Il sangue dell' alleanza e la salvezza dei peccatori
-Una nuova lettura di Mt. 26-27
(Analecta Gregoriana) [Libro con legatura cucita]EAN 9788878391611
Il testo è la pubblicazione integrale, con poche modifiche, della dissertazione dottorale in S. Teologia (indirizzo Biblica), difesa alla Gregoriana il 16 dicembre 2008 (direttore della tesi è stato il Prof. M. Grilli, correlatore il Prof. J. Sievers), alla quale è stato poi assegnato il Premio Bellarmino per l’anno 2009.
La ricerca è composta di tre parti. La prima è dedicata alle questioni generali connesse con il tema della presenza del sangue e dell’intertestualità nella passione di Matteo (pp. 31-76). La seconda parte, la più ampia (pp. 79-391), studia le singole pericopi matteane della passione: il sangue dell’alleanza nell’ultima cena (Mt 26,26-30), Giuda, Israele e il sangue innocente (27,3-10); il sangue su Israele (27,15-26); per ognuno di questi testi si offre la storia dell’interpretazione e uno status quaestionis con una ricca bibliografia aggiornata. La terza parte (pp. 395-457) intende offrire una sintesi teologica sul sangue dell’alleanza e l’espiazione in Mt 26-27. Chiude il lavoro uno sguardo d’insieme attraverso un ragionato commento al titolo dato al libro (459-466). Al centro del lavoro di Michelini sta il tema del sangue nel contesto della passione di Matteo visto in rapporto con i sacrifici ebraici, in particolare quello del Kippur. Come egli stesso fa notare nella sua introduzione, pochi studiosi nel passato hanno sondato questo peculiare campo di ricerca.
Come sfondo generale alla prospettiva adottata c’è l’interessante ipotesi, avanzata recentemente da alcuni studiosi di Matteo (come D. Sullivan e A.J. Saldarini), che il primo evangelista non intende entrare in polemica con il giudaismo del suo tempo – come se esso fosse una realtà esterna rispetto ai suoi destinatari – ma vede se stesso e la propria comunità in una situazione in cui la netta separazione tra Sinagoga e Chiesa non ha ancora avuto luogo (cf. pp. 331-334). Il filo rosso del percorso è costituito dall’idea che l’evangelista Matteo presenta la passione e la morte di Gesù in chiave sacrificale-espiatoria, in continuità con il culto quale veniva praticato nel Tempio di Gerusalemme prima della distruzione. Gesù dunque è visto prevalentemente come vittima del sacrificio, il cui sangue è sparso per la remissione dei peccati: effettivamente tra i vari racconti dell’istituzione dell’eucarestia soltanto Matteo fa questa precisazione (26,28) e dunque, pur non ricorrendo il termine tecnico ‘espiazione’, la menzione del sangue collegato con il perdono dei peccati richiama chiaramente quel theologumenon.
In base a questa lettura della prospettiva matteana, Michelini offre interpretazioni sostanzialmente nuove sia del brano riguardante Giuda e il suo suicidio (27,3-10), sia quello sul sangue che la folla invoca su di sé (27,15-26). In particolare, sull’interpretazione del denaro del sangue innocente (Mt 27,6-8) va segnalato quanto segue: attraverso il passaggio dal sintagma «prezzo di sangue» a quello «campo di sangue» si evincerebbe che per Matteo quel sangue è «il sangue di Gesù che deve essere sparso, un sangue sacrificale, e come tale non può che essere versato» (p. 250; cf. pp. 279-283.286-287); in più le parole di Giuda (27,4: «ho peccato perché ho tradito sangue innocente») «rappresentano una vera formula di pentimento, in tutto simile a quella pronunciata nella tradizione liturgica ebraica nel giorno del Kippur» (p. 287).
