Pastore instancabile che compose ed espose a tutte le fasce sociali, a cominciare da quelle più disagiate, più di 40.000 sermoni; teologo dotato di solida preparazione universitaria, «homo unius libri», vale a dire uomo della Bibbia come egli stesso ebbe modo di definirsi, John Wesley resta ancora, per la maggioranza dei lettori italiani, un autore pressoché sconosciuto. Di questo cristiano, dalla cui predicazione iniziò il fenomeno del «Risveglio» che tanto profondamente influenzò il mondo anglosassone posto sulle due sponde dell’Atlantico, l’editrice Claudiana con il volume La perfezione dell’amore, a cura di F. Cavazzutti Rossi e con introduzione di P. Ricca, propone una scelta di venti sermoni che, cronologicamente disposti, ripercorrono la sua intera esistenza spirituale. Venti sermoni su 40.000 potrebbero sulle prime sembrare una goccia del tutto insignificante per delineare un profilo del fondatore del metodismo. Eppure in essi è racchiuso il cuore pulsante di un cristiano che, come ha sottolineato Karl Barth nella sua Dogmatica, «con il suo appello veemente alla cristianità senza dubbio battezzata, ma non convertita e che aveva sommo bisogno di essere convertita, ha avuto una tale influenza sulla morale del suo popolo e del suo paese, che si è potuto parlare, non senza ragione, di due Inghilterre del tutto diverse: quella “prima” e quella “dopo” Wesley». Chi era, dunque, John Wesley? Quale fu il messaggio evangelico di questo pastore itinerante che predicava due o tre volte al giorno con una media di 800 sermoni annui? Nato a Epworth, in Inghilterra, il 17 giugno 1703 dopo aver compiuto i suoi studi all’Università di Oxford diviene pastore della Chiesa d’Inghilterra. Debitore per un verso nei confronti del pietismo – la corrente che insisteva sull’aspetto interiore della religione accompagnato da un’assidua lettura biblica – e per un altro alla tradizione seicentesca dei puritani – che si battevano per riportare la pietà, la liturgia, la teologia della Chiesa alla purezza del cristianesimo delle origini –, Wesley fu un personaggio scomodo, qualità inevitabile per chi, pur senza definirsi tale, ebbe un ruolo da «profeta».
La sua predicazione consolava e, al tempo stesso, irritava, costruiva nel rinnovare le coscienze, ma demoliva certezze fondate sull’ipocrisia: la sua predicazione dovette fare i conti – e li fece sino in fondo – con un’Inghilterra caratterizzata dall’indifferenza religiosa e dalla rivoluzione industriale contrassegnata dal passaggio, certamente non indolore, dall’economia agricola a un’economia nella quale diventano perni centrali la fabbrica, la catena di montaggio, lo sfruttamento sempre più sistematico della forza lavoro delle masse a cui sempre più affievolito giunge, da parte della Chiesa anglicana, la parola della Bibbia, la speranza del suo Regno. In tale congiuntura economica e sociale la storia personale di Wesley ancora oggi sorprende, sconcerta, cattura. Sorprende perché il nostro, pur provenendo da un ambiente borghese di cui fece parte integrante sino alla fine, si pose in relazione con i diseredati, con i proletari ante litteram dell’epoca: è in assoluto la prima evangelizzazione nella storia cristiana moderna, come giustamente sottolinea Paolo Ricca nel denso saggio introduttivo al volume. Sorprende anche perché pur non essendo amato dalle gerarchie della Chiesa anglicana non volle mai rompere con quest’ultima: si batté affinché le sue «società metodiste» vi restassero dentro come una sorta di lievito per una rigenerazione cristiana che si sarebbe estesa non solo nel corpo ecclesiale, ma anche all’intera società. Wesley, d’altra parte, sconcerta anche per il fallimento («il fiasco umiliante») che subì durante il suo periodo americano – dal febbraio 1736 al dicembre 1737 –, durante il quale non riuscì nell’opera di evangelizzazione tra gli indiani e si attirò le aperte ostilità dei coloni inglesi, e per il modo in cui avvenne la sua seconda conversione (la prima era avvenuta nel 1725). Da come si può leggere dal suo Journal erano le 9 meno un quarto della sera del 24 maggio 1738 e si trovava in Aldersgate Street a Londra. Si era recato a una riunione di Fratelli moravi che nella capitale britannica avevano una loro comunità. Mentre leggevano una pagina del commento di Lutero alla Lettera ai Romani riguardante il cambiamento che Dio compie nel cuore dell’uomo per il tramite della fede in Cristo, «sentii – scrive Wesley – il mio cuore riscaldarsi stranamente. Sentii che confidavo in Cristo e in Cristo soltanto per la mia salvezza; e ricevetti l’assicurazione che aveva tolto i miei peccati e che mi salvava dalla legge del peccato e dalla morte».
