La luce della perla. La scrittura di Maria Zambrano tra filosofia e teologia
(Sui generis) [Libro in brossura]EAN 9788874024520
Partendo dalla fitta corrispondenza epistolare fra Maria Zambrano e il teologo Augustin Andreu, l’a., appartenente alla comunità filosofica femminile «Diotima» che all’Università di Verona elabora un pensiero della differenza sessuale e al Coordinamento teologhe italiane, individua nel tema della circolazione del Logos e dello Spirito un elemento fondamentale che – se interrogato a partire dalla prospettiva della differenza sessuale – consente d’intravedere nel «Dio sconosciuto » della Zambrano tratti femminili, materni. La «perla» del titolo è uno dei simboli che nel linguaggio della filosofa andalusa evoca appunto la circolazione dello Spirito.
Tratto dalla rivista Il Regno n. 2/2010
(htto://www.ilregno.it)
Il contributo delle donne al pensiero del ’900 sta rapidamente emergendo, a giudicare anche dalla rapidità con cui si sono succedute le traduzioni italiane dell’opera di Maria Zambrano già oltre una trentina, a partire immediatamente dalla sua morte, avvenuta nel 1991. Circa una quindicina finora i saggi a lei dedicati, tra i quali si colloca questo volume di Lucia Vantini, teologa e filosofa della comunità Diotima, un gruppo di pensatrici sensibili ai gender studies, nonché insegnante presso l’ISR di Verona. Zambrano vive un’esistenza tutta dedita alla filosofia, intrecciata di relazioni con il circolo dei pensatori madrileni prima, e con moltissimi altri intellettuali a partire dal 1939, anno dell’esilio causatole dal regime franchista, durante il quale ella viaggiò insieme al marito, lo storico A. Rodriguez Aldave, soggiornando in Cile, Messico e in Italia (dove conobbe Elena Croce, Cristina Campo, Elsa Morante, Elémire Zolla).
Fece ritorno in Spagna solo nel 1984, quindi molto dopo la fine del franchismo, dove divenne una figura emblematica della resistenza intellettuale, sulle orme dei grandi maestri come M. De Unamuno e J. Ortega. Il suo pensiero riproduce l’impronta di questa vita tutta giocata in opposizione attraverso la ricerca continua di un equilibrio tra passività e resistenza, fisionomia piuttosto femminile, ma che ella arriva a rintracciare in Dio stesso e nel gioco trinitario tra Padre e Spirito. In questa sorta di mistica filosofica le fanno da sfondo le grandi figure della tradizione spirituale spagnola poiché «con gli spagnoli – ella nota – tutta la storia finisce sempre in teologia» (p. 33): Teresa anzitutto, Giovanni della Croce e Ignazio, con la sua «indifferenza» che Zambrano traduce in uno «star fuori dalla storia» (p. 44) che in realtà è pieno coinvolgimento affettivo. Personalmente rintraccerei qui la prima impronta di un pensiero femminile, formulato in modo responsoriale, nella dialettica dell’esilio e del confronto, della parzialità e del vitale bisogno di completamento piuttosto che nell’uso delle immagini e «suggestioni innamoranti» (p. 15), che pure sono presenti nei testi citati o nell’identificazione dello Spirito con il femminile di Dio, di cui si parla in apertura e sui cui limiti l’a. concorda con l’analisi di E. Johnson.
Tutto il primo capitolo infatti è costruito principalmente sul carteggio di Zambrano con il teologo Augustin Andreu, sacerdote, filosofo e teologo, avvenuto durante gli anni ’70 e che la Zambrano definisce un’esperienza di «‘cristianesimo giovanneo’ dove la discesa del vero succede proprio in seguito alla costituzione di un vincolo fraterno, a fare da contesto a questa tematica, riconosciuta da entrambi come la questione stessa del loro dialogo epistolare” (p. 37). Dai frammenti riportati, che Vantini ci semplifica inquadrandoceli nell’analisi, sembra che l’approccio iniziale sia di tipo antropologico: fin dall’infanzia Zambrano cerca un cristianesimo non sacrificale, che possa dire la vicenda salvifica del Cristo in analogia con l’esistenza umana «così ricca di discese-e-risalite, fallimenti-e-rinascite, morti-e-risurrezioni» (p. 73); tuttavia il suo sforzo rimane all’interno di quel quadro metafisico che le consente il confronto con Andreu, messo però in movimento da una circolarità che è divina ed analogicamente umana, ma prima di tutto è gnoseologica: mediante lo Spirito il Logos nasce alla coscienza e viceversa il sacrificio del Figlio rinasce alla fluidità dello Spirito.
