Santi pagani nella Terra di Mezzo di Tolkien
(Teologia)EAN 9788870948813
L’interesse della teologia per l’opera mitologica di J.R.R. Tolkien è un dato di fatto che non necessita di laboriose dimostrazioni. Esso è infatti riscontrabile, ormai da decenni e in misura sempre crescente, presso numerosi teologi e teologhe di tutte le confessioni cristiane, molti dei quali sono autori di saggi in cui si propone un’interpretazione esplicitamente teologica della letteratura dello scrittore inglese, in particolare del suo Legendarium. Come se a contatto con i racconti tolkieniani la teologia volesse rivivere qualcosa del suo lontano passato, riscoprire cioè, nel proprio codice genetico, quell’intreccio tra verità e mito (leggenda, fiaba) che ne caratterizzò le origini pree protocristiane e che potrebbe rivelarsi di grande utilità anche per la sua più recente fase di sviluppo; come se i teologi e le teologhe volessero riappropriarsi di quell’antica saggezza in cui credette lo stesso Tolkien, che affermava: «Dopo tutto, io credo che i miti e le leggende siano in gran parte fatti di “verità”, e in realtà presentino aspetti della verità che possono essere recepiti solamente sotto questa forma; e certe verità furono scoperte molto tempo fa e ritornano sempre» (Lettera n. 131, in J.R.R. toLKien, La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, Bompiani, Milano 2001, 168-169).
Uno dei temi di cui si occupa la teologia riguarda la religiosità o, per essere più precisi, la cristianità dell’opera tolkieniana, non certo con l’intenzione di dimostrare o confutare la presenza, in essa, di tematiche e aspetti dalla valenza religiosa, dato che alcune esplicite affermazioni di Tolkien offrono, a questo proposito, indicazioni inequivoche. La questione che interessa è piuttosto se gli elementi di religiosità rintracciabili ne Il Signore degli Anelli, ne Il Silmarillion e in altre opere dello scrittore inglese siano di origine pagana o cristiana. Optare per la prima ipotesi o per la seconda significa indirizzare le interpretazioni teologiche – sia esegetiche che applicative (teologico-morali, catechistiche ecc.) – del Legendarium in direzioni differenti, della qual cosa sono ben consapevoli molti teologi-tolkieniani. Tuttavia, che si tratti di una questione cruciale per tutta la ricerca tolkieniana è una convinzione condivisa da numerosi studiosi, i quali ormai da tempo hanno elaborato e continuano a elaborare riflessioni con differenti proposte di soluzione. Il saggio di Claudio Antonio Testi – cofondatore e docente dell’Istituto Filosofico di Studi Tomistici (Modena), apprezzato studioso di Tolkien e direttore della collana “Tolkien e dintorni” (presso la Marietti 1820) – ne fornisce una nuova, di indubbia originalità.
Va premesso che l’esposizione degli aspetti salienti della proposta di Testi è stata anticipata da un saggio pubblicato in questo periodico (cf.Quale teologia per la Terra di Mezzo di J.R.R. Tolkien?, in Lateranum 79 [2013] 583-612) e dall’articolo Tolkien’s Work: Is it Christian or Pagan? A Proposal for a “Synthetic” Approach, uscito nella prestigiosa rivista internazionale Tolkien Studies (10 [2013] 1-47). Rispetto ai due testi, il volume Santi pagani fa, però, un passo in avanti, offrendo una riflessione che ha la convinzione non solo di indicare una soluzione definitiva della questione tolkieniana, ma anche di includere e di approfondire tutti i temi da considerare essenziali per cogliere appieno la complessa e delicata problematica ad essa inerente; una riflessione che parte dal riconoscimento dell’esistenza di un vero e proprio “Tolkien’s problem”, consistente nel fatto che gli scritti del professore oxoniense sembrano contenere prese di posizione e affermazioni del tutto antitetiche a proposito dell’importanza del discorso religioso per la comprensione del Legendarium (cf.26-27). Il che spiegherebbe perché gli studiosi tendano a rinchiudersi in una delle tre visuali interpretative, che approcciano Tolkien e il Legendarium in chiave o esclusivamente cristiano-cattolica o soltanto pagana o unicamente in una prospettiva sincretista che tiene insieme, senza risolverla, la contraddizione tra i due aspetti.