Certamente l’equipaggio di pesanti ombre che gravavano sul suo animo non furono tutte dissolte nel corso di quella sera: ciò che, invece, è importante rilevare da questo episodio è che Wesley si dichiara figlio della Riforma luterana del XVI secolo, figlio, dunque, risvegliato che, pur nelle differenze che lo separeranno dal Riformatore di Wittenberg, pone come «pietra angolare dell’intero edificio cristiano» la giustificazione per grazia mediante la fede. Infine, cattura. Tutta la sua teologia è racchiusa in primo luogo nei suoi sermoni, nei quali risuona come Leitmotiv la parola biblica «santificazione». Per Wesley, infatti, se è vero che non c’è «santificazione» senza giustificazione, è anche vero che «la vera e propria salvezza cristiana – per cui è per grazia che siamo salvati mediante la fede – (…) si compone di due grandi elementi: la giustificazione e la santificazione. Con la giustificazione siamo salvati dalla colpa del peccato e siamo restituiti al favore di Dio; la santificazione ci salva dal potere e dalla radice del peccato e restaura in noi l’immagine».1 Questa restaurazione comporta che la stessa «giustificazione e la nuova nascita sono inscindibili [ma]… di natura diversa. La giustificazione implica un cambiamento relativo (cioè nella relazione che Dio stesso vuole instaurare con noi esseri umani; ndr) e la nuova nascita un cambiamento effettivo: quando Dio ci giustifica opera qualcosa per noi; nel darci una vita nuova opera in noi. Nel primo caso egli muta il nostro rapporto con lui così che, da nemici quali eravamo, diveniamo suoi figli; nel secondo egli cambia nel profondo la nostra interiorità così che, da peccatori, siamo trasformati in santi. Il primo ristabilisce in noi il favore di Dio, il secondo la sua immagine; l’uno toglie la colpa, l’altro il potere del peccato su di noi». Forte di questo presupposto Wesley poté parlare di «circoncisione del cuore», cioè la perfezione cristiana intesa come l’amore perfetto che il cristiano nel corso della sua esistenza si prefigge di raggiungere nei confronti di Dio e nei confronti del suo prossimo, amore che affonda le sue radici nella fede in Cristo. Se a Wesley fu vietato di predicare in una parrocchia tutta sua, questo non lo disarmò nella sua missione: il mondo dei diseredati, degli umili, dei vinti, degli offesi fu la sua parrocchia. A essi dedicò i suoi sermoni che restano fra le più alte testimonianze di un cristiano catturato dall’amore per la Parola vivente.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 14
(http://www.ilregno.it)
La collana «Testi» della serie «Studi storici» pubblicata dalla casa editrice valdese Claudiana, intende far conoscere al lettore italiano gli scritti dei maggiori esponenti della Riforma protestante in volumi di norma rigorosi e accurati. Con queste due nuove uscite si è voluto ristampare l’edizione divulgativa del celebre libriccino cinquecentesco Il beneficio di Cristo curata nel 1975 da Salvatore Caponetto e offrire in traduzione italiana una raccolta di sermoni del padre del metodismo John Wesley, quasi del tutto ignoti al pubblico della Penisola. Le due operazioni hanno significato culturale diverso. Nel primo caso si rimette in circolazione un’opera assai nota, oggetto di un dibattito storiografico accesissimo, in particolare tra gli anni ’60 e ’80 del secolo scorso. Il Beneficio di Cristo fu scritto da Benedetto Fontanini, monaco benedettino educato alla scuola cassinese e, in seguito, adepto delle teorie millenaristiche dell’eretico Giorgio Siculo, e subì poi una rielaborazione da parte del poeta Marcantonio Flaminio, umanista ben noto nelle corti principesche italiane e seguace dell’alumbrado spagnolo Juan de Valdés.