Qui l’elemento femminile entra nel contenuto, si carica dell’eredità paolina e del pensiero classico - filtrato dall’interpretazione di S. Weil - e diventa lo «strano uccello», lo Spirito che si unisce alla natura individuale, che rivela ma non spiega, che mette in movimento, «che se la ride del cavaliere e del cavallo, che guarda indifferente o non guarda all’apparenza i suoi piccoli, è lo Spirito Santo di ognuno, o in quanto tocca ad ognuno, al giusto che ha da germinare così come il giglio e fiorire nell’eternità del Signore» (p. 90).
Tocca così andare alla seconda parte del saggio per poter capire meglio questa circolarità Logos-Spirito-Uomo, che rilegge esistenzialmente le relazioni trinitarie a partire dall’esperienza umana. Le crisi e le difficoltà che Zambrano e Andreu hanno vissuto, ciascuno nella propria vita, diventano condivisa parola di morte-e-rinascita, «crollo della parola» e presenza «dello Spirito consolatore e ispiratore di parola nuova e vera, rivelatrice» (p. 93). Qualcosa dell’Essere è possibile esperire anche nell’umano, la circolarità logos-spirito attraversa la vita dell’uomo, poiché essa stessa ha forma trinitaria. Bisogna però giungere al tema della morte, cosa che Zambrano fa soprattutto nel saggio del 1939, Pensiero e poesia nella vita spagnola, dove ella parte dalla ricerca di uno specifico ispanico nel sentire la morte per individuare anche qui una sorta di ciclicità, per cui non si entra mai definitivamente in essa, ma nemmeno si esce definitivamente dalla storia, perché «solo ciò che si ama può morire, il resto scompare solamente» (p. 106).
Pesa come un macigno su tutta la vita di Zambrano la vicenda della sorella Araceli, resa vedova, internata e torturata dai nazisti, che vivrà con lei in precarie condizioni psichiche fino alla morte, durante la scrittura dell’opera poetica più conosciuta, Chiari del bosco, nella quale Zambrano elabora in sé il dolore e la necessità di questo ciclo morte-risurrezione che è esigito dalla vita stessa e dalla redenzione operata da Cristo (p. 125). «Quel Padre/Madre che ha eternizzato il vissuto cristologico della morte/risurrezione, coinvolgendosi nella trama esistenziale di tutti coloro che sperimentano questo movimento in ogni passaggio difficile della vita» (p. 134). La redenzione diventa così non verticale, ma circolare: coinvolge l’altro, la storia, l’Europa, e porta all’esterno il fallimento interno, senza riuscire a travolgere la vita, protetta appunto dallo Spirito e, dal punto di vista antropologico, dalla speranza, «fame di nascere del tutto» (153).
Andreu stesso azzarda per questo carteggio il parallelo con il rapporto Balthasar-Von Speyr (p. 82), ritenendo Zambrano una ispiratrice del suo pensiero; chi scrive tuttavia ha l’impressione invece che il dialogo qui sia molto più paritetico: la filosofa lo interpella con interlocuzioni rigorose, sporgendosi anche in ambito teologico e pro-vocando una risposta che sia all’altezza. Una volta compresa la visione d’insieme – anche se due paginette di biografia in tanta abbondanza di prefazioni e commenti avrebbero giovato a chi casualmente partisse da qui per conoscere la filosofa andalusa – vale la pena rileggere tutte le citazioni di Zambrano per coglierne la folgorazione di molte sue intuizioni che, come nota C. Simonelli in appendice, rimangono come sospese, in attesa di ulteriori sviluppi.
Prima fra tutte l’idea filosofica della circolazione del logos e dello spirito, che attenderebbe un adeguato complemento teologico, ma anche spirituale; lo richiederebbe il rigore della proposta, che tuttavia rifugge l’inquadramento per lasciare aperta la porta alla necessaria parte di passività che è richiesta dal nostro volere/potere diventare divini.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 2/2011
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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