Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 8
(http://www.ilregno.it)
Il volume intende riflettere su una problematica che riguarda la nostra società, le dinamiche relazionali e la stessa vita ecclesiale. Il tema del dialogo, che si collega al magistero del Concilio Vaticano II, è oggetto di ampia discussione in ambito teologico e filosofico, ma talora non mancano alcune banalizzazioni del termine che hanno favorito una certa superficialità inadeguata a pensare sino in fondo le questioni che esso solleva e alle quali si collega. Anche per questo molti hanno sottolineato la necessità di differenziare la concezione relativistica da quella dialogica, poiché una visione relativistica, se è radicale, esprime l’impossibilità di ogni dialogo partecipe. In effetti, il riferimento al dialogo mette in crisi anche modelli di vita e stili di pensiero «collettivistici» o «individualisti» che si rivelano soprattutto come l’espressione della difficoltà dell’interazione umana in un’epoca in cui paradossalmente si moltiplicano gli strumenti di informazione e le occasioni possibili di comunicazione.
L’autrice, che ha presenti questi problemi, segnala avvedutamente, affrontando le questioni di confine tra teologia e filosofia, che la ricerca teologica sul dialogo potrebbe sembrare più recente di quella filosofica, la quale è stata tuttavia arricchita dall’apporto della Rivelazione cristiana e del messaggio biblico. È, dunque, necessaria una speciale attenzione del teologo al dibattito filosofico, ma va anche alimentata la consapevolezza comune che tale concetto proviene «originariamente dalla teologia e non solo dalla cristologia e dalla teologia trinitaria, ma anche dalla riflessione sulla creazione» (p. 13).
Non a caso il volume mette in dialogo due significativi esponenti della filosofia e della teologia attuale, i quali non vanno considerati in rigidi schemi, bensì nella prospettiva di un dialogo sempre più aperto e franco tra l’indagine filosofica e la riflessione teologica.
Notiamo, a questo proposito, che il volume è arricchito sia da due note biografiche sugli autori e sia da una bibliografia che potranno essere di aiuto per chi intende approfondire due riflessioni significative e profonde per l’attuale dibattito filosofico-teologico.
Jörg Splett è un noto filosofo che si inserisce nel vasto movimento del «pensare dialogico» con una fisionomia particolare che deriva da un’attenta riflessione su autori fondamentali come Romano Guardini, Martin Buber ed Emmanuel Lévinas. Va ricordato che Splett mostra nei confronti di quest’ultimo autore una particolare congenialità che può essere dimostrata anche dal suo precoce studio delle opere del grande pensatore ebraico. La concezione dialogica di Splett si collega alla sua visione anthropo-theologica, secondo la quale l’altro ci si presenta in una dimensione inoggettivabile ed esprime una pretesa assoluta che ci interpella originariamente. Questa stessa pretesa esprime non solo la pariteticità del rapporto umano e personale, ma ci riporta all’Assoluto, fondamento della con-umanità, che costituisce l’essere insieme nella verità. In questa prospettiva, Dio non è inteso come un limite per l’uomo, ma è piuttosto il riferimento più profondo dell’incontro con l’altro. Il dialogo si svela in una dimensione trialogica che non esclude o livella gli uomini, ma li libera: lo stesso atto fondativo della persona è il riconoscersi creature, rendersi conto ed accettare se stessi come si è. Rendersi consapevoli dell’unità e della differenza dialogica è evitare la presunzione e l’idolatria e tenersi ad una misura umana non rinunciataria, ma aperta alla vita e all’infinita imprevedibilità dell’altro, del mondo e di Dio.
Splett ricorda che l’uomo non si autoproduce. Perciò, l’essere umano si accetta non perché si rassegni, ma in quanto si riceve: «accettare se stessi e di conseguenza gli altri e tutto il creato, è unicamente possibile se la finitezza dell’esistente viene riconosciuta come espressione simbolica di un illimitato ‘sì, voglio che tu ci sia’ » (p. 141).
La teologia di Walter Kasper, che è legata all’influsso della Scuola di Tubinga, si caratterizza per una particolare capacità di presentare il messaggio della salvezza negli orizzonti tematici della storia e della libertà che furono oggetto di ampia riflessione nelle opere di Schelling e che costituiscono lo sfondo convincente e ricco di spunti in cui è possibile presentare una credibile filosofia dialogica. Va aggiunto che Walter Kasper ha svolto un’importante attività ecclesiale nella prospettiva del dialogo e dell’incontro tra uomini di differenti culture, fedi e confessioni religiose. Al di là di rigidità inappropriate e di schematismi sempre deludenti, il Kasper ha saputo analizzare il problema della crisi del dialogo nella sua ambivalenza e problematicità: lo scopo delle sue analisi, nota l’autrice, «è quello di arrivare a individuare e a circoscrivere il punto teologico nodale riguardante, da una parte, la difficoltà e, dall’altro, la possibilità dell’uomo di vivere relazioni dialogiche con Dio e con gli uomini» (p. 163). Perciò, Kasper ha ricordato come vi sia un’inquietante dialettica del moderno che, proprio nella legittima ricerca di emancipazione e di autonomizzazione, ha spesso dimenticato i pericoli della chiusura in sé e dell’assolutizzazione di un solo punto di vista neutrale: ciò rivela la crisi dell’universalismo e del solipsismo e sollecita ad una più chiara interrogazione su temi difficili come quello dell’alterità. Né si tratta di riproporre interpretazioni monistiche che dovrebbero annullare quei contrasti che si sanano solo se vissuti e intesi in un orizzonte cristologico: «il pensiero del teologo tedesco si muove verso un paradigma trialogico dell’essere e della storia, il cui compimento indeducibile è l’evento cristologico, che all’umanità apre la possibilità di un’esistenza dialogica» (p. 174).
Anche se non mancano approfondimenti, il confronto con questi due autori non è inteso dall’autrice nella prospettiva della definitività e dell’esaustività dell’analisi. Si tratta, invece, di un contributo aperto ad un dialogo fruttuoso e a nuove integrazioni. Il volume stesso nasce da un’esperienza di studio e di itineranza e la chiarezza dell’esposizione dimostra la volontà di sollecitare una comprensione partecipe e un’interpretazione non meccanica e sterile.
A questo proposito, l’autrice nota: «attraverso uno sguardo retrospettivo complessivo sulle due parti che costituiscono la ricerca, si profila una concezione di fondamento rispettivamente della pensabilità e della vivibilità del dialogo che non è né intrinseca, come se l’uomo la possedesse in proprio, ma neanche estrinseca, come una meta lontana da raggiungere, che innescherebbe una relazione o teleologica o concorrenziale tra dialogo o verità assoluta: è, invece, emerso un fondamento in-finitamente con-presente ( trans-immanente) in cui l’uomo e le sue relazioni già esistono (Ge-heim-nis), ovvero il mistero di una rete universale di appartenenza dialogica che il dono dello Spirito del Crocifisso Risorto rende vivibile» (p. 255).
In dialogo con due significative voci del nostro panorama filosofico-teologico, il libro testimonia che la libertà e il coraggio del dono non possono nascere che dalla volontà di vivere la relazionalità complessa del dialogo.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2009, nr. 1
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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