Cristo e logos
-Il calcedonismo del VI secolo in Oriente
(Studia ephemeridis augustinianum)EAN 9788879611084
La tarda patristica, sebbene costituisca il ponte tra l’epoca dei padri e il Medioevo con la successiva impostazione scolastica della teologia, è un campo ancora poco esplorato dagli studiosi di antichità cristiana. La preferenza verso la riflessione dei secoli II-V è evidente non solo per l’ovvia importanza dei primi secoli ai fini della comprensione del cristianesimo delle origini, ma anche per le numerose e diverse difficoltà che i testi degli autori tardoantichi presentano. Nell’arduo compito di esporre il calcedonismo del VI secolo si è cimentato Carlo dell’Osso, professore di Patrologia e direttore dell’Istituto Teologico Pugliese di Molfetta, nonché docente di Cristologia postcalcedonese presso il Pontificio Istituto Augustinianum di Roma. Egli da anni si dedica allo studio di questa materia.
L’oggetto del volume è la controversia cristologica nel VI secolo considerata sotto l’aspetto dottrinale e indirizzata allo studio della dottrina ortodossa di allora, che è ben caratterizzata dalla definizione di calcedonismo. In effetti, la formula di Calcedonia, ispirata dal Tomus Leonis, in Oriente esasperò il contrasto tra monofisiti e difisiti, così che nel VI secolo la polemica teologica si polarizzò attorno a essa. La fortuna del calcedonismo in oriente si deve all’avvento al trono prima di Giustino e, poi, soprattutto del nipote Giustiniano, il quale, in vista di una soluzione pacifica del contrasto tra i fronti opposti dei monofisiti severiani e dei difisiti calcedonesi, favorì il passaggio dal calcedonismo rigoroso al cosiddetto neocalcedonismo.
Il volume, che si apre con la prefazione del professor Manlio Simonetti, è costituito di quattro capitoli di diversa estensione. Nel primo l’autore fa un excursus dei contributi degli studiosi più significativi che si sono occupati dell’argomento, a partire da J. Lebon che cento anni fa pubblicò un volume dal titolo Le monophysisme sévérien: in esso venivano presentati oltre agli esponenti del monofisismo severiano, anche i difensori del Concilio di Calcedonia e per la prima volta veniva utilizzato il termine “neocalcedonesi” per designare un gruppo di teologi orientali della prima metà del VI secolo, che desideravano gettare un ponte tra il dogma di Calcedonia e la teologia cirilliana; abbiamo poi le soluzioni proposte da Ch. Moeller, M. Richard, S. Helmer, che scrisse negli anni ’60 del secolo scorso la prima consistente monografia sull’argomento; quindi gli studi più recenti di J. Meyendorff, P. T. R. Gray, A. Grillmeier, K. H. Uthemann.
Infine l’autore si sofferma sugli studi in Italia, dovuti soprattutto a L. Perrone, e dà uno sguardo anche ai manuali di cristologia in uso nelle facoltà teologiche cattoliche e protestanti, concludendo: «Dall’analisi degli studi condotti negli ultimi cento anni emerge che nel VI secolo lo sforzo dei teologi ortodossi era stato quello di trovare una via di uscita alla crisi monofisita, cercando una soluzione di compromesso che salvasse la formula di Calcedonia senza escludere la tradizione teologica alessandrina e cirilliana» (p. 50). Secondo Dell’Osso questo sforzo di conciliazione che contraddistingue il neocalcedonismo non risiedeva soltanto nell’accogliere nella teologia calcedonese e difisita la teologia cirilliana, i dodici anatematismi e la formula teopaschita, ma anche e soprattutto nell’aver assunto una nuova concezione dell’ipostasi, divulgata dai monaci sciti, eredi della teologia latina di Agostino, che non identificavano l’ipostasi con il concreto individuo umano-divino di Cristo, ma la facevano coincidere con il Verbo-Logos.
È poi esposta la dottrina di venti teologi, distribuiti cronologicamente nell’arco di tutto il VI secolo, divisi in due gruppi, separati dal Concilio costantinopolitano dell’anno 553. Nel secondo capitolo sono collocati i teologi calcedonesi preconciliari: Nefalio, Giovanni di Scitopoli, Giovanni di Cesarea, Leonzio di Bisanzio, Teodoro di Raithu, i monaci acemeti, i monaci sciti, Ipazio di Efeso, Innocenzo di Maronea, Eracliano di Calcedonia, Efrem di Antiochia ed Eustazio monaco. Di ognuno di essi l’autore presenta i dati sulla vita, le coordinate spaziotemporali, l’analisi dettagliata del pensiero teologico e la sua valutazione. A Leonzio di Bisanzio, l’autore dedica un numero considerevole di pagine (111-156), dal momento che su questo teologo aveva svolto la sua ricerca dottorale con una tesi sulla cristologia dello stesso.
