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DETTAGLI DI «Assenso reale e scienze profane»
Tipo
Libro
Titolo
Assenso reale e scienze profane
Autore
Davide Brighi
Editore
Pontificia Università Gregoriana
EAN
9788878390836
Pagine
222
Data
2007
Collana
Teologia
COMMENTI DEI LETTORI A «Assenso reale e scienze profane»
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Recensione di Francesco De Carolis della rivista Studia Patavina
Questo pregevole lavoro di Davide Brighi intende delineare il significato dell’opera di John Henry Newman nei suoi tratti e nelle sue esigenze di fondo, cioè in una prospettiva apprezzabile e significativa per gli attuali scenari della filosofia e, ancor più, della teologia. Infatti, il rapido sviluppo della conoscenza e dei saperi, su cui Newman intese riflettere, è un dato che pone l’uomo d’oggi in dimensioni e ambiti di interrogazione inediti: l’analisi filosofica e teologica, se autentica e non paga di risposte parziali o relative, non può chiudersi in una rapida o comunque passiva accettazione di paradigmi, ermeneutici ed epistemologici, ritenuti indiscutibili o univoci. Si tratterebbe, in questo caso, di accettare prospettive che, contrapponendosi a quanto Newman intese fare, non superano rigide opposizioni e che non si aprono ad orizzonti nuovi e a quelle risposte originali di cui abbiamo bisogno nei nostri tempi. Brighi analizzi con particolare attenzione gli scritti di Newman sull’Università, la sua vasta opera omiletica e gli scritti talora molto complessi sulla grammatica dell’assenso.
Secondo l’autore, è necessario interrogarsi, sulla base degli scritti di Newman, più in profondità sullo sviluppo dei saperi e sulle esigenze della coscienza attuale. Ciò va fatto anche perché il puro e quasi atemporale sapere formale e deduttivo o il sapere del tutto storicizzato e relativizzato non riescono a dare giustificazione delle esigenze da cui muovono. Si deve ammettere, interrogandosi su Newman o su vari filosofi anticipatori di tematiche attuali, che l’analisi dei nostri tempi pone, proprio all’interno della nostra coscienza e della nostra vita, un’esigenza di confronto tra la storia che viviamo e la questione del senso del nostro vivere. Brighi, analizzando le riflessioni sul fine ultimo dell’insegnamento o delle istituzioni educative, nota: «Lasciando questo ruolo di coordinamento alla riflessione filosofica, (…) Newman pone in stretto dialogo teologia con scienza e letteratura. Scienza e letteratura sono due ambiti correlativi alla teologia, i due grandi libri della conoscenza umana che sconsigliano ogni forma di dominio. Tutt’altro che innocui questi rapporti vanno curati e non abbandonati, pena due grandi mali per la verità rivelata: la scienza tende infatti ad escluderne la possibilità; la letteratura tende a corromperla. Proprio nel rapporto tra teologia, scienza e letteratura si può trovare un equilibrio» (p. 176).
In effetti, la prospettiva religiosa appare al Newman come il frutto di una coscienza che non si è appagata di dimostrazioni spesso astratte, ma si è volta all’ esperienza umana e ad una ragionevolezza che si confronta con il concreto. Essa matura in un itinerario personale, ma non individualistico, il quale è, al di là di un neutrale e facile relativismo, certezza personale e orientamento del proprio vivere. Newman ha insistito, soprattutto ne La grammatica dell’assenso, sulla necessità di una dottrina che giunga all’assenso reale e non si appaghi della pur non svalutabile, ma insufficiente dimensione dell’assenso nozionale. Ecco perché, tra l’altro, si può dire che «dall’accostamento tra assenso reale e la questione dell’insegnamento della teologia nell’università emergono sia un’apertura della teologia allo sviluppo scientifico sia un compito preciso per i laici nell’ambito della scienza della fede (…) La proposta di Newman si configura come una teologia che noi chiameremo reale e che si rivolge soprattutto all’ambito dei problemi di frontiera della teologia fondamentale odierna» (p. 161).
Per Newman, vivere sino in fondo il nostro bisogno di senso ci conduce a trovare i presupposti concreti di una verità che va oltre il tempo. La verità non è, infatti, un’oggettività a noi estranea, ma l’espressione di una vita, aperta al senso e all’amore, che trascende se stessa e il sogno della propria autosufficienza.
Pertanto, contrapporre troppo frettolosamente la coscienza e la verità, l’eterno e la storia umana, il sapere certo e la vita è cadere nell’astrattezza e nell’illusione dell’oggettività ferma ed impersonale o nell’idea, contraddittoria ed esistenzialmente poco sostenibile, della relatività assoluta e dell’assenza di senso.
Brighi nota, pertanto, che lo stesso sapere in evoluzione ed ampliamento deve confrontarsi con dimensione concrete sempre nuove, con aspetti diversi della complessità e con scarti sempre ricorrenti e mai superabili in pura teoria.
