La fede cristiana evangelica
-Un commento al Catechismo di Heidelberg
(I libri di Paolo Ricca)EAN 9788870166682
Teologo e storico del protestantesimo di prim’ordine, Paolo Ricca è stato, tra l’altro, per molti anni docente all’ISE S. Bernardino – oltreché nella Facoltà Teologica Valdese - e costituisce certo un riferimento fondamentale per il dialogo ecumenico nel nostro paese. Il volume che presentiamo offre una traduzione rinnovata ed un commento teologico analitico, preceduto da un’essenziale introduzione storica, a quello che è uno dei testi di riferimento per la fede riformata: il Catechismo di Heidelberg.
Un testo importante, pubblicato nel 1563 da un gruppo di teologi (in particolare Ursino, assieme a Oleviano) incaricato da Federico III principe elettore del Palatinato di dare consistenza all’insegnamento cristiano nelle scuole di tale area. Si tratta quindi di una nitida espressione della prospettiva teologica riformata, che ci viene da quello che è stato detto il “secolo dei catechismi”, per la feconda produzione che caratterizzò in tal senso il protestantesimo del periodo, teso ad introdurre alla lettura dell’unica Parola e di formare al contempo credenti coscienti e competenti. Come sottolinea P. Ricca, chi voglia conoscere cosa crede un cristiano protestante, troverà un riferimento classico e significativo in un testo che per alcune delle chiese riformate viene incluso tra gli scritti confessionali. Lo stesso Ricca evidenzia, d’altra parte, la necessità di leggerlo contestualizzandolo nel suo periodo d’origine, tenendo presente le profonde differenze quanto al contesto culturale in genere e più specificamente per le modalità di rapporto tra le diverse chiese.
Proprio per questo è così importante il commento, che aiuta a comprendere il senso delle affermazioni offerte dal testo attraverso la sua tipica scarna struttura a domande e risposte (costantemente accompagnate peraltro dall’indicazione di alcune significative citazioni bibliche). La prosa di Ricca, sempre estremamente efficace, mira anche a favorirne la leggibilità ed a rendere quindi il testo fruibile anche al non specialista, indicando nel contempo connessioni e collegamenti con temi e problemi che il Catechismo non esplicita. Significativo che tra gli autori più citati in tal senso – oltre a Riformatori come Lutero, Calvino e Zwingli - si collochino D. Bonhoeffer e Francesco d’Assisi. La struttura del testo potrebbe essere analizzata a diversi livelli, a partire da quello che esso stesso evidenzia: muovendo da “la miseria dell’uomo” si sofferma su “la redenzione dell’uomo”, per chiudere su “la gratitudine dell’uomo”.
Ma la semplice indicazione di tale struttura non basta ad esplicitare la forte sottolineatura personale con cui tali temi vengono affrontati – nel segno del pro me, con una declinazione antropologica del discorso di fede effettuata su quello che è il registro caratteristico della tradizione evangelica. Al centro è, infatti, la giustificazione del peccatore, gratuitamente operata in Gesù Cristo, che nello Spirito lo chiama a vivere nella fede una vita grata e gioiosa, dedita alla pratica del servizio. Tale prospettiva viene, d’altra parte, articolata con un ampio riferimento a tre testi fondanti per la tradizione cristiana quali il Simbolo Apostolico, il Decalogo ed il Padre Nostro, che vengono commentati in modo analitico attraverso una parte corposa del testo, accompagnando così il lettore attraverso una visione articolata della fede cristiana, che include anche il riferimento ai Sacramenti (i due sacramenti della tradizione riformata). Al centro il riferimento alla Parola, sia nelle indicazioni per l’esistenza credente che quanto alla forma che assume la comunità che in essa si radica.
Il commento di Ricca evidenzia bene la sottolineatura spirituale del testo, la sua costante attenzione per la rilevanza degli articoli di fede e dei comandamenti in ordine all’esistenza credente, l’accentuazione della gratitudine come armonica fondamentale della spiritualità cristiana. Certo, per un lettore cattolico non mancano momenti assai problematici all’interno di tale attraversamento della fede riformata, a partire dalla qualifica della messa cattolica come “maledetta idolatria” che quasi prenderebbe il posto nella pratica cattolica dell’unica redenzione operata da Cristo (domanda 80) o ai numerosi riferimenti polemici contro il culto dei santi. Il commento di Ricca è peraltro molto attento a collocare tali espressioni nel contesto storico in cui sono state espresse, fortemente caratterizzato in senso polemico, ma anche ad inserirle nel dibattito ecumenico dell’ultimo secolo, che ha visto una comprensione più attenta di ciò che determinate pratiche significano per le diverse confessioni cristiane.
Merita, insomma, grande apprezzamento il lavoro fatto per rendere accessibile – e spiritualmente fruibile – anche al lettore contemporaneo un testo classico della fede riformata. Certo, rispetto ad esso è impossibile non avvertire anche elementi di distanza, che non sempre il puntuale lavoro del commento riesce ad attenuare. Non mi riferisco neppure tanto agli elementi confessionali, di cui abbiamo appena accennato, ma ad alcuni modelli teologici, che il Catechismo recepisce dalla tradizione teologica e che ampiamente per esprimere il proprio pensiero - ma con i quali fatichiamo oggi ad identificarci. Si pensi, ad esempio, all’assunzione del modello anselmiano ed alla comprensione fortemente orientata in senso giuridico della redenzione che caratterizza la prima parte del Catechismo di Heidelberg; il commento avrebbe forse potuto evidenziare in modo più nitido la presenza – anche all’interno delle diverse teologie confessionali - di una pluralità di percorsi diversi per dire la necessità della salvezza, con accentuazioni che non sempre assumono in modo così forte il peccato come punto di partenza.
Tali appunti non devono, comunque, impedire di apprezzare e di valorizzare un testo cui hanno attinto generazioni di cristiani per vivere la fede, attingendovi la ferma convinzione che la loro “unica consolazione in vita e in morte” sia “che col corpo e con l’anima (…) non sono mio, ma appartengo al mio fedele Salvatore Gesù Cristo” (domanda 1). In una chiesa che vive dell’abbondanza e della pluralità dei doni dello Spirito (lo sottolinea la domanda 51 ed il relativo commento) è fonte di gioia anche per il teologo cattolico poter ascoltare una testimonianza così forte; è fonte di gioia accoglierne la sfida, cogliendo l’intenzionalità profonda – teologale - che la muove, aldilà di elementi che pure evidenziano tutto il peso del condizionamento culturale e della polemica.
Tratto dalla rivista "Studi Ecumenici" n. 2/2012
(http://www.isevenezia.it)
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