La tredicesima tribł. Storia dei cazari, dal Medioevo all'Olocausto ebraico
EAN 9788877508089
Si tratta della riproposizione della versione italiana di un celebre saggio storico uscito nel 1976 col titolo inglese The thirteenth tribe. The Chazar empire and its heritage di Arthur Koestler (1905-83), altrimenti (e meglio) noto come romanziere ebreo di origine ungherese dalla vita piuttosto movimentata - sionista e pioniere dell’insediamento ebraico in Palestina, comunista che partecipò in Spagna alla guerra civile contro il franchismo anche come reporter di guerra, prigioniero nella Francia di Vichy, poi l’abiura dal comunismo - pluritradotto in tutte le principali lingue europee (il romanzo sulle purghe staliniane Buio a mezzogiorno del 1940 e l’autobiografico Schiuma della terra sono tra i libri cult del pensiero antitotalitaristico del ’900). Un romanziere che si dedichi alla storia non è di per sé una novità, specie se lo fa nei generi ben noti della «storia romanzata», del romanzo storico o della biografia. Vi sono stati in effetti delle riprese romanzate della storia dei Chazari, tra cui Il dizionario dei Khazari del serbo Milorad Pavic (1986) e Il vento dei Chazari dello scrittore di origini polacche Marek Halter (2001), entrambi leggibili anche in italiano. Ma Koestler in effetti produsse con questo lavoro un saggio storico in piena regola - che si inserisce nella nota mitologia delle «tribù disperse» di Israele - con una tesi forte e destinata a suscitare come vedremo un vespaio di polemiche e discussioni, e con tanto di sfoggio di fonti e documenti oltre che di una non trascurabile capacità argomentativa. La tesi principale del Koestler, in effetti sconvolgente, si può riassumere in una sola riga: l’ebraismo mondiale è in gran parte, anzi maggioritaria come egli afferma a chiare lettere, di origini non semitiche, come a dire che storicamente non ha molto a che vedere con la Palestina. Corollario di questa tesi, che il volume cerca di dimostrare senza risparmio di prove e brillanti argomentazioni, è una serie di altre «verità»: per esempio, proprio l’ebraismo essenzialmente non semitico dell’Europa orientale sarebbe quello che diede il maggior contributo di vittime all’Olocausto; questo stesso ebraismo non semitico è fondamentale nel comprendere i rapporti tra Bisanzio e Baghdad almeno fino al XI secolo e, ‘last but not least’, questo ebraismo non semitico fu centrale nella genesi della Russia a partire dalla costituzione del Principato di Kiev (IX sec.), nonché elemento importantissimo nella storia sociale e culturale di paesi come l’Ucraina, l’Ungheria, la Polonia, e la Lituania.
Il punto di partenza di Koestler è rappresentato da una disamina storica della nascita e dello sviluppo del ben noto regno dei Chazari (o Khazari o Cazari), formato da genti turche che parlavano un dialetto ciuvascio; un regno che abbracciò l’ebraismo nel VII-VIII secolo e dominò in seguito un’amplissima area a nord del Caucaso che si situa tra il Mar Nero e il Mar Caspio e che - nel periodo di massima espansione - giunse a controllare vasti territori persino a nord dell’odierna Mosca. Popolazione di etnia turca dunque, ben nota agli storici che tuttavia non la conoscono se non attraverso documenti esterni di fonte bizantina, araba e più tardi russa, relativamente abbondanti fino al sec. XI. Questo potente regno ebraico - in effetti un impero multirazziale e multi confessionale che temporalmente coesiste sino alla svolta del millennio col califfato abbaside (750-1257), per poi lentamente deperire sino a venir definitivamente spazzato via dai Mongoli nel XIII secolo - svolse una importante funzione di barriera protettiva contro le periodiche incursioni dei nomadi provenienti dall’Asia e contro quelle dei Variaghi o Vichinghi provenienti da Nord, a tutto beneficio dei due grandi imperi citati, l’arabo e il bizantino, con cui i Chazari furono alternativamente alleati. La conversione dei Chazari all’ebraismo avvenuta intorno alla metà dell’VIII secolo è forse l’unico capitolo «romanzato» del saggio: secondo una leggenda il sovrano chazaro chiamò alla corte della capitale Itil un rabbino ebreo, un mullà islamico e un prete cristiano facendosi spiegare pregi e difetti delle rispettive fedi e optando infine per la fede di Mosè che in breve tempo divenne anche la religione dei sudditi. Questo dice la leggenda. Koestler ricorda opportunamente che il re dei Khazari scelse probabilmente con un occhio alla situazione internazionale del tempo che non gli avrebbe consentito di optare per il cristianesimo o l’islam senza rischiare di cadere prima o poi sotto l’influenza di Bisanzio o di Baghdad.