Riguardo all’interpretazione del grido della folla sul sangue, considerato uno dei più difficili da spiegare in tutto il Vangelo di Matteo, scrive Michelini (pp. 437s): «i peccati di Israele contro l’alleanza, quelli di cui parla Gesù in Mt 26,28, sono stati rimessi dal suo sangue. La sua morte, anziché una maledizione per il popolo che l’ha rifiutato come Messia, si trasforma in un sacrificio espiatorio simile a quello del Kippur» (p. 197); «le parole “il suo sangue su di noi”…» di Mt 27,25 sono scritte da Matteo per evocare un vero e proprio rito, simile a quello del Kippur» (p. 437); il versetto cruciale viene interpretato in questo modo: il sangue di Gesù è visto non come quello che grida vendetta, ma come quello che invoca il perdono, è infatti quello della nuova alleanza in grado di espiare i peccati di tutti (cf. le parole dell’ultima cena in Mt 26,28), giudei inclusi.
La dichiarazione della folla non è dunque espressione di auto-maledizione (e tanto meno riguarderebbe le generazioni successive!), ma essenzialmente una invocazione per ottenere il perdono. L’espressione, “sui nostri figli” - contrariamente all’interpretazione tradizionale preponderante fino al recente passato, che ha avuto ricadute estremamente negative nella concezione dell’ebraismo da parte cristiana – nell’ottica matteana equivale, secondo Michelini, a una richiesta di purificazione sacrificale (cf. p. 389), sostanzialmente per l’espiazione dei peccati (pp. 197.390; 438-442). Alle fine di alcune delle approfondite discussioni esegetiche, a volte rimane l’impressione che le conclusioni siano eccessive rispetto ai dati presentati nelle analisi.
Ad esempio la scelta tra Gesù e Barabba di fronte a Pilato riecheggerebbe la scelta tra i due capri, emissario e espiatorio di fronte al sommo sacerdote (pp. 431-433; la differenza – come pure è ricordato dall’A. – è che per questi ultimi si gettava la sorte, non invece nel caso di Gesù e Barabba); similmente appare debole la dimostrazione dell’elemento cultuale e sacrificale che farebbe da sfondo alla figura di Gesù in quanto ‘giusto’ (pp. 433-437). Tuttavia, anche se alcuni collegamenti tra Mt 26-27 e lo Yom Kippur possono a volte apparire un po’ forzati, rimangono sempre suggestivi e degni di attenta considerazione. Alcuni limiti possono essere ravvisati nel modo in cui – con il lodevole intento di non lasciar nulla in sospeso – si mettono insieme il piano biblico-esegetico sia con quello teologico che con quello della storia della teologia (anche se a volte può risultare inevitabile, quando si passa in rassegna la Wirkungsgeschichte di alcuni brani): anche se ciò può ben incuriosire il lettore, rischia talvolta di far affievolire il tenore scientifico della discussione (ciò avviene ad esempio alle pp. 402-403, quando ci si sofferma a rispondere ad alcune obiezioni tutto sommato poco rilevanti, dal momento che esse non erano poste in modo corretto dal punto di vista scritturistico).
Altri piccoli rilievi su ciò che potrebbe essere obiettato o comunque costituire oggetto di discussione: - Riguardo alla concezione della morte di Cristo interpretata come sacrificio, ribattendo alla tesi girardiana, si afferma che tale morte non è in opposizione ai sacrifici antichi (e qui già si potrebbe discutere), bensì in «continuità perfetta con essi» (p. 398); certamente a livello metaforico si possono rintracciare elementi di continuità, tuttavia affermare che tale continuità sia perfetta è sicuramente eccessivo ed in forte tensione con il dato generale che viene dall’insieme del NT (un ridimensionamento viene compiuto dall’A. stesso a p. 414). - Trovo approssimativa l’affermazione: «In tutti i sinottici (come altrove nel NT) sono presenti abbondantemente alcune formule che esprimono un linguaggio sacrificale in rapporto alla morte di Cristo; sono le preposizioni soteriologiche tra le quali la principale è la “formula u`pe,r”» (p. 411); in realtà sono rare le volte che nei sinottici si parla della morte di Cristo in termini sacrificali, ed anche in Paolo, dove pure è frequente la “formula u`pe,r” con valenza soteriologica, essa