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DETTAGLI DI «La schiena di Dio»
Tipo
Libro
Titolo
La schiena di Dio
Autore
Grampa Giuseppe
Editore
Centro Ambrosiano (già ITL)
EAN
9788880255765
Pagine
172
Data
2006
Peso
350 grammi
Altezza
21 cm
Larghezza
15 cm
Profondità
1,4 cm
COMMENTI DEI LETTORI A «La schiena di Dio»
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Recensioni di riviste specialistiche su «La schiena di Dio»
Recensione di Giuseppe Trentin della rivista Studia Patavina
La letteratura filosofica sulla religione, la sua rilevanza ontologica ed etica, sta diventando di anno in anno sempre più attenta ai problemi del fanatismo religioso. Spesso questa letteratura oscilla tra i poli della sopravalutazione o della sottovalutazione. Talvolta però riesce a mantenere un equilibrio lodevole pur senza rinunciare a sostenere le proprie tesi, risultando in questo modo anche più utile per il lettore. È il caso dell’opera che presentiamo. Il suo autore, docente di filosofia delle religioni nell’Università degli studi di Padova, nell’Università Cattolica di Milano e nell’Istituto filosofico-teologico di Scutari (Albania), affronta il tema con grande equilibrio indicando otto vie per evitare la deriva fanatica delle religioni.
La prima e più fondamentale di queste vie è ovviamente il dialogo, ma quella più ardua e decisiva è forse la seconda, che l’A. descrive molto efficacemente come impegno a custodire nella prossimità la trascendenza di Dio, il suo mistero, senza dimenticare che di lui ci è dato di vedere solo la schiena, mai il volto (Esodo 33,18-23). Di qui il bel titolo che ha dato al volume, ma anche un’importante precisazione che troviamo verso la fine del libro. Guardando retrospettivamente al percorso compiuto l’A. osserva: «Ci ha guidati in questo percorso… il simbolo della schiena di Dio, avvertimento a rispettarne la Trascendenza» (p. 167). Ma subito precisa: «Eppure noi sappiamo che il volto di Dio ci è dato, ma è il volto dell’uomo, sua immagine somigliantissima» (p. 167). Come a dire: non è vero che non ci è dato di vedere il volto di Dio; il volto di Dio ci è dato, ma è il volto dell’uomo. Di qui il senso trascendenza, ma anche di «prossimità», quasi di immanenza della trascendenza, che attraversa e accompagna sempre l’esperienza cristiana.
Da seguace e discepolo attento di Paul Ricoeur e di Emmanuel Levinas, con i quali ha anche studiato a Parigi, l’A. difende una tesi radicale sul rapporto tra fanatismo e religione. Tesi che si può riassumere nel modo seguente: non solo la religione islamica, anche la religione cristiana può essere vittima del fanatismo. «Noi oggi giustamente deprechiamo il fanatismo che strumentalizza la fede islamica. Ma non dobbiamo dimenticare forme di fanatismo che hanno strumentalizzato la fede cristiana. ‘Gott mit uns’ era il motto nazista: Dio con noi. Ripresa funesta del più antico. ‘In hoc signo vinces’. Vincere la battaglia grazie al segno della croce. Quante volte il fanatismo ha legittimato guerre, violenze, stragi, violazioni della libertà e della coscienza» (pp. 16-17).
Come si vede, Grampa non evita di andare giù duro sul tema e l’idea di una possibile deriva fanatica del cristianesimo, oltre che dell’islamismo, farà drizzare le orecchie a molti che non la pensano come lui. Ma, indubbiamente, il modo in cui presenta il suo argomento è chiaro e intellettualmente onesto, offrendo in questo modo a chiunque vi dissenta la possibilità di dibattito e confronto critico. Non a caso il libro si apre con una bella prefazione di Roberto Toscano, ambasciatore d’Italia a Teheran, proprio sul dialogo e tolleranza tra cristiani e non cristiani: «Colpisce in Giuseppe Grampa –scrive l’ambasciatore – l’intensità di una fede che, pur nella serena convinzione del proprio messaggio, resta profondamente rispettosa del ‘passo umano’. Che suggerisce, accompagna, invita, invece di dettare, predicare, imporre» (p. 10).
