Uomini nel mondo. Persona, cultura e valori nella società globalizzata
(Civis) [Libro in brossura]EAN 9788870946604
Il volume in questione è dedicato a indagare quale cultura risulti adatta alle nostre società, per molti aspetti globalizzate e dunque a carattere planetario. Nel primo capitolo, dal titolo appunto: Cultura e valori per una società globalizzata, l’autore si rifà ai risultati della Conferenza Episcopale Latino-Americana tenutasi a Santo Domingo nel 1992 (dedicata al tema: Una nuova evangelizzazione per una nuova cultura cristiana). Egli si sofferma subito – e apprezzabilmente – sulla definizione di cultura, intesa come la modalità con la quale l’uomo realizza se stesso, facendo ciò alla luce dei valori, intesi altrettanto adeguatamente come i criteri alla luce dei quali tale percorso di realizzazione va affrontato. Definisce poi la globalizzazione come una «forma speciale della socializzazione dell’uomo» (p. 11) e fa emergere la necessità che i problemi posti a livello globale (dalla politica all’economia e via dicendo) vengano affrontati non solo ai livelli ad essi propri ma anche a partire «da una nuova cultura, che non abbia più come soggetto la tribù, il popolo, la nazione, ma assuma come soggetto il mondo intero» (p. 13). Mi permetto di aggiungere che è soprattutto alla cultura che va fatto riferimento: essa è il genere di cui le varie possibili dimensioni dell’agire umano sono specie; essa è esercizio delle facoltà umane e produzione in generale, ad ogni livello dell’esperienza dell’uomo, guidata da quei “beni”, da quei valori cui ho fatto sopra riferimento, che costituiscono il fine di ogni agire. Se dunque la cultura deve rispondere alla necessità dell’uomo di realizzare se stesso (è questo ciò cui egli mira agendo), bisogna che vengano individuati appunto i fini dell’agire che rispondono alla natura dell’uomo e della società. Riscontro proprio questo nel percorso che l’autore – a mio avviso, dunque, pertinentemente – segue nel procedere del suo discorso, col quale giunge a parlare di una cultura che, per essere davvero tale, deve caratterizzarsi come umanistica e religiosa. Umanistica perché fondata sulla dignità insuperabile della persona umana: qui l’autore rileva che la profonda motivazione di ciò è fornita dal cristianesimo (ogni uomo è figlio di Dio, e per ogni uomo Cristo è salito sulla croce) come pure da una riflessione razionale che coglie presso ciascuna persona umana una dimensione spirituale che non conosce limiti né spaziali né temporali e che dunque appare incorruttibile. I beni da perseguire, ossia tutto ciò che risponde ai bisogni della natura umana, divengono criterio dell’agire, valori ineludibili perché uomo e società si realizzino pienamente. Sono la verità (giustamente contrapposta dall’autore a ogni forma di efficientismo e pragmatismo), la libertà (prerogativa essenziale dell’uomo pienamente affermata nella storia grazie al cristianesimo), la virtù dell’amore (il quale è virtù solo a patto che sia altruistico e non egoistico), l’amicizia, la pace e la legge. Riguardo agli ultimi due valori, sottolineo innanzitutto il rilievo della pace intesa secondo la tradizione cristiana come tranquillitas ordinis (cfr. p. 28), e dunque non semplicisticamente riducibile all’assenza di conflitto armato tra nazioni (sebbene si sottolinei anche – e apprezzabilmente – che la pace internazionale va oggi perseguita a ogni costo, per varie ragioni prima tra le quali l’altissimo potere distruttivo delle armi a disposizione). Riguardo alla legge, va invece rilevato che l’autore, proprio perché sta conducendo una riflessione sulla cultura che, se tale, è realizzazione dell’uomo, guarda alle leggi come a norme necessariamente fondate sulla natura umana: dunque alla necessità che ogni ordinamento giuridico risulti sempre coerente con la legge morale naturale. Come dicevo sopra, Mondin rileva che un’autentica cultura deve essere non solo umanistica ma anche religiosa. Basterebbe a questo punto riferirsi ad alcune puntualizzazioni che già a proposito del carattere umanistico della cultura sono emerse. Puntualizzazioni le quali – dalla dignità di ogni uomo, riscattata dalla crocifissione e morte di Cristo, all’esaltazione della legge morale naturale, che appunto presso ogni uomo risiede, sia cristiano che non cristiano – non fanno che evidenziare il riferimento al cristianesimo di una cultura che voglia dirsi a servizio dell’uomo. Invece l’autore fa opportuno riferimento alla varietà delle esperienze religiose e alla necessità che esse convergano tutte nel compito di costruire una cultura a difesa dell’uomo e della società. Così, dopo aver giustamente sottolineato che talora le religioni – tutte le religioni, tengo ad aggiungere, compreso il cristianesimo – possono costituire fattore di divisione e di scontro, egli afferma che è alla religione in generale che una cultura autentica e planetaria dovrebbe ispirarsi, perché «per assicurare un solido fondamento a quei valori supremi su cui si regge una cultura intesa a svolgere il ruolo di formazione della persona e di forma spirituale della società, è sufficiente la professione di fede