L'attenzione ai segni illuminanti della liturgia, il richiamo costante alla qualità del vivere e all'essenzialità dei linguaggi di relazione, la fedele volontà d'ascesa verso la conoscenza e la trasfigurante visione, le forme sempre più pure di dire la somiglianza, di riflettere l'immagine divina archetipica, l'affascinata e stupita apertura verso il sapere universale, le culture, le differenti esperienze d'incontro con il mistero dell'esistenza divina, immanente e trascendente, lo stato orante coltivato come atteggiamento globale e continuo, "così misurato, così silenzioso", sono i tratti del fortissimum genus di monaco, di cui padre Giovanni ci ha lasciato stimolante e insieme dolcissima nostalgia: "Era essenziale come i radi casolari e i geometrici vigneti del paesaggio dove si era ritirato a vivere. Nascosto e solitario; austero e aristocratico come il suo eremo" scrive di lui David M. Turoldo.
PREMESSA
di Espedito D'Agostini
La presente riedizione di Libertà dello spirito, ripropone nella forma e nei contenuti il volume, edito nel 1993, che rielaborava e completava quello uscito nel 1967, come antologia curata da Pedro M. Suarez, nella primitiva collana viola dei "Quaderni di ricerca del Centro studi ecumenici Giovanni XXIII".
In quella riedizione si scriveva infatti: «Poiché si trattava di provvedere a una nuova stampa della raccolta vannucciana, essendosi esaurite le successive due riedizioni, si è pensato a una diversa e ampliata presentazione di testi scritti da padre Giovanni, alcuni dei quali non avevano trovato collocazione dentro i "Quaderni di ricerca", pubblicati dopo la sua morte, per i tipi della editrice Cens, Pellegrino dell'Assoluto e La ricerca della Parola perduta.»
Struttura diversa in considerazione della tematica differenziata rispetto agli altri argomenti raccolti in Libertà dello spirito; e, data l'organicità della trattazione che dona una sua completezza al testo, si è considerato opportuno pubblicare in forma di volume separato La parola creatrice.
Si tratta, infatti, di scritti ripresi dalla rivista fiorentina La Ss. Annunziata, poi diventata L'attesa, e successivamente, nel 1963, L'attesa del regno, pubblicati a puntate fra il marzo 1961 e il marzo 1962.
Nel gennaio 1967 (nello stesso anno, quindi, in cui veniva dato alle stampe Libertà dello spirito), appariva fra i bianchi volumetti delle edizioni La Locusta di Vicenza il titolo La parola creatrice di Giovanni Vannucci: erano «poche pagine di meditazione sui primi tre capitoli della Genesi», nate da una serie d'incontri con alcuni gruppi di giovani. «Ci riunivamo con l'intento dí comprendere le grandi linee direttive della Bibbia, per uniformare su di esse la nostra vita di credenti», scriveva lo stesso padre Giovanni nella presentazione di questa sua operetta. Le "poche pagine" riflettono chiaramente le cose dette negli articoli apparsi negli anni 1961-1962, sia nella struttura sia nel linguaggio; ma ne sono, in qualche modo, la sintesi o, forse meglio, un florilegio.
Il testo fiorentino ha una sua articolazione più complessa ed esaustiva dei temi tratti dalla lettura della Genesi; e, soprattutto, potrebbe essere considerato il modulo fondamentale di comprensione del pensiero vannucciano e della sua spiritualità. In queste riflessioni ci sono le radici del suo essere in relazione con il mistero di Dio e la creazione, la storia e il tempo, l'uomo e la ricerca perenne e multiforme dell'armonia universale.
Così, quasi a dimostrazione della radicalità informante che questa attenzione all'"in principio" ha avuto nella mente e nel cuore di padre Giovanni — atteggiamento totale della sua persona e qualificante il suo essere monaco —, si sono aggiunti alcuni articoli apparsi fra il 1977 e il 1980 sulla rivista Servitium. Essi possono costituire segnalazioni luminose per un itinerario autenticamente spirituale che, prendendo sempre avvio e riferendosi costantemente alla luce del "principio", conduca a «uniformare sulle grandi linee direttive della bibbia la vita dei credenti».
Una seconda diversità, rispetto alle precedenti edizioni, riguarda la collocazione degli argomenti, ora raggruppati nel volume che mantiene il titolo Libertà dello spirito.
Alle varie sezioni del libro è stata data un'intestazione comune: la via, termine caro a padre Giovanni, indicante un corretto di stare con se stessi e sulla terra, e soprattutto caratteristico del monachesimo, come "pellegrino".
