Il soffio dell'Islam. La mistica araba e la letteratura occidentale
(Hermes)EAN 9788876980770
Con questo nuovo volume che raccoglie vari scritti sparsi del grande orientalista cattolico francese Louis Massignon (1883-1962), che seppe dare una svolta quanto meno alla percezione del «fenomeno islam» al mondo cristiano, si può dire che il pubblico italiano può ora accedere direttamente ad alcuni dei suoi saggi più citati e giustamente celebrati. In precedenza erano uscite solo tre altre importanti raccolte: una Antologia di scritti teologici di L. Massignon, CdG, Pavia 1994 a cura di G. Rizzardi (autore anche di una monografia: L. Massignon (1883-1962). Un profilo dell’orientalista cattolico, Glossa, Milano 1996); Parola data (Adelphi 1995); L’ospitalità di Abramo. All’origine dell’ebraismo, cristianesimo e islam (Medusa, Milano 2002, a cura di Domenico Canciani, recensito dallo scrivente su questa stessa rivista StPat 2005/3); era inoltre apparso un volumetto dedicato al tema particolare La suprema guerra santa dell’Islam (Città Aperta 2003). La gran parte di questi materiali deriva dalla raccolta Opera Minora, in tre volumi, uscita a Beirut nel 1963, che raccoglieva una miriade di saggi di varia lunghezza oltre a appunti e note varie di letteratura, mistica, storia e temi antropologici e del folkore del grande orientalista pubblicati sin dagli anni ’20 dalle riviste più disparate. È qui, in queste «opera minora» che certamente si può seguire al meglio i filoni d’indagine più consistenti dell’attività di Massignon, il quale non fu solamente uno studioso raffinato e brillante, ma anche un diplomatico francese e un grande artefice del costituendo dialogo islamo-cristiano contemporaneo. Dialogo che, si può dire, deve in parte l’impulso originario proprio alle vaste ripercussioni e al dibattito suscitato nel mondo cattolico dalla sua opera. In Italia, negli stessi anni in cui Massignon pubblicava i suoi grandi saggi, La passion d’al-Hallaj (1922, rist. 1954) e Essai sur les origines du lexique tecnique de la mystique musulmane (anche 1922, rist. 1975), operava il principe Caetani, uno dei fondatori dell’arabistica novecentesca del quale pure ci siamo occupati in questa rivista e che, a buon diritto, può essere considerato con Massignon e pochi altri tra i padri fondatori della moderna islamologia.
Ecco, volendo partire dai due ultimi titoli, vi si individua chiaramente quello che rappresenta l’inizio della pluridecennale ricerca del Massignon e insieme anche il perno di quel dialogo interreligioso tra le «tre fedi di Abramo» (formula da lui per così dire canonizzata) che fu una delle grandi speranze e passioni della sua vita.
Nel volume qui presentato questa idea della mistica come terreno di dialogo per eccellenza si concretizza nell’accostamento tra alcune figure centrali delle fedi abramitiche, ad esempio tra Elia e al-Khadir (o al-Khidr) che formano l’oggetto dell’articolo forse più affascinante dell’intero volume: Elia e il suo ruolo transtorico nell’Islam (pp. 33-58), tema ripreso e ampiamente sviluppato di recente in un prezioso volume uscito in Italia: Elia/al-Khidr, l’archetipo del maestro invisibile (a cura di A. Grossato, Medusa, Milano 2004). Ma nel volume qui presentato si trova un altro confronto significativo in questo contesto, in vari saggi di Massignon ampliato o rimodulato, tra la figura di S. Francesco e quella di al-Hallaj (m. 922), il più grande mistico e martire dell’Islam, un confronto che è stato poi sviluppato originalmente anche da un allievo di Massignon, il francescano P. Giulio Basetti-Sani (v. su questa stessa rivista StPat 1995/3) autore anche della monografia Louis Massignon orientalista cristiano (Ed. Vita e Pensiero, Milano 1971) e pioniere in Italia degli studi sull’opera di Massignon (per completezza segnaliamo anche gli Atti del convegno sul centenario della morte di L.M., a cura di C. Baffioni, Istituto Orientale di Napoli, Napoli 1985). Altrove il Massignon trae altri paralleli pregnanti, ad esempio tra Maria e Fatima (specie in Parola data, v. sopra), la figlia di Maometto e moglie di ‘Ali.
Il tema della mistica è anche toccato da altri articoli del presente volume, tra cui volentieri citiamo il densissimo Il “cuore” (al-qalb) nella preghiera e nella meditazione musulmane (pp. 119-126) e Il soffio nell’Islam (pp. 193-198) che dà anche il titolo alla raccolta italiana. Due altri articoli, Mistica musulmana e mistica cristiana nel medioevo (pp. 91-112) e Testi musulmani riguardanti la notte dello spirito (pp. 113-118), allargano a dismisura il raggio della comparazione, mostrandoci la straordinaria capacità di Massignon di guidarci sui terreni più impervi di un confronto che spesso, esulando dal terreno propriamente scientifico, sfocia in quello «transtorico», una categoria particolarmente a lui cara. Ed ecco, ad esempio, oltre al confronto Elia/al-Khidr, un altro straordinario «transtorico» accostamento tra l’ordalia proposta da Maometto e i suoi alla delegazione guidata dal vescovo cristiano di Najran (Arabia meridionale) intorno al 630 e l’ordalia che S. Francesco propone all’emiro musulmano e ai suoi nel 1219 a Damietta d’Egitto, durante un episodio della quinta crociata. Entrambe le ordalie vengono rifiutate dalle controparti perché - ecco un punto d’incontro straordinario tra Cristianesimo e Islam, attentamente sottolineato dal Massignon - «non si può tentare Dio».