Il risultato di questa peculiare collaborazione era stato un trattatello dai toni confortanti e adogmatici, infarcito di citazioni valdesiane, ma anche di passi di Calvino e di Lutero, il cui messaggio si è dimostrato difficilmente afferrabile per generazioni di studiosi. A seconda di come si è guardato a quest’opera, si è sottolineato il suo carattere valdesiano, protestante oppure, al contrario, si è messo in luce un canovaccio sotto traccia di carattere pelagiano. L’introduzione di Caponetto a questa edizione inserisce l’opera in una corrente europea che predicava la «spiritualità della grazia», evitando allo stesso tempo nette prese di posizione. Il Beneficio appena edito dalla Claudiana è la ristampa di un’edizione uscita nel mezzo del confronto esegetico su questo testo. Caponetto aveva stampato per il Corpus reformatorum italorum un’edizione critica del volume, fino ad allora poco noto, dal momento che solo un esemplare della prima edizione dell’opera era uscito indenne dalla persecuzione della censura romana. Subito dopo la pubblicazione dell’edizione scientifica, lo studioso aveva provveduto ad adattarla per lettori non specialisti; di questa versione più snella diede una ristampa aggiornata nel 1991.
Questa terza edizione, a due anni dalla morte di Caponetto, conferma il successo ancora attuale di questo scritto, che nel Cinquecento vantò migliaia di copie vendute, e mette nelle mani del pubblico del XIX secolo un testo che illustra un momento particolare della storia religiosa italiana, in cui correnti religiose diverse potevano trovare efficaci sintesi, interrogando il lettore sugli esiti, allora ancora possibili, della crisi religiosa cinquecentesca. Dispiace tuttavia che non si sia deciso di aggiungere alla scarnissima nota bibliografica voluta da Caponetto nel 1991 una scheda esplicativa più ampia, che spiegasse le ragioni della ristampa e desse conto delle evoluzioni della storiografia religiosa italiana: anche se il Beneficio di Cristo non si trova più al centro degli studi storici, nel frattempo molto si è chiarito sul contesto religioso cinquecentesco e, di riflesso, anche sull’opera di Fontanini e Flaminio. Ben diversa è l’importanza della pubblicazione degli scritti di John Wesley. Lasciata l’indeterminatezza della situazione religiosa italiana del primo Cinquecento, questo volume ci riconduce nel mondo internazionale della Riforma e a un autore difficilmente sottostimabile: il più importante riformatore religioso dell’Inghilterra settecentesca, Wesley, fondò un movimento, quello metodista, che oggi conta milioni di fedeli e ha tuttora grande influenza negli Stati Uniti.
L’interessante introduzione di Paolo Ricca presenta le caratteristiche della vita e del programma religioso di Wesley e chiarisce i caratteri particolari della sua predicazione rispetto alla tradizione anglicana e a quella protestante. Wesley, benché relegato ai margini dell’anglicanesimo ufficiale, rimase sempre fedele a quella Chiesa e sviluppò una propria teologia fondata sulla giustificazione per sola fede e sulla dottrina della santificazione del cristiano. Fondamentale, nella visione del ministro inglese, è la vocazione dei fedeli alla perfezione cristiana, che Wesley intendeva come raggiungibile già nella vita terrena. Proprio alla luce di questa profonda convinzione nelle capacità dell’uomo di ricevere la grazia divina e di vincere sul peccato il capostipite del metodismo rifiutò con fermezza la dottrina protestante della predestinazione, allontanandosi così nel modo più evidente dall’insegnamento di Lutero. Ricca sottolinea comunque il costante attaccamento di Wesley al mondo protestante e rigetta con fermezza ogni tentazione di ricondurre questo autore a simpatie filocattoliche.
I venti sermoni che si pubblicano sono tratti con accortezza dai quarantamila che furono predicati nella sua longeva vita da Wesley, infaticabile oratore, e sono tutti introdotti da un’utile premessa, che fornisce i dati essenziali su ciascun sermone. Essi toccano i temi più importanti della religione wesleyana: la giustificazione per fede, la perfezione cristiana, il rapporto con il denaro e con l’economia. Di particolare interesse risulta il sermone sullo spirito cattolico, in cui Wesley fa mostra di un adiaforismo aperto al cattolicesimo che si inserisce nella lunga tradizione dell’irenismo cristiano. Questo testo serve a svelare un altro tratto tipico del pensiero metodista e di Wesley, che può a ragione considerarsi eccezionale in un’epoca in cui l’antipapismo restava una parola d’ordine del mondo anglicano. La scelta così ponderata dei testi tradotti e la buona fattura del commento rendono questo volume un punto di riferimento per chi voglia accostarsi alla comprensione di uno dei filoni più fortunati del Risveglio settecentesco.
Tratto dalla rivista Humanitas 64 (4-5/2009) 832-834
(http://www.morcelliana.it/ita/MENU/Le_Riviste/Humanitas)
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