Pur consapevole delle ragioni, individuabili negli scritti di Tolkien, che possono portare a tali prese di posizione, Testi critica la parzialità di ognuna di queste, sia perché tutte e tre tendono a eliminarsi a vicenda, sia perché la terza non è in grado di proporre un’autentica sintesi delle altre due, ma soltanto un aut aut privo di una coerente logica interpretativa. Egli, invece, promuove un approccio sintetico «che, diversamente dalle altre interpretazioni, non considera i termini “cristiano” e “pagano” come auto-escludentisi» (28) e che rispetta rigorosamente la duplice distinzione di punti di vista e di piani presente all’interno degli scritti tolkieniani e assolutamente fondamentale per poter cogliere ed esprimere l’unitarietà della prospettiva di fondo del Legendarium. I due punti sono: «uno interno all’opera, necessario per analizzare le strutture portanti entro cui si svolgono le storie e le vicende dei personaggi del mondo sub-creato; l’altro esterno che, attraverso un confronto meta-narrativo, confronta l’opera con lo sviluppo storico della cultura nel nostro mondo “reale”» (95); per i due piani afferma che: «il piano della Natura: è quello in cui le azioni, le conoscenze e i prodotti degli esseri razionali si realizzano solo in base alle loro intrinseche capacità e facoltà (ragione, volontà, linguaggio, arte, ecc.); il piano della Grazia: è un piano sopra-naturale in cui all’uomo vengono dati alcuni “doni” (ad esempio la Fede) o rivelati certi contenuti […] che sono impossibili da raggiungere con le sole capacità naturali» (96).
Prima di presentare la sua soluzione della questione tolkieniana, Testi, nella parte iniziale del volume (cf.31-92), analizza le tre linee interpretative “classiche” del Legendarium, indicando quegli elementi che, in ognuna di esse, sono in qualche modo effettivamente fondati sui testi dell’oxoniense, ma anche quelle sviste – dei loro propugnatori – che sfociano in letture riduttive e unilaterali del tema della religiosità. Quanto all’approccio che interpreta il Legendarium e le intenzioni dello scrittore inglese in chiave unicamente allegorico-cristiana, Testi ne rileva i seguenti limiti: esso viola il “rasoio di Tolkien” (che tende a eliminare sistematicamente riferimenti a fedi e culti religiosi, inclusi quelli cristiani), confonde allegoria e applicazione con esemplificazione e interpretazione, scambia una fonte con una rappresentazione, da una similitudine parziale deduce un’identità totale, ignorandone le differenze, riduce la vastità della prospettiva tolkieniana. Il verdetto finale è perciò espresso a chiare lettere e senza sconti: «Proporre come unica lettura corretta quella che mostra la dimensione specificamente cristiana è quindi un vero pervertimento di Tolkien» (47).
Quanto, invece, a coloro che – divisi tra chi propugna letture molto “radicali”, chi propende per quelle più “moderate” e chi preferisce interpretazioni ambientalistico-politeiste – sostengono la prevalenza di una prospettiva essenzialmente pagana, Testi, pur riconoscendo che non si può comprendere il Legendarium senza rendere ragione del suo aspetto pagano, mette in luce alcuni eclatanti errori di una tale scelta prospettica, che riduce l’importanza dei testi tolkieniani in cui emerge il legame tra il Legendarium e il cristianesimo, considerandone erroneamente alcuni elementi in contrasto, confonde il paganesimo storico e quello “tolkieniano” e applica all’opera dell’oxoniense una lettura simbolica che ne impedisce l’effettiva comprensione, riducendone la vastità della prospettiva.
La maggior parte degli studiosi di Tolkien sostiene, tuttavia, la terza linea interpretativa: essi non prendono «una posizione netta, ma semplicemente ammettono la presenza di elementi sia cristiani sia pagani nel Legendarium senza preminenza degli uni sugli altri» (69). Per mostrare gli errori più comuni di tale approccio, Testi prende in esame in particolare gli scritti di due grandi esperti tolkieniani: Verlyn Flieger e Wu Ming 4 (pseudonimo di Federico Guglielmi). La prima considera il Legendarium una sorta di romanzo polifonico, cosa che, però, – come rileva giustamente Testi (cf.75-76) – non corrisponde a verità, dato che nei racconti dell’oxoniense non vengono mai descritti alcuni punti di vista (ad es. quelli negativi di Melkor e Sauron). Ma taluni errori interpretativi della studiosa americana sono connessi anche con l’insistenza nel cercare di intravedere contraddizioni tra pagano e cristiano laddove esse non sussistono, come ad esempio nel Dibattito tra Finrod e Andreth, che, in realtà, non contiene «contenuti esplicitamente cristiani» (80). Anche i limiti interpretativi dell’italiano Wu Ming 4 scaturiscono, come nel caso della Flieger, dalla convinzione dell’intrinseca contraddittorietà tra pagano e cristiano nell’opera tolkieniana, contraddittorietà che avrebbe la sua causa nell’animo del professore oxoniense, afflitto da dubbi e ombre di fede. Secondo Testi, il problema di queste e altre simili interpretazioni è che sono determinate da un’ermeneutica di matrice dialettico-marxista e che, volendo ravvisare elementi contraddittori anche dove questi non sono presenti, sono da principio incapaci di inquadrare in un tutto unitario la prospettiva di fondo degli scritti di Tolkien (cf.91-92).