La via "luminosa", la via della "bellezza", la via della "perfezione'', la via dell'"incontro", la via dell'orante" sono specificazioni di un'unica realtà sperimentata dal «servo fedele della Parola»qual era Giovanni Vannucci. L'attenzione ai segni illuminanti della liturgia; il richiamo costante alla qualità del vivere e all'essenzialità dei linguaggi di relazione; la fedele volontà d'ascesa verso la conoscenza e la trasfigurante visione, le forme sempre più pure di dire la somiglianza, di riflettere l'immagine divina archetipica; l'affascinata e stupita apertura verso il sapere universale, le culture, le differenti esperienze d'incontro con il mistero dell'esistenza divina, immanente e trascendente; lo stato orante coltivato come atteggiamento globale e continuo, «così misurato, così silenzioso»' sono i tratti del fortissimum genus di monaco, di cui padre Giovanni ci ha lasciato stimolante e insieme dolcissima nostalgia. «Era essenziale come i radi casolari e i geometrici vigneti del paesaggio dove si era ritirato a vivere. Nascosto e solitario; austero e aristocratico come il suo eremo»'. Struttura ampliata
Questa diversa articolazione data ai due volumi della presente edizione ha consentito la riproposta di interessanti scritti di Vannucci, che, come si diceva, non avevano trovato collocazione nelle precedenti antologie.
Sono testi che, nella maggioranza, padre Giovanni ha scritto per i lettori di Servitium e che conservano intatta la loro attualità. Anzi, essi hanno il sapore di una "profezia" che, se trovava negli anni a ridosso del grande evento conciliare un'attesa trepida, un ascolto, seppur elitario, denso di speranze, ora potrebbe favorire sempre più necessarie, urgenti, esperienze di vita qualificata spiritualmente e forme autentiche di espressività religiosa.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Parlare di padre Giovanni Vannucci mi è particolarmente difficile: forse per paura di essere tradito dall'amicizia; e non tanto per la coscienza di non dire cose vere, quanto per il sospetto di non essere creduto, magari di riuscire indiscreto. Tuttavia scrivere di lui è un dovere: io non so quanti godono di sentirsi debitori a questo frate, soprattutto per la sua fedeltà silenziosa, per la sua intensa sofferenza accettata per amore a Cristo e alla chiesa, per il suo esempio di umiltà tutt'altro che allo stato naturale.
Io ricordo i giorni di Nomadelfia, nel periodo eroico, quando tutto era rischio personale; quando gli equivoci che erano nelle cose e, insieme, le volute incomprensioni ti stringevano dentro un assedio senza possibilità di difesa. Perché non esistono solo campi di concentramento fatti di reticolati: esistono anche la prigionia morale e il genocidio dello spirito. Ricordo in particolare quei giorni quando si abbatté, soprattutto sui fanciulli, la furia legale della dispersione e noi esiliati e sparpagliati come in una piccola quanto amara diaspora. E Giovanni Vannucci ritornato a Firenze, che gira e rigira intorno al convento dell'Annunziata, domandandosi: «Rientro, non rientro? Rientro...». E rientra, con le spalle un po' curve dal peso di tante sanzioni, soprattutto intristito dal sospetto di eresia; rientra con coraggio e si mette a disposizione dei fratelli; e, interdetto per ogni cosa, comincia a servire le messe agli altri confratelli sacerdoti: lui per tanti anni professore di sacra scrittura al collegio internazionale di teologia a Sant'Alessio di Roma.
Ma non contava. Aveva tentato di cambiare le strutture, di dimostrare di credere coi fatti, con le opere. E questo è sempre un pericolo.
Un pericolo essere conseguenti. E bisogna pagare. Non restava silenzio, la preghiera e la pazienza. La «pazienza della verità» direbbe l'amico Gozzini.
Così per altri anni non restava che la cella e il colloquio segreto col proprio Dio. Anche in questo Giovanni Vannucci è un esempio raroi" Monaco nel mondo e soldato nel deserto. Bisogna sentirlo parlare del_ la contemplazione, ad esempio, per convincersi di quanto la nostra vita "secolare" è depauperata. E sentirlo spiegare il senso del deserto nelle scritture, per comprendere come la vita è una milizia (non certo un militarismo). Il deserto come il luogo delle scelte supreme è il posto dove la parola di Dio si fa udire al profeta. «Chi siete andati a vedere nel deserto? Forse un uomo mollemente vestito? Chi veste mollemente sta nella casa dei re. Chi siete andati a vedere? Forse una canna sbattuta dal vento? (queste canne vuote della retorica, pronte a ogni servilismo!) Chi siete andati a vedere? Forse un profeta? Sì, vi dico: più che un profeta. Egli è la voce di uno che grida nel deserto...».
Ora questa pagina si è ripetuta tante volte nella storia della santitài"
Con la fuga dei primi eremiti nella solitudine, nasce in seno alla chiesa la generazione dei monaci, il fortissimum genus di uomini santi che, silenziosamente pregando e purificandosi, hanno scritto le pagine più belle nella storia della chiesa e mostrato a quali vertici di purificazione può giungere l'uomo fedele a Cristo. La vita del solitario, del monaco, non è né clamorosa né allettante né facile, ma è la sola che permette alla realtà della redenzione di tradursi in un fatto concreto nello spirito dell'uomo".
La sua fuga, considerata sul piano della verticalità, è ascesa, un passo avanti nella vicenda dell'approfondimento dei valori cristiani da parte dell'uomo, fuga essenzialmente positiva. Nel deserto, i solitari hanno trovato le condizioni ideali. Il deserto, oltre a custodire il loro isolamento dal rumore della cultura contemporanea, permette un genere di vita essenziale.