Allora, considerando tutti questi aspetti, si comprende perché, seguendo il percorso delle opere di Newman, diviene ragionevole superare l’astrattismo senza cadere nell’irrazionalismo, cioè aprire spazi di indagine nuovi che ci inducono a riflettere anche su una rinnovata ragione teologica. La verità, se vissuta intimamente, diviene, allora, intelligenza vivente e richiede l’integrazione proficua dell’esperienza, dell’immaginazione e dell’incontro umano. In effetti, rifiutare lo storicismo assoluto, il relativismo estremo, l’individualismo e l’irrazionalismo non vuol dire cercare facili concordismi tra fede e sapere, ma significa tentare di rinvenire, senza preconcetti, tracce di qualcosa che ci trascende e che ci coinvolge.
Pertanto, Newman si domanda se la scienza non vada liberata da astrazioni ricorrenti e se non debba essere reso più incisivo il confronto con la realtà effettiva e col vissuto umano. Ci si può chiedere, ad esempio, se sia possibile un’assolutizzazione del pensiero logico-matematico, se sia legittimo il formalismo o sempre necessario il ricorso al metodo sperimentale come fu formulato nelle scienze fisiche.
Bisogna anche domandarsi se la realtà limitata delle cose basti a sé stessa e se non esistano almeno delle dimensioni della realtà, spesso importantissime, in cui emozioni, intuizioni e sentimenti non siano necessari alla formulazione di una logica del concreto.
Tali analisi di Brighi si aprono, nell’ambito della riflessione su Newman, alla sempre più diffusa constatazione che l’enfasi e la retorica, relegate talora nel campo dell’artificio o della deviazione imprecisa del linguaggio, sono piuttosto da ritenere, come dimostra anche lo sviluppo più recente dell’esegesi, apportatrici e suscitatrici di verità altrimenti facilmente dimenticate o non facilmente comprese.
Non vi è, dunque, contrapposizione tra logica e retorica, tra sapere ed umanità. Il senso della possibile connessione tra ragione e concretezza, tra pensiero e vita, tra sapere e credere, tra pensiero e retorica anima, quindi, tutta la riflessione di Newman e la spinge oltre una troppo netta affermazione che la scienza è solo dell’universale o oltre quella che la verità è raggiunta da una ragione impersonale ordinatrice dei fenomeni o da una ragione che approda all’universale concreto, a un sapere totalizzante ed immanente in senso hegeliano.
La riflessione di Newman, così lontana da luoghi comuni ed ideologie o da ipotesi troppo astratte, ci pone dinanzi alla possibilità di una coscienza personale che avverte l’istanza della verità (p. 100). Così si apre la via ad una presenza viva della fede nel concreto; e in questo senso, la teologia apporta un contributo di chiarificazione proprio aprendosi attivamente al dialogo con i saperi elaborati dalla scienza moderna e dando il suo apporto nell’ambito delle stesse istituzioni educative.
La teologia, abbandonando un senso di inferiorità ingiustificato, apre ad una riflessione sul sapere e sulla vita. Essa, insomma, si intreccia «ad ogni forma di sapere» (p. 180). Perciò, la separazione tra la sfera teologica, quella culturale, quella educativa, quella dell’azione tende ad attenuarsi nella ricerca di qualcosa che, senza confusioni, coinvolge sempre più in profondità l’esperienza dell’uomo nel mondo e nella storia.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Secondo l’autore, è necessario interrogarsi, sulla base degli scritti di Newman, più in profondità sullo sviluppo dei saperi e sulle esigenze della coscienza attuale. Ciò va fatto anche perché il puro e quasi atemporale sapere formale e deduttivo o il sapere del tutto storicizzato e relativizzato non riescono a dare giustificazione delle esigenze da cui muovono. Si deve ammettere, interrogandosi su Newman o su vari filosofi anticipatori di tematiche attuali, che l’analisi dei nostri tempi pone, proprio all’interno della nostra coscienza e della nostra vita, un’esigenza di confronto tra la storia che viviamo e la questione del senso del nostro vivere. Brighi, analizzando le riflessioni sul fine ultimo dell’insegnamento o delle istituzioni educative, nota: «Lasciando questo ruolo di coordinamento alla riflessione filosofica, (…) Newman pone in stretto dialogo teologia con scienza e letteratura. Scienza e letteratura sono due ambiti correlativi alla teologia, i due grandi libri della conoscenza umana che sconsigliano ogni forma di dominio. Tutt’altro che innocui questi rapporti vanno curati e non abbandonati, pena due grandi mali per la verità rivelata: la scienza tende infatti ad escluderne la possibilità; la letteratura tende a corromperla. Proprio nel rapporto tra teologia, scienza e letteratura si può trovare un equilibrio» (p. 176).
