sempre mediante la fede; perciò negli evangeli il Risorto si presenta solo ai discepoli. Soltanto per mezzo di testimonianze umane abbiamo accesso al messaggio della resurrezione. L'apostolo Paolo scrive che Gesù è stato visto da Pietro, dai dodici, da cinquecento fratelli, da Giacomo e infine da lui (cf. I Cor 15,5-8). Non descrive la resurrezione, ma racconta come degli uomini siano stati sconvolti dall'incontro con il Risorto. E aggiunge che la maggior parte sono ancora vivi, sottintendendo: "Potete interrogarli".
La Bibbia non descrive la resurrezione ma la tomba vuota, annuncia che la morte è vinta. Si tratta di una notizia forte, con un impatto tale da far cadere le paure che paralizzavano i discepoli di Gesù. Il messaggio originale del cristianesimo è questo annuncio: la morte non ha più l'ultima parola, quindi non ho più bisogno di avere paura e posso vivere, aprire le mani, accogliere, osare, amare.
Il messaggio della resurrezione non è il tutto del cristianesimo, ma rende ragione dell'evento che è all'inizio della storia della chiesa. Prendendo sul serio questo annuncio, siamo portati ad allargare la nostra riflessione e a interessarci dell'insieme del messaggio chiedendoci chi è risorto, perché, e che cosa questo significhi per noi.
Prima di procedere su questa strada, vorrei fare una breve parentesi sul metodo per chiarire le basi della mia riflessione. Che cosa possiamo dire di Dio? Come possiamo parlare di Dio? Nella storia del pensiero, sono state date due risposte a questa domanda.
La prima presuppone che si possa dire una parola su Dio a partire dalla nostra umanità, secondo il principio dell'analogia dell'essere. Se, come afferma il primo capitolo della Genesi, Dio ha creato l'essere umano a sua immagine, possiamo accedere a qualcosa di Dio a partire da quello che noi siamo. Per me questa via è un vicolo cieco, perché l'annuncio secondo il quale l'uomo è creato a immagine di Dio non è una parola su Dio ma sull'infinita dignità dell'essere umano.
A questo riguardo preferisco aderire alla posizione dei rabbini, secondo i quali la domanda: "Esiste Dio?" non è pertinente. Infatti "esistere" significa essere inscritto nel tempo e nello spazio. Ora, Dio è anteriore a questi dati, poiché li ha creati. Quindi sono inadeguati a rendere ragione di Dio; perciò i rabbini dicono di Dio non che esiste ma che è.
Ai nostri giorni gli scienziati ci insegnano che l'universo ha circa quindici miliardi di anni e si estende più o meno per cinquanta miliardi di anni luce, dimensioni inafferrabili per la nostra immaginazione. La terra non è che un pianeta qualsiasi che gira intorno a una stella qualunque di una galassia, in un universo che ne conta diverse centinaia di miliardi. E noi, perduti ai confini della periferia di questo universo, oseremmo dire qualcosa sul creatore di tale immensità? Su questo punto sono vicinissimo all'idea agnostica secondo cui l'assoluto non è accessibile a partire dalla nostra capacità di esplorazione. Solo questa posizione permette il dialogo secondo il detto: "Chi crede di possedere la verità sappia di credere e non creda di sapere".
La seconda risposta possibile alla domanda circa la conoscenza di Dio si fonda sul concetto di rivelazione. Parte dall'idea che, se in base alla nostra umanità non possiamo dir nulla di Dio, ci resta possibile in compenso ascoltare quel che Dio ha detto di sé divenendo uomo in Gesù di Nazaret. Il fondamento della fede cristiana consiste nel credere che abbiamo accesso a quanto possiamo sapere su Dio mediante Gesù Cristo, che la testimonianza delle Scritture ci fa conoscere. Quindi non parlerò di Dio in sé, poiché non posso dir nulla a riguardo, ma di quel che le Scritture dicono di lui. Esse ricorrono spesso a degli antropomorfismi in quanto parlano di Dio a partire dalle categorie umane; ma come potrebbe essere altrimenti? Le parole della Bibbia non parlano di Dio in sé, ma di Dio come possiamo comprenderlo a partire dalla nostra umanità.
Ti propongo quindi di ascoltare insieme a me le parole della Scrittura per capire quel che dicono sull'essere umano e su Dio. Ritorneremo poi sulla questione del senso della fede davanti a queste affermazioni.
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
QUEL CHE LA BIBBIA DICE DELL'ESSERE UMANO
Sono legato in maniera particolare al libro della Genesi, perciò mi soffermerò sul racconto di Adamo ed Eva. Stai forse per chiedermi che cosa c'entri a questo punto tale leggenda. Ti risponderò che questo racconto è prezioso, poiché fa alcune affermazioni sull'essere umano che sono ai miei occhi di grande pertinenza.
Prima di entrare nel testo, diciamo qualcosa sulla natura del racconto. Ecco due storie.
Giulio Cesare vinse la Gallia e guerreggiò per tutto l'impero romano. Alla fine celebrò il trionfo a Roma esponendo Vercingetorige, il capo gallo, a testimone delle sue vittorie. Questa storia è vera? Se crediamo agli storici, sì.