Il senso spirituale della liturgia
(Liturgia e vita) [Libro con legatura cucita]EAN 9788882273354
La qualificazione di spirituale alla liturgia già presente nel titolo permette di rilevare come ovvia e intelligibile la prima parte: la mistagogia. E in quel piccolo paragrafo dal titolo atteso: Il senso spirituale [della mistagogia dell’atto penitenziale] si ricorda la triplice santità plurale di Dio che rende «santi per vocazione» i cristiani. L’Autore cerca la radice del senso spirituale della liturgia nella santità di Dio: la radice di ogni spiritualità è la santità di Dio.
Ci si aspettava anche un’etimologia più mistagogica di spirituale: qualificazione di un’iniziazione grazie allo spirito di santità dello Spirito Santo che connota e definisce l’assemblea liturgica come luogo di riconciliazione «ubi floret Spiritus» (Tradizione apostolica, cit. a p. 131 nel cap.: Il sacramento dell’assemblea (pp. 131ss.). Questa prima parte (la mistagogia) è introdotta da pagine i cui paragrafi sono ben articolati e «logici»: la liturgia inizia al mistero, Gesù Cristo, il mistagogo; il legame tra le Scritture e «la liturgia come matrice della mistagogia […]». Poi tre capitoli in cui si delinea la mistagogia dell’atto penitenziale, della liturgia della parola e della presentazione dei doni. Già in questi capitoli emerge la vocazione monastica dell’Autore: monaco del mondo, monaco «catt-olico».
Perché queste pagine sottendono un’attenzione alla realtà dell’assemblea liturgica contemporanea, ai suo bisogni e alle sue attuali condizioni, come consapevole costatazione in vista di una liturgia per il cristianesimo che ci attende (parte terza). Almeno tre le occasioni da citare, anche come esemplificazione recensionale di questa pubblicazione. Il paragrafo: La voce del lettore, che non è usuale in libri di teologia e di liturgia pur segnalando l’importanza (ma non l’efficacia spirituale) del modo di proclamare le Scritture… Qui si dà risalto al «Gesù lettore di Is 61,1» pur «nella portata iconica del libro e nella forma mistagogica della sua apertura e della sua chiusura» (Y. Hameline) nella sinagoga di Nazaret secondo il racconto lucano (Lc 4,17-18).
Per poi far emigrare la denominazione della Bibbia da Scrittura a miqra’, cioè «proclamata, fatta per essere letta ad alta voce e ascoltata» (p. 82). E non è soltanto la voce come necessario strumento di socializzazione e di mediazione comunicativa di un testo scritto, ma in quanto «la voce del lettore appartiene in modo costitutivo al testo, ed è compito del lettore far sì che la sua voce sia serva della “voce scritta”, come l’ha chiamata P. Ricoeur, [così che] inscritta nel testo è la condizione affinché il testo parli e interroghi chi la ascolta» (p. 82). Garantendo così che «la voce del lettore si appoggi sullo “sta scritto”, sta “allo scritto”, il quale impedisce al lettore di prendere il posto della scrittura stessa, o meglio impedisce al lettore di occupare la prima scrittura, la Parola originaria, quella di Dio» (pp. 82-83).
L’altra citazione significativa è quella in cui «l’offerta delle primizie è un comando etico»: «Il rito della presentazione delle primizie non è solo memoria del passato, è anche memoria del presente, appello alla responsabilità che Israele [e la Chiesa] ha nell’oggi» (p. 92). Per cui, «la riconoscenza manifestata verso il Signore, attraverso l’offerta simbolica dei frutti della terra, è dunque vera solo se verificata, nel senso di “fatta vera” nel riconoscimento del povero. Questo significa che “è nella pratica etica della condivisone che si compie la liturgia di Israele. Il rito è la figura simbolica della congiunzione tra l’amore per Dio e l’amore per il prossimo in cui Israele riconoscerò presto […] non solo il duplice comandamento principale, ma il principio stesso di tutta la legge” (L.-M. Chauvet)» (p. 93).
Quest’istanza «sociale» della liturgia ha nell’Eucaristia la «fonte di trasformazione sociale»: «L’Eucaristia è una realtà sociale quanto teologica, è crogiuolo di un’etica a servizio dell’uomo» (p. 110: pagine simili dello stesso Autore durante la sua partecipazione alla 61ª Settimana liturgica nazionale, ora pubblicate negli Atti, pp. 95-112, recensiti in queste pagine di letteratura liturgica). Questa interazione tra «liturgia e amore per i poveri» trova nel cap. IX un approfondimento di contemporaneità (dispiace soltanto vedere il testimoniale testo di Hélder Câmara, L’Eucaristia, esigenza di giustizia sociale, posto come appendice: forse perché le pagine precedente ne sono una preparazione?).
