Il volto e l'interfaccia

La dimensione virtuale permea e condiziona profondamente la vita dei singoli e della società. Sembra che concentri su di sé ogni promessa e ogni speranza: di un'attenzione e di una responsabilità per gli altri, di una democrazia finalmente realizzata e partecipata. Almeno in apparenza. Come tutte le utopie, anche il virtuale si trova smentito all'apice del suo trionfo. Davvero difficile decidere su quanto mantiene e su quanto invece tradisce. Eppure, nonostante le sue sconfitte e le sue patologie, i suoi deliri e le sue allucinazioni, nonostante diventi spesso una gabbia da cui è difficile uscire, la realtà virtuale conferma a suo modo che non c'è nessuna umanità al di fuori della ricerca di una prossimità con gli altri. Che poi nel virtuale gli incontri non significhino sempre ciò che sembrano, che una rete di relazioni non equivalga per nulla alla socialità dell'umano, che la responsabilità per gli altri passi in secondo piano succede nel virtuale come nel reale. Non c'è bisogno di aspettare il virtuale per accorgersi che stare in relazione non è ancora incontrare, non ancora farsi responsabili dell'altro.