non esprime automaticamente la valenza sacrificale. - Riguardo alla trattazione del termine i`lasmo,j (1Gv 2,2 e 4,10) non va fatta l’equivalenza con la kappòret (cf. p. 412), dal momento che tale termine ebraico, indicante un arredo concreto del tempio (la lastra d’oro che veniva aspersa nel santo dei santi nel giorno del Kippur), viene tradotto con il greco i`lasth,rion – riguardo agli articoli usati per questi due termini va precisato che “kappòret” in ebraico è femminile (invece l’A. usa il maschile “il”, cf. p. 406 e pp. 412.413.414); viceversa, è innaturale rendere il neutro greco i`lasth,rion con l’articolo femminile “la” (cf. p. 409: citazione da Pulcinelli, La morte di Gesù: ma nel testo citato l’articolo è corretto, “lo” – tanto meno va identificato con «il luogo dove viene compiuta l’espiazione» (p. 414); i`lasmo,j è da intendere invece come un termine più generico, quasi astratto, per esprimere l’espiazione-remissione dei peccati. - A p. 414 si afferma che quando nel NT si trova l’affermazione che Cristo è morto per… siamo in presenza di un linguaggio di espiazione: in realtà per ravvisare il concetto di espiazione in queste formulazioni bisogna che ci sia anche il collegamento almeno implicito con i peccati (in vista cioè della loro remissione-cancellazione); altrimenti per queste espressioni si può parlare soltanto di una morte con effetto generica mente benefico-salvifico. Nella stessa pagina si afferma la possibilità di rintracciare il concetto di espiazione (di tipo sacrificale) quando la morte di Cristo è spiegata mediante paragoni con un agnello, con la kappòret o con il sommo sacerdote; ma tale inquadramento risulta essere troppo vago se, come in questo caso, non viene almeno sommariamente illustrato; ancora più difficile è dimostrare che nel NT si spiega la morte di Cristo in base all’analogia con il Servo sofferente di Isaia (a p. 413 si dice che il testo di Is 53 riscuoterà molta fortuna nel NT: in realtà è sorprendente, dal nostro punto di vista, che sia stato così poco sfruttato in questo senso dagli autori del NT). Per quanto riguarda il confronto con le opinioni degli studiosi, basta guardare le tante discussioni sempre equilibrate e pertinenti sia nel corpo del testo che nelle note per rendersi conto di quanto lavoro di ricerca e di riflessione critica è stato messo in campo: la bibliografia è molto vasta e attentamente vagliata. La scelta editoriale di non riportare a pie’ di pagina la citazione completa del riferimento bibliografico (si dà unicamente il titolo abbreviato, senza l’anno di pubblicazione), costringe però il lettore a dover andar spesso alla bibliografia finale (a volte manca qualche informazione che rende difficile individuare l’opera: cf. nota 29 a p. 17 [Gramaglia, non presente nella bibliografia finale]; nota 35 a p. 18 [manca questo titolo di Stefani]). Riassumendo: il lavoro esplora praticamente tutti i temi connessi con il filone principale della tesi, dedicando opportunamente vari approfondimenti a ciò che rappresenta lo sfondo biblico e giudaico su cui collocare i testi di Matteo; sotto questo profilo si rivela ulteriormente prezioso anche per la ricchezza delle fonti utilizzate (le fonti rabbiniche, i padri della chiesa, ecc.). In definitiva, inserendosi anche nella recente tendenza degli studiosi del I vangelo che si oppongono all’opinione che esso sia il più antigiudaico tra tutti, contribuisce notevolmente a far progredire la discussione su questo vangelo contestualizzato nell’ambito del giudaismo coevo. Di fatto siamo di fronte ad un nuovo approccio a questioni centrali riguardanti la passione secondo Matteo; tali innovazioni interpretative e la modalità con cui vengono presentate – grazie anche al linguaggio sempre accessibile pure a non specialisti e la notevole capacità di sintetizzare – rendono quest’opera altamente istruttiva per chiunque voglia conoscere meglio questo tema, ben inquadrato nel panorama delle origini cristiane e del giudaismo del I secolo.
Tratto dalla rivista Lateranum n.2/2011
(http://www.pul.it)
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