Alfredo Panzini ha scritto romanzi «tra l’antico e il moderno»; Amedeo Maiuri ha ritrovato l’uomo d’oggi nelle dimore e lungo le vie delle antiche città dissepolte, rifacendo l’uomo antico ad immagine di quello d’oggi.
Sia l’uno che l’altro avrebbero potuto scrivere questo Viaggio nell’Abruzzo dannunziano invece di Donatello d’Orazio: il quale, tuttavia, ha trovato nell’Abruzzo una sostanza che non l’ha costretto a «immaginare», come Maiuri, né, come Panzini, a farsi uno stato di spirito tra la storia e la fantasia.
L’Abruzzo è, non tra l’antico e il moderno, bensì antico e moderno: nel suo giorno d’oggi implica il giorno remoto, come nella Basilica di San Giovanni in Venere, presso Fossacesia prospiciente la Dalmazia, nella quale il Cristianesimo fiorisce dal paganesimo; come nel bove che segue San Zopito nella processione di Loreto Aprutino, seguitando il toro egizio Apis; come nel Vocero di Civitaluparella, che perpetua intorno ai defunti quello dei romani, dei greci e dei giudei di duemil’anni addietro.
I chietesi, per non bestemmiare il nome santissimo della Madonna, imprecano: «Mannaggia la Maiella», ricordando così che in quella Montagna s’è impietrita Maia già invocata a soccorso dei raccolti dei loro campi.
Giovinette, scese a Francavilla dai colli o dalle pendici del Padre Appennino, entrano nel mare tenendosi per mano come le Cantatrici di Costantino Barbella; ne riescono rientrandovi; ancora ne escono per rientrarvi; infine, sciolte le mani, attingono l’acqua aspergendosene il seno con un gesto in cui trema un antico sentimento: quello, si sa, del giorno in cui nel mare regnava Nettuno.
Cinquant’anni fa, una delle prime carovane turistiche partì da Roma «alla scoperta dell’Abruzzo». Ne faceva parte anche Luigi Barzini. In quella occasione, molte case italiane si arricchirono di fotografie dell’Abruzzo; ma l’Abruzzo non fotografabile, non esterno, il lettore lo troverà compiendo, insieme con Donatello d’Orazio, questo Viaggio.