L’aspetto più interessante che emerge da questa ricostruzione di Koestler, almeno per il profano di storia ebraica, è l’esistenza plurisecolare di una potenza imperiale ebraica che in qualche modo si interpose tra arabi e bizantini da un lato, e tra Variaghi (Vichinghi) e il Mar Nero dall’altro. Anche questo solo dato ci fornisce un’idea della crucialità della posizione geo-strategica del regno dei Chazari e dell’influenza - anche indiretta - che esso poté esercitare sulla storia dei secoli VII-XIII. I Chazari sono noti peraltro anche nell’«occidente euro-islamico» del tempo, come ampiamente documentato da uno scambio epistolare intorno al 954-961 tra Hasdai, il primo ministro ebreo del califfo di Cordova, e il coevo sovrano Chazaro dall’ebraicissimo nome di Giuseppe (questi contatti epistolari dovettero ispirare nel medioevo il noto trattato apologetico del grande poeta ebreo-spagnolo Jehuda Halavi, m. 1141, intitolato appunto «Libro dei Chazari»).
Chi scrive questa breve scheda non essendo un ebraista, non può esprimersi sulla validità della tesi principale del Koestler che, come si può intuire, suscitava nell’Europa del secondo dopoguerra ancora scosso dall’orrore dell’Olocausto comprensibili perplessità. Ma seguiamo il ragionamento dell’Autore secondo il quale solo gli ebrei sefarditi sarebbero di origine palestinese e quindi «semiti» in senso proprio; ma i sefarditi non sono mai stati più del 10% della totalità delle popolazioni ebraiche, essendo il restante 90% rappresentato da ebrei di diversa origine tra cui preponderanti sono gli ashkenaziti. Ora proprio questi ashkenaziti, ovvero in sostanza gli ebrei dell’Europa centrale e Orientale, sarebbero perlopiù i discendenti - peraltro, come tiene a precisare il Koestler ampiamente ibridati con altre popolazioni slave, germaniche ecc. - dei Chazari i quali, all’indomani della distruzione del loro impero ad opera di una coalizione russo-bizantina (X-XI sec.), si ritirarono in un’area più ristretta tra il Volga e il Dneper e cominciarono lentamente a sciamare verso l’Ucraina e di lì nei secoli seguenti verso gli altri paesi dell’Europa orientale e balcanica. Tra le conseguenze spiazzanti di questa ricostruzione, che contraddiceva tesi che parevano storicamente inattaccabili, c’è la contestazione dell’origine renana degli ebrei dell’Europa Orientale: quest’ultimi generalmente noti come ashkenziti sarebbero invece in massima parte originati dalla diaspora chazara. La tesi del Koestler, che ricordiamolo è uno scrittore di origini ebreo-ungheresi, sull’origine chazara (quanto a dire turca e dunque non semitica) della gran parte degli ashkenaziti andava fra l’altro paradossalmente a «sminuire» la portata dell’antisemitismo nazista che si sarebbe esercitato per così dire su un obiettivo in gran parte… non semitico! Altra conseguenza al limite del paradosso, che il Koestler si compiace di sottolineare, era che il nazismo avrebbe soprattutto sterminato popolazioni «semitiche» originarie del Caucaso, ossia della presunta e tanto mitizzata patria della «razza» ariana… «L’antisemitismo come odio per una razza diversa - commenta la Loewenthal nella prefazione - inferiore e indegna di vivere, assume quindi un carattere tragicamente grottesco, e più che mai all’indomani di Auschwitz».
