Respirare con due polmoni
-Ricerche attorno alla fides
EAN 9788872633557
Il discusso e controverso rapporto, che ha segnato e continua a marcare l’attuale storia del pensiero, tra speculazione filosofica ed elaborazione teologico – dottrinale, tra scienza e verità, così come viene affrontato nell’Enciclica Fides et Ratio (1998) di Giovanni Paolo II, sembra offrire l’opportunità a Marcello Acquaviva di rileggere la stesura del testo magisteriale cogliendone i motivi ispiratori, le circostanze storiche della sua elaborazione e soprattutto di tracciare alcune riflessioni sul rapporto fede – ragione alla luce del contributo di alcuni pensatori e pensatrici.
Da questa ambiziosa ricerca, che si riflette nei contenuti e nelle modalità interpretative, nasce il testo Respirare con due polmoni. Ricerche attorno alla Fides et Ratio. Il titolo sembra evocare, con immediatezza metaforica e con evidenti richiami analogici, la necessità di ‘vivere’, di ‘respirare’, la ricerca filosofico – antropologica nell’orizzonte di una circolarità dialogica con la fede. Come in un mosaico, nel quale l’immagine viene composta con la scelta sapiente e ricercata di ogni singolo tassello, l’autore sembra ricomporre il quadro storico del rapporto tra fede e ragione all’interno della tradizione cristiana della ‘filosofia perennis’ che, nella ardita e poderosa speculazione tommasiana, armonizza i principi della ragione naturale con le verità di fede fino a giungere alla teologia e filosofia cordis tratteggiata alla luce del Pascal di Romano Guardini, altro autorevole testimone degli interessi speculativi dell’autore. In tal senso viene intrapreso, sia pur brevemente, un rimando al filone platonico-agostiniano che giunge nel solco dell’età moderna caratterizzata dal pensiero teologico- filosofico orientale di Solov’ëv, Chomiakov, Florenskij, oltre che da quello europeo riconosciuto nella riflessione esistenziale ‘ante litteram’ di Kierkegaard.
I tratti brevi ed i toni essenziali di tale iter conducono alla prospettiva secondo la quale le verità di fede ‘illuminano’ le verità di ragione e quest’ultime forniscono le categorie per giungere a ‘chiarire’ la stessa fede. In tale rapporto la ragione viene ancorata al valore proprio della sua natura e delle sue potenzialità indagative e interpretative che nulla hanno da inficiare al mistero della fede o da demistificare alla natura divina della Verità ricercata (‘credo ut intelligam, intelligo ut credam’). In tale prospettiva è individuabile il locus hermeneuticus, secondo le parole dell’autore, quale tentativo di riabilitare dalla ‘traditio’ cristiana l’‘intellectus fidei’, la ragionevolezza della fede tesa a chiarire con i ‘lumi della ragione’ il mistero della Verità rivelata senza cadere nell’errore, decisamente moderno, dell’onnipotenza della ‘ratio’ e di demistificazione di ogni struttura metafisico-trascendente.
I ‘polmoni’ attraverso i quali l’autore intende ‘donare respiro’ alla sua riflessione speculativa si caratterizzano nella duplice e complementare tradizione storica del pensiero, quella occidentale e quella orientale, in particolare russa. Dopo aver chiarito nel III capitolo la prospettiva filosofica della ‘genialità credente’ di Solov’ëv il quale respira l’armonia della sintesi di empirismo, raziocinio e di conoscenza mistica; nel IV capitolo l’autore attraversa lo studio della ‘sofiologia’ attingendo alle elaborazione speculative di V.S. Solov’ëv e di P.A. Florenskij nel tentativo, teoreticamente riuscito, di cogliere la presenza di possibili ed eventuali tratti sofiologici in Edith Stein ed in particolare in uno degli ultimi capolavori della pensatrice che riabilita il tomismo cristiano alla luce della fenomenologia di Husserl e Scheler.
Se è vero che la sofiologia è una sorta di ‘teosofia’, ‘sapienza di Dio’, essa si manifesterebbe come indagine circa la Sofia quale principio di unità prodotta interno all’essere che trova la sua manifestazione nell’essere prodotto come ‘corpo ‘secondo il Logos. In tal senso il corpo divino di Cristo sarebbe materia della divinità permeata dal principio dell’unità divina ed Egli realizzerebbe in sé questa unità di Logos e Sofia in quanto organismo integrale divino, universale e individuale. Gli ultimi capitoli, invece, sono dedicati ad alcuni celebri esempi di filosofi occidentali che hanno fondato la ricerca razionale e scientifica sulla fede valorizzandone gli apporti e i contributi. La scelta cade su Henry Newman, tra i nomi citati nella stessa Enciclica, che con la sua operazione logico – concettuale tende ad armonizzare l’‘assenso della ragione’ e l’‘inferenza dell’esperienza’ in una scambio ermeneutico in cui la fedeltà all’indagine razionale è asimmetrica rispetto all’attribuzione di senso colto nelle proposizioni di fede non del tutto sperimentabili. In ultimo e non per importanza, il testo di Marcello Acquaviva offre un significativo contributo alla poderosa e monumentale indagine antropologica del filosofo Karol Wojtyla che nella matrice fenomenologico – assiologica, mutuata dagli studi su Max Scheler e dal suo amico collega Tadeus Styczén oltre che da Roman Ingarden, ripercorre il progressivo costituirsi del diventare ‘persona’ partendo dall’‘atto’ quale dinamica correlativa di autotrascendenza di sé (‘suppositum’) ed integrazione dell’unità psico-somatica, struttura costitutiva della corporeità (Leiblichkeit).
Secondo quest’ultima analisi, la ‘persona’ sarebbe espressione matura e consapevole di sé in quanto essa ha imparato a ‘respirare con due polmoni’, con quello della razionalità e con quello dell’affettività, con la sentimentalità e con la coscienza, con quello della ‘soggettività somatica’ e con quello proprio della ‘soggettività psichica’, secondo il lessico di Wojtyla. Pertanto il testo si pone per le sue intenzioni, oltre che per le analisi condotte con severo rigore scientifico, un autentico antidoto alle ‘asfissie della fede’ che hanno originato forme di razionalismo prometeico destinate a giustificare, come scientificamente lecite, qualunque prassi morali; dall’altro lato eviterebbe le ‘asfissie della ragione’ che generano un’esaltazione di atteggiamenti fideistici quali forme embrionali di fanatismo o, peggio ancora, di atteggiamenti emotivistici che tenderebbero a relegare Dio nella sfera privata degli affetti espropriando la Sua presenza dalla vita pubblica e consentendo un ‘modus vivendi’ ateo probabilmente non dichiarato, ma vissuto inconsapevolmente.
Tratto dalla Rivista "Fides et Ratio" n. 2/2010
(http://www.issrguardini.taranto.it)
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