secondo il credo di una delle grandi religioni dell’umanità» (p. 37). Ebbene, non sono certo che si possa davvero individuare un così esteso accordo tra le (peraltro non meglio precisate) “grandi religioni dell’umanità”. Lo stesso autore afferma poco dopo che «grazie al Vangelo il cristiano conosce meglio di ogni altro quali sono i valori assoluti (la persona e l’amore), e perciò più di ogni altro è in condizione di scegliere i costumi che meglio rispondono alle esigenze dell’umanità» (p. 37). In ogni caso, è certo degno di interesse e di tutta la possibile condivisione un progetto che – riferendosi alla globalità di uomini e culture – non sia preclusivo verso alcuna forma di espressione religiosa e che tenda a leggere tutto ciò che di positivo e buono ciascuna di esse presenti. È l’esigenza che emerge anche quando ci si concentri sul concetto di globalizzazione. L’autore ne rileva l’ambiguità, perché di esso può darsi un significato altamente positivo se indica un tentativo di soddisfare l’esigenza appena evidenziata: unire tutti i popoli per costruire una civiltà dell’amore; ma può darsi anche una traduzione terribilmente negativa se, come talora detto processo appare nelle vicende del nostro tempo, è la sola dimensione economica e del profitto egoistico a prevalere. In questo caso, globalizzazione finisce per essere un’unificazione a vantaggio di alcuni, con la supremazia di un solo modello culturale e la conseguente perdita di identità dei rimanenti (laddove tale identità risulti contrastante col solo fine economico, cieco quanto al rispetto dell’altro). Si ripropone quindi il dissidio senza tempo di universale e particolare: dinanzi agli esclusivismi che parteggiano o per l’affermazione di un unico modello oppure per l’anarchia generalizzata, l’autore rileva la necessità di considerare un tale dissidio al modo di una complementarità (cfr. pp. 41s.): difatti non è possibile né l’affermazione di un solo modello staticamente definito, vista la storicità nella quale l’esperienza umana è immersa, né quella di una molteplicità sempre diveniente, giacché anch’essa necessita di riferimenti stabili, sottratti, almeno essi, all’instabilità di continui mutamenti.Nel secondo capitolo l’autore affronta il carattere necessariamente personalistico di ogni autentica cultura: se questa è per la persona, non può non derivare da essa né può mancare di culminare in essa. Egli si sofferma innanzitutto con puntualità intellettuale e notevole chiarezza espositiva sul concetto di persona secondo la tradizionale definizione boeziana e soprattutto tommasiana (omne subsistens in natura rationali vel intellectuali); rileva nel contempo l’origine cristiana di una nozione come questa che attribuisce al singolo uomo valore assoluto, indipendentemente da criteri quali il censo, il ceto e la razza. Un valore assoluto che – come è ben noto agli studiosi di Tommaso – è solo alla persona e non all’individuo che può essere attribuito: «i rapporti che l’uomo intrattiene con il cosmo, con gli altri e con la società sono diversi a seconda che venga considerato come individuo o come persona» (p. 56). L’autore non tralascia poi altre definizioni di persona: da quella “psicologica” (Descartes), che spalanca le porte «sia a gravi decurtazioni sia a mostruose enfatizzazioni» (p. 58), alle reazioni che storicamente si sono date a tali eccessi, ovvero all’assunzione di concezioni basate interamente sul riferimento agli altri (comunione, dialogicità, alterità). E sottolinea che le dicotomie talora avanzate storicamente tra le concezioni centrate sul soggetto (ontologica o psicologica) e quelle fondate invece sulla relazione (quelle appena richiamate) comportano serie difficoltà nei dibattiti odierni che richiedono una definizione di persona. Circa l’aborto e l’uso delle cellule staminali embrionali, ad esempio, un netto dualismo come quello appena accennato può comportare l’attribuzione di differente dignità ai diversi stadi di vita nei quali l’uomo venga a trovarsi. È così accaduto molte volte che si sia giustificato l’aborto perché perpetrato nei confronti di qualcuno che, pur essendo individuo, ovvero definito dal punto di vista della sua soggettività, risultava giudicato come “non ancora persona”, ovvero non in possesso di quello che si riteneva essere un sufficiente stadio di sviluppo psicologico e relazionale. L’autore rigetta poi allo stesso modo ogni dicotomia tra persona e personalità, considerandole invece strettamente connesse, l’una in quanto ricchezza unicamente ontologica di chi appartiene al dominio dello spirito, l’altra a guisa di sviluppo e di realizzazione di sé che l’uomo persegue tramite la cultura. Il terzo capitolo è dedicato ai concetti di solidarietà e partecipazione, entrambi costitutivi di un’autentica cultura. Si tratta di disposizioni che la persona deve assumere al fine di realizzare non solo se stessa ma anche una società che persegua il bene comune. L’autore analizza dunque le nozioni di coesistenza, di proesistenza (dedizione agli altri che è innanzitutto via di realizzazione di se stessi), di prossimità (oggi allargabile al globo intero). La solidarietà, come