Come si vede, un libro dalle tesi ardite e senza dubbio provocatorie, che suscitò non poche reazioni stizzite nelle alte sfere dell’ebraismo mondiale del tempo, graniticamente aggrappato sino ad allora all’idea di un ebraismo che, per essere tale, non poteva che essere originario della terra promessa a Mosè. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti e oggigiorno le tesi di Koestler vengono ancora discusse, ma non più rifiutate a priori. Koestler, nell’ultima parte del suo libro dedicato a smantellare il «mito di una razza ebraica», si sforzava di dimostrare anche con argomenti tratti dalla moderna ricerca genetica e da statistiche antropometriche che l’idea di «razza ebraica» è scientificamente inconsistente: gli ebrei delle varie nazioni sono geneticamente e antropologicamente meno simili tra loro che non ai propri connazionali non ebrei. Si hanno bensì, nel corso della storia, varie popolazioni dai cromosomi diversissimi che hanno rivendicato la fede di Mosè: palestinesi certo, ma anche ebrei-etiopi come i falashà, ebrei di Cina e infine, caso macroscopico e secondo il Koestler ingiustamente sottovalutato dalla ricerca storica, appunto i Chazari di origini turche. La memoria collettiva ebraica conserva in verità il ricordo, come s’è all’inizio accennato, di «tribù disperse»: solo due delle 12 tribù d’Israele sarebbero tornate nella terra promessa con l’editto di Ciro che li affrancava dalla schiavitù in Babilonia; le altre 10 si sarebbero disperse per avere preso strade diverse. Ma questo mito delle tribù disperse non si applica evidentemente ai Chazari, di origini turche come s’è detto, che per questo diventano nel libro di Koestler la «tredicesima tribù».
Al di là di queste tesi controverse, ci pare che un merito indiscutibile di Koestler sia quello di avere contribuito indirettamente a rendere il popolo ebraico in fondo un po’ meno «diverso» dagli altri, a mettere in discussione insomma, fra gli altri, anche il mito della sua unicità/diversità. E questo almeno su due piani. Innanzitutto perché proprio la sua «compattezza semitica» da un lato e dall’altro la pretesa continuità storica tra il popolo di Mosè e i moderni popoli di fede ebraica vengono se non smentiti dalla ricerca di Koestler, quantomeno messi radicalmente in dubbio e criticamente problematizzati, se non addirittura consegnati alla dimensione del «mito»: quello costitutivo di uno dei tanti popoli ebraici, il più recente, che si stanzia nella moderna Israele dopo l’Olocausto nel corso del ’900. In secondo luogo, si può osservare che la stessa esistenza di un regno plurisecolare dei Chazari, di fatto un impero multirazziale e multi confessionale (nella capitale Itil le moschee islamiche erano più alte delle sinagoghe, ricorda compiaciuto nei suoi diari Ibn Fadlan, un viaggiatore arabo della prima parte del secolo X) - che tenne a bada per secoli le orde turco-mongole e quelle vichinghe, che dominò su popolazioni slave pagane e cristiane e su popolazioni musulmane, trattando da pari a pari con califfi e imperatori bizantini - fa a pezzi un altro grande mito dell’ebraismo storico, quello della «nazione senza stato» perseguitata e sradicata che giunge solo dopo due millenni alla faticosa costruzione di un proprio Stato. Come si vede, ancor oggi c’è nel libro di questo scrittore ebreo-ungherese materia incandescente…
Tratto dalla Rivista Studia Patavina 2011 n. 1
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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