A caccia della lepre
-La meditazione silenziosa della tradizione cristiana
(I Pellicani)EAN 9788871809649
Come il cane vede una lepre e la insegue finché non la raggiunge… «cosí anche colui che cerca Cristo, il Signore, fissando incessantemente la croce, supera tutti gli ostacoli che gli si oppongono, finché non abbia raggiunto il Crocifisso» (p. 5). La frase, tratta dai Detti dei Padri del deserto, fa parte di una piú ampia citazione posta quale esergo nella pagina iniziale per orientare l’attenzione del lettore ai contenuti del libro, non del tutto svelati dal titolo, che è sí accattivante, ma potrebbe spiazzare.
L’autrice precisa infatti nel sottotitolo l’ambito della sua indagine: l’uomo, come il cane da caccia, si fa «segugio» delle tracce di Dio nell’interiorità della sua anima, per mezzo della «meditazione silenziosa» cristiana, già praticata dopo la pace costantiniana dai movimenti spirituali dell’anacoretismo e del cenobitismo, proliferati soprattutto nell’Egitto (e nelle aree mediorientali). Nel silenzio meditativo, il monaco non restava inoperoso, ma si metteva di fronte a Dio in atteggiamento costantemente orante senza tuttavia sprecare parole «come fanno i pagani» (Mt 6,7). Egli prestava ascolto alla «brezza leggera» di Dio, alle mozioni interiori dello Spirito, alla presenza discreta, per nulla «straordinaria», del trascendente divino.
Il volume è suddiviso in due parti: rispettivamente la «preghiera perduta» (e riscoperta) e la «caccia alla lepre». Descrive anzitutto – scandita in tappe cronologiche biografiche – la figura di padre John Main che, nel XX secolo (in giro per il mondo: dalla Malesia all’Irlanda e agli Stati Uniti), ha gradualmente sperimentato e progressivamente affinato la preghiera contemplativa, la pura preghiera spirituale, scoperta e appresa da una continua familiarità con gli scritti del santo monaco e fondatore Giovanni Cassiano (360-432) che, agli inizi del V secolo, aveva innestato nel monachesimo occidentale della Gallia la tradizione spirituale orientale. L’antica e feconda meditazione silenziosa (una sola parola…, un solo versetto…) che immerge l’anima nella verità interiore – elaborata e praticata da monaci ed eremiti, e riscoperta dai maestri spirituali degli ultimi decenni (Merton, Monchanin, Le Saux, Griffiths, Panikkar) – viene qui recuperata e rivissuta da padre John Main nel suo cammino di ricerca spirituale.
Sui sentieri dello Spirito, i passi di Main incrociano quelli di Cassiano, facendo rifiorire il deserto di sedici secoli prima e rinnovando il percorso di meditazione interiore tracciato in contesto sociale-religioso diverso e lontano nel tempo. Notevole per quantità e qualità è la seconda parte, dedicata all’analisi articolata dei verbi che spingono l’uomo alla ricerca di Dio: «tutti» possono entrare nell’orizzonte della preghiera contemplativa e immergersi nella meditazione silenziosa. I percorsi spirituali di John Main e di Cassiano pur vissuti in contesti culturali differenti, messi a confronto, mostrano convergenze e parallelismi nell’interpretare la storia, la quotidianità, la vita, la vocazione. All’inizio, fuggendo da un vivere distratto e impastato di materialità, occorre mettersi in ascolto del mondo interiore e seguire il proprio istinto «naturale»: «l’immagine divina che inabita l’uomo dà ragione del suo bisogno sempre disatteso e […] lo spinge sulle tracce di Dio» (p. 47).
Il desiderio di fare esperienza di Dio e del suo amore smuove il cristiano in tutta la sua corporeità e spiritualità, in tutto il suo vissuto umano (corporeo, psichico, pneumatico) a vedere Dio: il paradigma esperienziale, secondo i Padri della chiesa, «coinvolge in modo sensibile tutta la persona» che attiva i cinque sensi spirituali radicati nella propria interiorità, per toccare il mistero divino e vederne le profondità; e ciò avviene nell’esercizio della preghiera che permette di tenere vivo il ricordo di Dio, di partorire la parola di Dio ruminata misticamente e depositata nel cuore (p. 61). Le parole di John Main illustrano nel presente il superamento del dualismo moderno corpo- spirito: «La preghiera meditativa non è un esercizio intellettuale […] Nella meditazione non vi è affatto un pensare a Dio […] Nella meditazione […] cerchiamo di essere con Dio, […] con Gesú, […] con lo Spirito Santo; non di pensare unicamente a loro» (p. 66). Un terzo verbo da attuare è quello di inseguire Dio nell’attività meditativa praticata con metodicità e costanza, come un segugio avveduto fa con la lepre senza mai arrendersi; attività meditativa che «implica il passaggio dallo spontaneismo naturale a un livello piú maturo e profondo, da raggiungere e sostenere con scelte strategiche» (p. 70).
Una preghiera continua, incessante, pur in forme diverse di orazione legate a stati d’animo differenti: orale o mentale, personale o comunitaria, si deve acquisire la perseveranza nella preghiera per tendere a «realizzare la vita angelica, destinata a compiersi nella beatitudine futura» (p. 74). L’esercizio suggerito è quello di avere memoria viva e costante della presenza divina, di ripetere di continuo una formula di pietà, di meditare un versetto biblico cosí da trasformarlo in «invocazione silenziosa, ritmata dal cuore» (pp. 77-78). Occorre poi fiutare le tracce di Dio (della lepre) nella preghiera e nella vita ordinaria, senza lasciarsi sviare dalla meta. Affinare dunque «l’attenzione per discernere i segni del divino», presenti nella ordinarietà della vita, «tra i moti dell’animo che spirano a fiotti, come i soffi dei venti» (p. 108), che significa: orazione di qualità interiore, piú che di quantità, di concentrazione profonda, piú che di parole. Ancora: affrontare, senza spaventarsi, precipizi, rovi e spine: fatica e tenacia puntellano la vita spirituale che è sequela e imitazione di Cristo, senza voltarsi indietro. Nel cuore dell’orante c’è posto solo per Dio, e ciò richiede l’integrità-semplicità del cuore.
Infine, correre con la comunità (cacciare la lepre con la muta, in sinergia): preghiera, non come percorso solitario, bensí comunitario, o meglio, uno stile di vita in equilibrio tra individuo e comunità, rispettoso del desiderio di contemplazione e della dimensione comunitaria (p. 130): «la meditazione apre alla relazione con il tu di Dio, modello di comunione trinitaria e, di conseguenza, educa alla relazione e al rispetto dei fratelli» (p. 132). È avvincente la lettura del volume, e convincente il suo contenuto: la metafora del segugio e della lepre, l’uso di un linguaggio immediato e di uno stile moderno, il confronto di prassi vitali (e anche di pensieri teorici) tra personaggi ed epoche diverse, la convergenza di elementi esperienziali nella preghiera contemplativa e silenziosa del cuore, fanno di questo volume un tesoro da cui trarre cose, antiche e nuove, preziose per il vivere quotidiano nel frastuono e nella frammentarietà della modernità.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 2/2012
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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