La pars construens della riflessione di Testi si trova esposta, con rigorosa sistematicità, nella seconda parte del volume (cf.95-178), il cui punto di partenza è la convinzione dell’esistenza, nelle opere di Tolkien, di una prospettiva più profonda e unitaria, che riesce a “spiegare” in un quadro coerente la tensione tra paganità e cristianesimo, e a includere tutti i suoi scritti senza eliminarne nessuno; una prospettiva che, però, si staglia con chiarezza soltanto quando viene rispettata la logica intrinseca del pensiero dell’oxoniense, poggiata sulla succitata distinzione tra due punti di vista (interno ed esterno) e tra due piani concettuali (naturale e soprannaturale). Voler interpretare correttamente Tolkien ed entrare nello spirito del suo Legendarium significa tenere per ferma questa importante distinzione. Il risultato interpretativo di Testi è racchiudibile in tre sue proposizioni, che egli giustifica e sviluppa in altrettanti capitoli della seconda parte: «(1) il mondo di Tolkien, manifestando un piano essenzialmente naturale, è pagano in quanto privo di elementi specificamente cristiani; (2) tuttavia, dal punto di vista esterno, è in armonia con il piano soprannaturale della rivelazione cristiana; (3) per entrambi questi aspetti l’opera tolkieniana è espressione di un modo di pensare autenticamente cattolico» (100).
Nelle analisi e nella presentazione della proposta interpretativa di Testi «è centrale l’idea che la mitologia tolkieniana non narra tanto di un’epoca precedente il cristianesimo, bensì esprime (con i suoi differenti popoli e personaggi) un “piano naturale” quasi a-storico, nel quale possono così essere rappresentati tutti i problemi dell’uomo in quanto tale, siano questi stati posti in tempi precristiani, cristiani o post-cristiani» (102). Ciò corrisponde alla concezione tipicamente tolkieniana della “paganità” quale condizione naturale predisposta all’armonizzazione con la prospettiva cristiana, ossia con il piano della rivelazione. Testi dimostra che tale concezione è in piena sintonia con la comprensione cattolica della storia della salvezza e che solo con riferimento ad essa può essere colto il vero senso del celebre – apparentemente enigmatico – passaggio della lettera n. 142 di Tolkien a proposito della religiosità e cattolicità de Il Signore degli Anelli (cf.179). Per dirla con le parole conclusive di Testi, la fondamentale cattolicità di Tolkien «risiede paradossalmente proprio nella peculiare non-cristianità e “laicità” del suo mondo, un universo essenzialmente pagano, espressione di un piano naturale, che tuttavia è in armonia con quello sovrannaturale della rivelazione» (178).
Ispirandosi al metodo delle summae medievali – caratterizzato da un preciso percorso analitico/argomentativo secondo la logica del pro et contra, per formulare un proprio responsum –, il volume di Testi si propone come uno studio decisamente serio, animato da un’ammirevole conoscenza dell’eredità letteraria di Tolkien e della bibliografia secondaria italiana e internazionale. Il risultato conseguito è molto convincente e questo grazie alle ottime competenze non solo tolkieniane, ma anche filosofiche e teologiche dell’Autore. Si può perciò presupporre che il volume di Testi sarà annoverato tra le opere indispensabili per lo studio dell’eredità del professore oxoniense. Di conseguenza, esso dovrebbe essere letto con scrupolosa attenzione da tutti coloro che desidereranno occuparsi del Legendarium dal punto di vista teologico, per evitare la trappola di tante ingenue e fuorvianti interpretazioni che non rendono giustizia all’universalismo della geniale e profetica mitologia di Tolkien.
Tratto dalla rivista Lateranum n.1/2016
(http://www.pul.it)
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