Ho citato queste parole per due motivi principalmente. Perché esprimono un elogio che mi sento senz’altro di condividere e vorrei anzi generalizzare osservando che a volte lo stile diventa contenuto: essere rispettosi del «passo umano» è segno di autentica fede cristiana, oltre che di grande apertura mentale. In secondo luogo mi sembra di cogliere in quelle parole il grande merito di questo libro, vale a dire lo sforzo di togliere la questione del fanatismo religioso dal clamore degli scontri politico-mediatici per portarla nell’ambito di riflessioni, dove contano gli argomenti di cui si dispone e soprattutto la volontà di ascoltare l’altro.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
La prima e più fondamentale di queste vie è ovviamente il dialogo, ma quella più ardua e decisiva è forse la seconda, che l’A. descrive molto efficacemente come impegno a custodire nella prossimità la trascendenza di Dio, il suo mistero, senza dimenticare che di lui ci è dato di vedere solo la schiena, mai il volto (Esodo 33,18-23). Di qui il bel titolo che ha dato al volume, ma anche un’importante precisazione che troviamo verso la fine del libro. Guardando retrospettivamente al percorso compiuto l’A. osserva: «Ci ha guidati in questo percorso… il simbolo della schiena di Dio, avvertimento a rispettarne la Trascendenza» (p. 167). Ma subito precisa: «Eppure noi sappiamo che il volto di Dio ci è dato, ma è il volto dell’uomo, sua immagine somigliantissima» (p. 167). Come a dire: non è vero che non ci è dato di vedere il volto di Dio; il volto di Dio ci è dato, ma è il volto dell’uomo. Di qui il senso trascendenza, ma anche di «prossimità», quasi di immanenza della trascendenza, che attraversa e accompagna sempre l’esperienza cristiana.
Da seguace e discepolo attento di Paul Ricoeur e di Emmanuel Levinas, con i quali ha anche studiato a Parigi, l’A. difende una tesi radicale sul rapporto tra fanatismo e religione. Tesi che si può riassumere nel modo seguente: non solo la religione islamica, anche la religione cristiana può essere vittima del fanatismo. «Noi oggi giustamente deprechiamo il fanatismo che strumentalizza la fede islamica. Ma non dobbiamo dimenticare forme di fanatismo che hanno strumentalizzato la fede cristiana. ‘Gott mit uns’ era il motto nazista: Dio con noi. Ripresa funesta del più antico. ‘In hoc signo vinces’. Vincere la battaglia grazie al segno della croce. Quante volte il fanatismo ha legittimato guerre, violenze, stragi, violazioni della libertà e della coscienza» (pp. 16-17).
Come si vede, Grampa non evita di andare giù duro sul tema e l’idea di una possibile deriva fanatica del cristianesimo, oltre che dell’islamismo, farà drizzare le orecchie a molti che non la pensano come lui. Ma, indubbiamente, il modo in cui presenta il suo argomento è chiaro e intellettualmente onesto, offrendo in questo modo a chiunque vi dissenta la possibilità di dibattito e confronto critico. Non a caso il libro si apre con una bella prefazione di Roberto Toscano, ambasciatore d’Italia a Teheran, proprio sul dialogo e tolleranza tra cristiani e non cristiani: «Colpisce in Giuseppe Grampa –scrive l’ambasciatore – l’intensità di una fede che, pur nella serena convinzione del proprio messaggio, resta profondamente rispettosa del ‘passo umano’. Che suggerisce, accompagna, invita, invece di dettare, predicare, imporre» (p. 10).
Ho citato queste parole per due motivi principalmente. Perché esprimono un elogio che mi sento senz’altro di condividere e vorrei anzi generalizzare osservando che a volte lo stile diventa contenuto: essere rispettosi del «passo umano» è segno di autentica fede cristiana, oltre che di grande apertura mentale. In secondo luogo mi sembra di cogliere in quelle parole il grande merito di questo libro, vale a dire lo sforzo di togliere la questione del fanatismo religioso dal clamore degli scontri politico-mediatici per portarla nell’ambito di riflessioni, dove contano gli argomenti di cui si dispone e soprattutto la volontà di ascoltare l’altro.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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