Teodoro di Raithu è posto nella prima metà del VI secolo invece che nella seconda, perché l’autore non lo identifica con Teodoro di Pharan e ritiene che «il suo pensiero è prossimo a quello di Nefalio, Giovanni il grammatico, Leonzio di Bisanzio ed Efrem di Antiochia […]. Teodoro di Raithu rimase, comunque, lontano da quelle suggestioni teologiche che sarebbero state le idee guida del futuro neocalcedonismo» (p. 166). Anche il monaco Eustazio è collocato nella prima metà del VI secolo, per cui può essere definito un calcedonese in senso stretto, mentre la tendenza ad abbassarne la datazione alla seconda metà dello stesso secolo aveva indotto più di uno studioso a considerare Eustazio non pienamente né calcedonese, né neo - calcedonese (pp. 254-255). Il terzo capitolo tratta della teologia dell’imperatore Giustiniano e del Concilio costantinopolitano II, considerato «lo spartiacque teologico, dal momento che è il punto di riferimento imprescindibile e di non-ritorno del calcedonismo successivo» (p. 259).
L’autore si sofferma sugli scritti teologici di Giustiniano e presenta, poi, gli anatematismi del concilio, evidenziandone i caratteri neocalcedonesi della cristologia. Nel quarto capitolo sono collocati i teologi calcedonesi postconciliari: Eutichio di Costantinopoli, Giovanni IV di Gerusalemme, Anastasio I di Antiochia, Eulogio di Alessandria, Leonzio di Gerusalemme, Panfilo teologo e il trattato De sectis. Notiamo che l’autore prende posizione, collocando Leonzio di Gerusalemme tra i teologi della seconda metà del secolo, contrariamente a quanto si è finora pensato seguendo le suggestioni di Richard. Il lavoro è corredato da una buona bibliografia, organizzata in fonti e studi, e da una tabella dove è possibile leggere con visione sinottica gli imperatori, i papi e i patriarchi del VI secolo.
Sono quattro gli indici: analitico, nomi degli autori antichi, nomi degli autori moderni, generale. Veniamo ora ad alcune considerazioni. In primo luogo, nella presentazione dei teologi calcedonesi del VI secolo, l’autore ha preferito la via “cronologica”, piuttosto che quella teologico-ideologica, in dissonanza con la maggioranza degli studiosi, che da Moeller fino a Grillmeier avevano scelto di presentare i teologi di questo periodo in base alla loro tendenza teologica: “veterocalcedonese” oppure “neocalcedonese”. In secondo luogo, come sottolinea Simonetti nella prefazione, l’opera è “tutta di prima mano”, nel senso che l’autore ha letto e analizzato attentamente gli scritti degli autori antichi di cui si è occupato. Inoltre, la bibliografia ampia, articolata e internazionale è ben conosciuta dall’autore.
Dunque, l’originalità di questo studio profondo e meticoloso consiste nell’aver individuato le ragioni del passaggio dal calcedonismo al neocalcedonismo, indirizzando l’attenzione sull’attività dei monaci sciti in quanto la formula Unus de Trinitate passus est carne da loro propagandata e sponsorizzata dall’imperatore Giustiniano infondeva una nuova linfa nel calcedonismo orientale. Questa novità consisteva nell’aver recepito non solo la teologia cirilliana, ma anche e soprattutto la riflessione agostiniana delle missioni delle persone divine nella cristologia, enucleando con chiarezza la prerogativa del Logos di assumere nella sua ipostasi divina una natura umana perfetta senza alcun pericolo di confusione o alterazione. In conclusione, il volume è di notevole pregio non solo perché colma un vuoto nella letteratura storico-teologica, ma soprattutto perché contribuisce alla comprensione del dogma cristologico e dei suoi approfondimenti nel corso della riflessione nel VI secolo, consegnando alla storia l’ortodossia cattolica sul mistero di Cristo, almeno da un punto di vista ontologico-metafisico.
Il linguaggio scientifico, che contraddistingue il lavoro, rende la lettura non facile. Tuttavia, è innegabile che i risultati di questa ricerca sono destinati a permanere nel tempo. Infine, va riconosciuta all’autore una particolare acribia nell’affrontare testi e temi davvero difficili, rivelando così una maturità e una competenza tali da renderlo, al momento, il più esperto conoscitore della materia in Italia e forse anche all’estero.
Tratto dalla rivista "Asprenas" n. 4/2010
(http://www.pftim.it)
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