Il confronto tra le mistiche ci porta all’altro grande tema della ricerca di Massignon, quello della comparazione letteraria, ben esemplificato almeno in due saggi contenuti in questa raccolta: Le ricerche di Asin Palacios su Dante: le influenze musulmane e le leggi dell’imitazione (pp. 91-112) e L’esperienza mistica e i modi della stilizzazione letteraria (pp. 139-148). Il primo saggio verte intorno a una garbata polemica con il grande arabista spagnolo Don Miguel Asin Palacios, divenuto celebre negli anni ’20 con un saggio dal titolo oltremodo eloquente e provocatorio: La escatologia musulmana en la Divina Comedia (1919). Alla puntigliosa sottolineatura di somiglianze di «struttura generale» e di dettaglio tra la Commedia e opere analoghe della letteratura colta arabo-musulmana (di Ibn ‘Arabi e di al-Ma’arri principalmente), il Massignon rispondeva in sostanza sottolineando come molte di tali presunte somiglianze non implicassero necessariamente una «imitazione letteraria», ovvero plagio o rifacimento di un modello dato e conosciuto, bensì semplicemente rimandassero a un dato antropologico in senso lato: in altre parole, per il Massignon, era sempre possibile ipotizzare una poligenesi di temi e motivi simili o talora pressoché identici in autori appartenenti certo a tempi e culture diverse, ma pur sempre accomunati e «obbligati» dal comune umano modo di sentire e percepire il soprannaturale da un lato e, dall’altro, dal comune modo di tradurlo in immagini («archetipi» direbbe Jung) e verbalizzazioni.
A proposito di verbalizzazioni dell’esperienza del Soprannaturale, è proprio qui che si situa uno dei centri nevralgici della ricerca di Massignon, il quale non manca di sottolineare come «la parola non è per loro [i mistici arabi] la decalcomania di una figura, né il cadavere di un concetto, bensì allusione a una realtà spirituale recuperabile grazie a una regola di vita purificante» (p. 167). Ecco, qui «allusione» (ishara in arabo) ci richiama immediatamente il termine correlativo «espressione» (‘ibara), coppia di elementi complementari fondamentale nell’ermeneutica mistica musulmana. Non si tratta solo di qualcosa che fa pensare a una curiosa anticipazione della nota coppia di concetti desaussuriani significante/significato; abbiamo piuttosto un ampliamento/approfondimento, se si vuole, del secondo termine, il significato appunto, che si sdoppia in un senso comune (ma’nà) ovvero quello denotativo che forniscono i lessicografi e i vocabolari e in un «senso simbolico-anagogico» appunto quella ishara o «allusione» su cui si costruisce il dettato di tanta poesia e più in generale di tanta scrittura mistica araba e persiana. Insomma l’ishara non coincide con il mero significato (denotativo o allegorico, reale o figurato che sia), ma, per dirla con una espressione cara al gergo mistico islamico, coincide con il «segreto» (sirr) del significato, con un campo semantico potenzialmente illimitato, non divulgabile, insomma con l’ineffabile e irripetibile verità del mistico... A questo proposito Ahmad Ghazali (m. 1126), fratello minore del celebre teologo Abu Hamid al-Ghazali (m. 1111), scrive nel suo trattato Sawanih al-‘Ushshaq (Delle occasioni amorose, tr. it. Carocci, Roma 2007): «E quantunque nostro compito sia quello di consegnare le vergini dei significati ai maschi delle parole nelle intime stanze del discorso, tuttavia in questo genere di cose l’espressione verbale (‘ibara) consisterà solo in parche allusioni (ishara) a una varietà di significati [mistici o soprannaturali]”; insomma, da al-Hallaj a Ahmad Ghazali, non si è veri mistici (né forse veri scrittori…) se non si sa alludere a una realtà altra, alla Realtà tout court che alberga nel cuore di ogni spirito visionario che - nella immaginosa prosa di Ghazali - è la «vergine» che rischia sempre di essere brutalmente profanata dai «maschi» delle parole.
Molti altri sono gli spunti e i motivi di interesse di questa raccolta - cito da ultimo una interessante dicotomia «introspezione/retrospezione» che vuole caratterizzare rispettivamente la poesia occidentale e l’arabo/islamica - ma qui di necessità ci fermiamo, non senza segnalare l’utilità della lettura della bella e profonda introduzione dovuta al Curatore, il giovane arabista Andrea Celli dell’Università di Padova (autore anche di un importante saggio: Il tema delle «lingue consacrate» nella scrittura di L.M., in Rivista di storia e letteratura religiosa (2005) 433-79) a cui, unico appunto, dobbiamo rimproverare la mancanza nel volume di un indice dei nomi e dei temi notevoli.
Tratto dalla Rivista Studia Patavina 2011 n. 1
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)