Santi lebbrosi (I)
(Aleph) [Brochure]EAN 9788879622318
Il libro di D. Solvi, che appare come il sesto volumetto della serie aleph, affronta la tematica della lebbra e del lebbroso presenti nei racconti agiografici del XIII secolo. Il percorso è diviso in cinque capitoli che riprendono e propongono le diverse prospettive agiografiche in cui il problema viene visto e offerto al lettore nell’epoca tardomedievale. Solvi analizza le testimonianze agiografiche del Duecento dove il rapporto tra la lebbra, il lebbroso e la santità e la perfezione cristiana evolve, partendo dal concetto della conversione e del battesimo come mezzi della guarigione e dei segni salvifici. Un passaggio successivo è quello della proposta ascetico-penitenziale, infatti l’A. conclude il secondo capitolo affermando: “Trapelano dunque nei testi agiografici i tratti di quel percorso di santificazione ascetico-penitenziale che è quanto propone ai lebbrosi la pastorale ecclesiastica fra XII e XIII secolo, impegnata a configurare i lebbrosari come comunità religiose sottoposte a stretta obbedienza, regolare pratica sacramentale e attento autocontrollo. Un modello che, pur elaborato in ambienti clericali, affonda le sue radici nel vecchio ideale monastico: la lebbra, al pari della vocazione religiosa, è occasione di santità perché, ostacolando la realizzazione dei desideri terreni, sopprime l’amore del mondo e accende il desiderio del cielo, sottoponendo la carne a quei flagelli che, se accettati con pazienza, consentono di acquistare meriti per la vita eterna” (p. 25). Un’altra categoria e modo di affrontare il problema nella letteratura agiografica e nel modello descrittivo di esso è la tipologia di Christus quasi leprosus. La cura ai malati diventa così una realizzazione a pieno delle parole di Gesù di compiere le opere di carità rivolte ai più piccoli (Mt 25, 40). “Si tratta, in verità, di un soggetto narrativo che si presta a usi diversi a seconda del modello di perfezione cristiana prevalente nei singoli testi, e che solo nel Duecento sembra corrispondere a un sostanziale ripensamento del concetto di santità” (p. 28). Questa figura risolve anche idealmente il presunto conflitto biblico tra la operosità di Marta e la contemplazione di Maria, in cui “[…] la possibile dicotomia tra azione e contemplazione si ricompone in una più alta unità” (p. 39).
Solvi apre anche l’orizzonte biografico in cui si collocano le descrizioni del servizio ai lebbrosi da parte delle donne, spesso collegato ai fenomeni mistici. Dopo aver presentato le esperienze dell’ambiente fiammingo, dove le cure furono esercitate in una forma costante e non solo occasionale dentro i lebbrosari, l’A. offre le testimonianze delle mistiche che vogliono, per amore del Diletto, di essere come loro. Alla fine riporta anche la descrizione di una santa monaca lebbrosa Aleydis di Schaerbeek. “L’esperienza di Aleydis rivela un modello di santità inedito, che il linguaggio della spiritualità monastica stenta ad esprimere, se non a comprendere. Per la santa la perfezione non consiste nella rinuncia al mondo, ma nell’esercizio del ministero di Cristo, e la lebbra è al cuore, non al margine della santità: mentre per l’agiografo è la muraglia al riparo della quale esercitare l’ascesi e la contemplazione, per Aleydis è strumento di redenzione. […] Se martirio è quello di Aleydis, è il martirio di Cristo, passione subita senza colpa, per obbedienza al Padre, e offerta in olocausto per espiare i peccati del popolo. La lebbra è la sua croce: strumento di tortura e fonte d’infamia, diventa con Cristo emblema di salvezza e di gloria” (p. 55-56).
L’ultimo capitolo si sofferma sulla percezione francescana del lebbroso, in cui Solvi propone due figure, san Francesco d’Assisi e santa Angela da Foligno. L’Assisiate parla direttamente nel suo Testamento dell’esperienza personale con i lebbrosi: “…il Signore stesso mi portò da loro e sperimentai con loro la misericordia, e mentre mi allontanavo da loro, ciò che mi sembrava ripugnante si è mutato in me in dolcezza dell’anima e della carne” (Test 2-3). Anche i racconti agiografici, sia di Tommaso da Celano sia di Bonaventura, riprendono la questione, anche se essa venne interpretata e descritta secondo le loro visioni e finalità. Comunque la novità di san Francesco si rivela nell’accettare la condizione umana come quella del lebbroso, e cioè della fragilità in cui “tutti per colpa nostra siamo miserabili e putrefatti, puzzolenti e simili a vermi, come dice il Signore per bocca del Profeta: Io sono un verme e non un uomo, obbrobrio degli uomini e abiezione del mio popolo” (2Lf 46). Solvi conclude: “I lebbrosi sono per Francesco lo specchio in cui si riflette la vera immagine di tutti gli uomini. […] non per insegnare che anche lebbrosi sono uomini, ma che tutti gli uomini, anche i sani, sono lebbrosi” (p. 65). Con l’Incarnazione Dio ha assunto la condizione dei lebbrosi, perciò il santo d’Assisi volle lasciare a tutti la verità della propria esperienza più intima del Figlio di Dio. Infatti le parole dell’A. sono una sintesi molto acuta della realtà di Francesco: “[…] il servizio ai lebbrosi si riallaccia al nucleo più profondo e persistente dell’esperienza spirituale di Francesco, in quanto è figura della redenzione e sintesi dei rapporti uomo-Dio. È questo l’insegnamento che egli, al termine della vita, intende lasciare in eredità ai frati, rievocando quel lontano momento in cui, andato a vivere coi lebbrosi, aveva scoperto che ogni uomo è lebbroso e sperimentato la dolcezza del farsi Cristo ponendosi al loro servizio” (p. 66-67). La stessa realtà visse la mistica santa Angela da Foligno, come lo racconta il suo Memoriale, nell’episodio molto forte sul servizio al lebbroso.
Solvi conclude la sua riflessione e riassume le presentazioni della lebbra racchiuse nell’agiografia tardomedievale: “Nel vasto patrimonio di storie sui santi, la grande novità nella agiografia duecentesca è l’aver trasferito il lebbroso dai margini al centro della scena narrativa, facendone non un incontro fuggevole e occasionale, ma il protagonista – esplicito o implicito – della storia di santità: se Cristo – il Bambino nato poveramente e l’Agnello immolato sulla croce, che è al tempo stesso il Giudice dei tempi ultimi e il Re del mondo e della storia – si è rivelato nell’umiltà come lebbroso, ogni uomo votatosi alla perfezione cristiana deve essere spiritualmente lebbroso” (p. 76-77).
La presentazione della problematica del lebbroso in quella stagione agiografica permette la migliore conoscenza e comprensione dei processi della formazione e mutazione tipologica. Sicuramente la pubblicazione di Solvi offre lo stimolo per un più approfondito esame di quella figura che segnò l’agiografia tardomedievale e lasciò la sua impronta nel vasto panorama della santità dell’epoca. Si spera che si trovino altri studi perché il modello agiografico possa esser meglio esplicitato.
Tratto dalla rivista "Miscellanea Francescana" n. III-IV/2014
(http://www.seraphicum.com)
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