Struttura antropologica della fede. Ripensare la teologia filosofica (La)
(Quodlibet) [Libro in brossura]EAN 9788871053509
Il travaglio della teologia fondamentale del sec. XX appare segnato e scandito dall’esigenza di superare quel modello neoscolastico in cui si era sedimentata una particolare ricezione della istanza del Vaticano I, modello che appariva ormai insostenibile soprattutto per il suo estrinsecismo, ovvero l’introduzione di una separazione inevadibile tra il piano della ragione naturale – volta a determinare l’origine divina della rivelazione in Cristo con un giudizio razionale certo affidato alla forma moderna di ragione – e quello della fede che procedeva estrinseca sia rispetto al contenuto creduto (di fatto irrilevante nella determinazione del motivum fidei) sia, ancor più, rispetto ai “diritti della soggettività”, per cui l’uomo, le sue domande, la sua realtà ontologica rimaneva anch’essa marginale o estranea nella determinazione della rationabilitas fidei, tanto che Garrigou Lagrange nel suo manuale liquidava l’apologetica dell’immanenza di Blondel definendola una pericolosa deriva psicologista. In questo scenario si può ricomprendere la fatica di esplicitare l’intelligibilità della fede attraverso una sua legittimazione razionale tesa a superare l’estraneità tra l’umano e il soprannaturale oltre la funzione preambolare della ragione, che di fatto trasformava la filosofia dall’essere a servizio della teologia all’essere asservita alla teologia.
Il testo di Didonè – che rappresenta la sua ricerca dottorale in teologia fondamentale – parte della ripresa del problema consueto, ovvero “mostrare l’intrinsecità della verità di Dio all’esperienza umana” o, detto altrimenti, «la tematizzazione del profilo ontologico dell’attuazione antropologica della fede» (7). L’istanza, che procede dal punto prospettico della (cosiddetta) scuola milanese – soprattutto versante Epis e Bertuletti – è declinata secondo un registro categoriale, linguistico, critico e bibliografico debitore verso tale scuola di cui, di fatto, si vuole mostrare la fecondità speculativa del modello teologico verificando le idee chiave negli affondi di tre teologi, ovvero H. Bouillard, K. Rahner, Ch. Theobald. Il primo – per usare una parola cara al terzo – è il passeur (traghettatore) da una sensibilità segnata dal modello epistemologico della ragione naturale al nuovo paradigma ermeneutico. La prospettiva interlocutoriamente indicata da Bouillard, avanza in modo significativo con Rahner che nella sua svolta antropologica rigorizza attraverso il dispositivo trascendentale ciò che Bouillard aveva solo intuito. Infine Theobald che rilancia il profilo critico della fede all’insegna del modello comunicativo-pragmatico di Habermas. Proprio questi tre autori – nell’orizzonte dell’istanza blondelliana quale matrice ultima e trigger del processo – permettono la maturazione del superamento dell’estrinsecismo, superamento possibile solo come esplicitazione della struttura del dinamismo della libertà che conduce, detto un po’ “ermeticamente”, alla correlatività con-costitutiva tra l’autoattuazione della libertà umana e la storicità di Dio (cf.12).
Ad ogni modo nella temperie postmoderna segnata dal pensiero postmetafisico (che l’autore considera irreversibile) e da una costellazione sempre da aggiornare di paradigmi ermeneutici di modelli di razionalità (semmai esista ancora un’idea di ragione), il compito proprio del discorso teologico-fondamentale è «l’esplicitazione delle condizioni di universalità della fede, ovvero mostrare che il carattere di assolutezza della fede non si riduce all’ordine soggettivo delle convinzioni personali, poiché rinvia al profilo oggettivo – et quidem veritativo – della fede, in ragione dell’evento della rivelazione» (18-19); il profilo veritativo rimane irrinunciabile, dove, però, il paradigma ermeneutico impone di pensare la verità come senso, senso che è la sigla della mediazione antropologica della verità (cf.290). Il punto di approdo della pista blondeliana di rinnovamento della legittimazione filosofica del discorso teologico, attraverso e oltre i tre autori studiati, è l’elaborazione «di una teoria dell’evidenza che riconosce nell’attuazione della libertà la condizione imprescindibile per la manifestazione della verità» (45), dove la libertà è pensata come responsoriale ed interpersonale (potrebbe essere diversamente?). L’universalità della fede, detto altrimenti, si legittima nella rideterminazione del rapporto tra autocomunicazione di Dio ed esperienza antropologica universale, compito cui si assolve e contribuisce elaborando «una teoria ontologica che consenta di pensare l’originario antropologico in rapporto all’evento cristologico, ovvero il rapporto tra esperienza antropologica e l’evento cristologico» (47), nella consapevolezza della qualità costitutiva dell’antropologico per la nominazione di Dio, in forza dell’implicazione ontologica presente nell’antropologico.
Non possiamo in questa sede ripercorrere i tre capitoli dedicati ad un’analisi molto attenta dei tre autori secondo l’istanza-ipotesi guida formulata. Si tratta di pagine pertinenti preoccupate non solo di presentare ma anche di evidenziare opportunità e limiti sempre rispetto alla precisa ipotesi teorica che guida la ricerca. Possiamo solo riprendere le conclusioni circa i tre progetti teologici (cf.283-293). Quanto a Bouillard, il suo progetto rimane abbozzato e se da un lato si riscontra il limite dell’insufficienza degli strumenti concettuali impiegati (mai realmente alternativi all’approccio neoscolastico), tuttavia egli ha sottolineato l’originaria caratterizzazione religiosa della fede e il rilievo del senso entro cui ridire la verità del cristianesimo. L’approccio antropologicotrascendentale di Rahner porta nella teologia le acquisizioni più significative della modernità filosofica occidentale e infine Theobald, nel contesto pluralistico postmoderno, rielabora l’istanza leggittimatrice in chiave di teologia narrativa, dove il senso non è più metafisicamente conferito ma esistenzialmente postualto.
Tutti e tre gli autori in misura diversa falliscono rispetto alla vera posta in gioco, ovvero il disporre di un modello teorico che «ponga l’istanza antropologica del senso e della libertà in relazione con l’istanza veritativa» (294), modello prefigurato e germinalmente abbozzato come istruzione ne L’Action di Blondel, dove è presente la correlazione tra idea di Dio e dinamismo della libertà tale da riconoscere il rilievo ontologico della libera attuazione in ordine alla verità del senso, senso che si configura per l’essere personale nella realizzazione della libertà come autodonazione (cf.304), e libertà che assurge un rilievo escatologico e salvifico in quanto istituita nell’evento stesso della manifestazione della verità, la quale, nel suo darsi fa sussistere la libertà, come capace di desiderio per la verità, realizzata nell’evento cristologico. Alla questione relativa al modello si dà una risposta nelle pagine conclusive.
Il volume termina con un’ampia bibliografia e un’occhiata alla sezione “bibliografia secondaria” permette di farsi un’idea dell’orizzonte entro il quale si colloca questa profonda e plausibile ricerca.
Tratto dalla rivista Lateranum n.1/2016
(http://www.pul.it)
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