la prossimità, va oggi intesa globalmente. Essa è condivisione dei propri beni con chi è più bisognoso, ed è dunque strettamente connessa alla partecipazione, ossia al prender parte di tutti ai beni disponibili, cosa che il magistero cattolico recente ha più volte indicato come l’unica alternativa ai grandi sistemi economicopolitici del liberalismo e del comunismo. Strettamente connesso a questo capitolo è il successivo, dedicato al tema della libertà, che è tale solo se rivolta alla realizzazione della persona. Tra le posizioni antitetiche che riducono unilateralmente l’uomo a un essere naturale, ossia che deriva dalla natura leggi biologiche come pure dettati morali, oppure a un prodotto di se stesso, c’è una via di mezzo. L’autore la indica convincentemente nella visione dell’uomo quale “essere culturale” (cfr. pp. 98 ss.), giacché la cultura è a un tempo esercizio e produzione umana (dunque vede l’uomo protagonista assoluto) ma a partire da qualcosa che già c’è, tanto che la cultura è, appunto, realizzazione dell’uomo, dunque di una natura già data (in questo senso l’uomo non è dunque protagonista assoluto). La definizione di “essere culturale” comporta poi quella di “essere libero” (la cultura non è produzione per istinto), “spirito” (l’uomo non è dipendente dalla materia e dunque dalla necessità che da essa proviene) e infine quella in cui tutte culminano: “persona”. Nel quinto capitolo si affronta il tema del sacro. Esso è presentato opportunamente come qualità trascendentale (cfr. p. 118), perché si ritrova in tutti gli enti, anzi va al di là di tutti gli enti, connota quanto è radice di ogni cosa trascendendola. La risposta ad esso da parte umana è la pratica religiosa, fondata appunto sulla rappresentazione del sacro, la quale, seppur non solo concettuale, non disdegna anzi talora richiede l’impegno dell’intelligenza e della speculazione. In merito l’autore sottolinea la necessità della sua fondazione metafisica (aggiungo: di un’autentica filosofia della religione), soprattutto in tempi come quelli d’oggi caratterizzati da una notevole ripresa di attenzione nei confronti del religioso, e che seguono la grande stagione della secolarizzazione tante volte espressa nell’abusata espressione nicciana “morte di Dio”. Ci si attenderebbe a questo punto un naturale conseguire dell’ultimo capitolo, dedicato al tema delle religioni e del dialogo tra di esse in vista della costruzione di una cultura globale. Invece l’autore vi frammette un capitolo dedicato al tema della morte e a quello connesso dell’eutanasia, come già annunciato nell’Introduzione al volume (cfr. p. 8); in realtà, il capitolo non tratta affatto la questione dell’eutanasia. Piuttosto esso risulta incentrato su quella che viene adeguatamente chiamata “metafisica della morte”, ossia un’indagine sul fondamento di una simile esperienza che superi la sola ma pur importante e necessaria fenomenologia che precede ogni spiegazione. L’autore offre inoltre una puntuale e chiara rassegna delle principali posizioni che la storia della filosofia ha elaborato in merito, giungendo infine a sottolineare che, quanto alla morte di una persona, la quale – proprio sulla base delle numerose testimonianze storico-filosofiche riportate – risulta essere ben più del proprio corpo, nulla può dire una certa cultura scientista e teconologica oggi dominante. Giungendo finalmente al settimo e ultimo capitolo, che si riaggancia al capitolo quinto relativo al sacro e alla sua fondazione metafisica, lo si può apprezzare come attestazione dell’importanza del ruolo della religione nello spazio pubblico odierno. Difatti è proprio in virtù di un ruolo come questo, oggi riconosciuto ormai pressoché generalmente, che si può discutere di religione come supporto a una cultura confacente all’uomo che abita l’odierno mondo globale. Non colgo per la verità perché il capitolo sia chiamato “Il dialogo ecumenico oggi” quando invece esso tratta anche del dialogo interreligioso come pure di quello tra credenti e non credenti; ma forse l’autore intende l’espressione non in senso strettamente tecnico, per così dire, ma con riferimento all’ecumene dell’attuale mondo globale; ciò cui invece non trovo spiegazione è il motivo per il quale egli si riferisce al famoso dibattito del 2004 tra l’allora cardinale Ratzinger e il filosofo Habermas come a un “dialogo interreligioso” (cfr. p. 151). Ma al di là di questi dettagli critici, ritengo lodevole che, al termine di un libro nel quale si è efficacemente mostrato quale peso abbia l’esperienza religiosa nella definizione di una autentica cultura incentrata sul valore unico e inalienabile di ogni persona umana, l’autore abbia voluto terminare la sua apprezzabile fatica evidenziando ancora una volta la necessità che coloro che praticano le diverse religioni nel mondo globale di oggi svolgano una funzione esemplare e dunque trainante nella definizione di una vera civiltà di incontro, di amicizia, di amore.
Tratto dalla rivista Aquinas n. 3/2008
(http://www.pul.it)
-
59,00 €→ 56,05 € -
59,00 €→ 56,05 € -
30,00 €→ 28,50 € -
50,00 €→ 47,50 € -
50,00 €→ 47,50 € -
50,00 €→ 47,50 € -
59,00 €→ 56,05 €