Ma non sono i testimoni e i martiri che ci permettono di procedere e di continuare a riflettere? Forse si potrebbe richiedere un maggiore coraggio di contemporaneizzare le pagine precedenti con i protagonisti e i testimoni di questa «liturgia nel sociale». Papa Benedetto XVI disse: «L’amore per i poveri è liturgia» (Udienza generale, 1 ottobre 2008). Questa consapevolezza declericalizza la liturgia («Anche i pastori sono pecore», sant’Agostino) o meglio responsabilizza il presbitero che va «formato dalla liturgia alla preghiera, alla presidenza, alla mistagogia» (pp. 137-146). Dalla liturgia. Perche «la liturgia è la prima scuola di liturgia» (pp. 135-137). La terza citazione evidenzia ancora di più il discernimento dei segni dei tempi del monaco Boselli. La preleviamo dall’ultimo capitolo.
L’Autore si pone il problema, che nemmeno un monaco può eludere (anzi!), in che modo tradere la fede grazie alla liturgia? La risposta è nettamente articolata in tre tempi «liturgici» non cronologici: l’oggi, il sempre (della tradizione), il domani: come la liturgia trasmette, ha trasmesso e trasmetterà la fede. A meditato giudizio dei vescovi (l’Autore cita il documento della Conferenza episcopale italiana: Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia del 2001) «[…] uno dei problemi più difficili nella Chiesa è la “trasmissione del vero senso della liturgia cristiana”» (p. 211). L’Autore non vi dedica molte pagine, ma insiste sulla necessità che «i presbiteri e gli educatori [e i monaci] si troveranno così ad affrontare e a gestire una nuova forma di devozione, non più moderna ma postmoderna» (p. 227) e la risoluzione in itinere di un problema di liturgia pastorale (o forse di pastorale liturgica?) deve almeno rifuggire dalla «tentazione di tornare a vecchi formalismi», dalla «ricerca ingenua dello spettacolare» e dall’«attuale esaltazione – non solo da parte di antropologi ma anche da parte di teologi e di liturgisti – dei sentimenti degli affetti e delle emozioni, ai quali i giovani sono di loro natura particolarmente sensibili […] La liturgia cristiana, pur non esaurendosi nella razionalità, è pur sempre una loghiké latreía, un “culto secondo parola” e “secondo ragione” (cf. Rm 12,1).
I facili sentimenti e gli affetti superficiali a lungo andare non nutrono la vita del credente che invece ha bisogno del cibo solido della parola di Dio e dell’Eucaristia, i quali da sempre costituiscono l’unico nutrimento solido e sostanziale del cristiano. […] La liturgia di domani pare dunque esigere che ciascun cristiano sia posto nelle condizioni di acquisire il valore dell’interiorizzazione del contenuto della liturgia, unita alla riscoperta di un’atmosfera più orante e contemplativa» (pp. 227-228). Dimenticavo: chi non ha proprio tempo di leggere questo libro, si sfogli lentamente le pagine e legga «soltanto» le citazioni intelligenti e prospettiche all’inizio di ogni capitolo.
Non potrà che scivolare giù al primo rigo e poi ritrovarsi in fondo al capitolo. Un esempio nel capitolo: Liturgia e amore per i poveri: «Ogni volta che vedete un povero […] ricordatevi che sotto i vostri occhi avete un altare» (Giovanni Crisostomo), e ancora: «Anche i pastori sono pecore» (Agostino d’Ippona); «La liturgia è il più importante organo del magistero ordinario della Chiesa» (Pio XI). Possibilmente, nelle prossime edizioni che auguriamo, la traslitterazione dell’ebraico merita essere onorata con una migliore precisazione, alcune pagine sembrano alquanto affrettate disperdendo quello stile mistagogico che viene evocato, e soprattutto una rilevanza maggiore allo Spirito nei tre ambiti della pubblicazione: è pur sempre del senso spirituale della liturgia che si sta scrivendo.
La conclusione di questa pubblicazione ha per titolo: La liturgia è l’azione più efficace della Chiesa e per frase conclusiva: «È necessario custodire la liturgia della Chiesa e, custodendola, essa trasmetterà la fede della Chiesa». «La liturgia è la teologia della Chiesa» (p. 35). È proprio «un passo avanti nell’intelligenza della liturgia» (P. De Clerck nella Prefazione).
Tratto da "Rivista Liturgica" n. 4/2012
(http://www.rivistaliturgica.it)
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Dott. emanuela rigo il 26 ottobre 2018 alle 01:06 ha scritto:
utile per il corso di liturgia