In effetti, la prospettiva religiosa appare al Newman come il frutto di una coscienza che non si è appagata di dimostrazioni spesso astratte, ma si è volta all’ esperienza umana e ad una ragionevolezza che si confronta con il concreto. Essa matura in un itinerario personale, ma non individualistico, il quale è, al di là di un neutrale e facile relativismo, certezza personale e orientamento del proprio vivere. Newman ha insistito, soprattutto ne La grammatica dell’assenso, sulla necessità di una dottrina che giunga all’assenso reale e non si appaghi della pur non svalutabile, ma insufficiente dimensione dell’assenso nozionale. Ecco perché, tra l’altro, si può dire che «dall’accostamento tra assenso reale e la questione dell’insegnamento della teologia nell’università emergono sia un’apertura della teologia allo sviluppo scientifico sia un compito preciso per i laici nell’ambito della scienza della fede (…) La proposta di Newman si configura come una teologia che noi chiameremo reale e che si rivolge soprattutto all’ambito dei problemi di frontiera della teologia fondamentale odierna» (p. 161).
Per Newman, vivere sino in fondo il nostro bisogno di senso ci conduce a trovare i presupposti concreti di una verità che va oltre il tempo. La verità non è, infatti, un’oggettività a noi estranea, ma l’espressione di una vita, aperta al senso e all’amore, che trascende se stessa e il sogno della propria autosufficienza.
Pertanto, contrapporre troppo frettolosamente la coscienza e la verità, l’eterno e la storia umana, il sapere certo e la vita è cadere nell’astrattezza e nell’illusione dell’oggettività ferma ed impersonale o nell’idea, contraddittoria ed esistenzialmente poco sostenibile, della relatività assoluta e dell’assenza di senso.
Brighi nota, pertanto, che lo stesso sapere in evoluzione ed ampliamento deve confrontarsi con dimensione concrete sempre nuove, con aspetti diversi della complessità e con scarti sempre ricorrenti e mai superabili in pura teoria.
Allora, considerando tutti questi aspetti, si comprende perché, seguendo il percorso delle opere di Newman, diviene ragionevole superare l’astrattismo senza cadere nell’irrazionalismo, cioè aprire spazi di indagine nuovi che ci inducono a riflettere anche su una rinnovata ragione teologica. La verità, se vissuta intimamente, diviene, allora, intelligenza vivente e richiede l’integrazione proficua dell’esperienza, dell’immaginazione e dell’incontro umano. In effetti, rifiutare lo storicismo assoluto, il relativismo estremo, l’individualismo e l’irrazionalismo non vuol dire cercare facili concordismi tra fede e sapere, ma significa tentare di rinvenire, senza preconcetti, tracce di qualcosa che ci trascende e che ci coinvolge.
Pertanto, Newman si domanda se la scienza non vada liberata da astrazioni ricorrenti e se non debba essere reso più incisivo il confronto con la realtà effettiva e col vissuto umano. Ci si può chiedere, ad esempio, se sia possibile un’assolutizzazione del pensiero logico-matematico, se sia legittimo il formalismo o sempre necessario il ricorso al metodo sperimentale come fu formulato nelle scienze fisiche.
Bisogna anche domandarsi se la realtà limitata delle cose basti a sé stessa e se non esistano almeno delle dimensioni della realtà, spesso importantissime, in cui emozioni, intuizioni e sentimenti non siano necessari alla formulazione di una logica del concreto.
Tali analisi di Brighi si aprono, nell’ambito della riflessione su Newman, alla sempre più diffusa constatazione che l’enfasi e la retorica, relegate talora nel campo dell’artificio o della deviazione imprecisa del linguaggio, sono piuttosto da ritenere, come dimostra anche lo sviluppo più recente dell’esegesi, apportatrici e suscitatrici di verità altrimenti facilmente dimenticate o non facilmente comprese.
Non vi è, dunque, contrapposizione tra logica e retorica, tra sapere ed umanità. Il senso della possibile connessione tra ragione e concretezza, tra pensiero e vita, tra sapere e credere, tra pensiero e retorica anima, quindi, tutta la riflessione di Newman e la spinge oltre una troppo netta affermazione che la scienza è solo dell’universale o oltre quella che la verità è raggiunta da una ragione impersonale ordinatrice dei fenomeni o da una ragione che approda all’universale concreto, a un sapere totalizzante ed immanente in senso hegeliano.
La riflessione di Newman, così lontana da luoghi comuni ed ideologie o da ipotesi troppo astratte, ci pone dinanzi alla possibilità di una coscienza personale che avverte l’istanza della verità (p. 100). Così si apre la via ad una presenza viva della fede nel concreto; e in questo senso, la teologia apporta un contributo di chiarificazione proprio aprendosi attivamente al dialogo con i saperi elaborati dalla scienza moderna e dando il suo apporto nell’ambito delle stesse istituzioni educative.
La teologia, abbandonando un senso di inferiorità ingiustificato, apre ad una riflessione sul sapere e sulla vita. Essa, insomma, si intreccia «ad ogni forma di sapere» (p. 180). Perciò, la separazione tra la sfera teologica, quella culturale, quella educativa, quella dell’azione tende ad attenuarsi nella ricerca di qualcosa che, senza confusioni, coinvolge sempre più in profondità l’esperienza dell’uomo nel mondo e nella storia.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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