Gesù di Nazareth. Sfide e provocazioni
(Piccola biblioteca teologica)EAN 9788870164510
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DETTAGLI DI «Gesù di Nazareth. Sfide e provocazioni»
Tipo
Libro
Titolo
Gesù di Nazareth. Sfide e provocazioni
Autore
Wright Tom
Traduttore
Piazzese B.
Editore
Claudiana
EAN
9788870164510
Pagine
201
Data
2003
Collana
Piccola biblioteca teologica
COMMENTI DEI LETTORI A «Gesù di Nazareth. Sfide e provocazioni»
Recensioni di riviste specialistiche su «Gesù di Nazareth. Sfide e provocazioni»
Recensione di Giuseppe Segalla della rivista Studia Patavina
Questo breve, appassionato libro su Gesù è la traduzione in conferenze popolari di un grosso libro di studio dello stesso a., da me recensito in questa rivista Jesus and the Victory of God, London 1996 in Studia Patavina 44 (1997) 186-192, che fa parte di un progetto ambizioso, una specie di Teologia del Nuovo Testamento Christian Origins and the Question of God in cinque e forse sei volumi perché il secondo si è già sdoppiato in due (p. 4). L’opera, come risulta evidente dallo stesso sottotitolo “Sfide e provocazioni”, è un’apologia illuminata della fede, di sapore storico-letterario (cf. la parabola conclusiva Da Emmaus alla spiaggia di Dover che conclude il capitolo 7 alle pp. 159-60 e la poesia su Monna Lisa del Louvre a conclusione di tutto alle pp. 185-186), una fede nel Dio di Gesù in chiave postmoderna, in contrasto con la presentazione distorta di Gesù dell’illuminismo e del positivismo (W. Wrede), mentre fa sua in modo personale la interpretazione apocalittica di A. Schweitzer (p. 23). Basti elencare i titoli delle conferenze: La sfida di studiare Gesù, La sfida del regno, La fida dei simboli (cambiamento di orizzonte simbolico dal giudaismo al regno predicato e portato da Gesù, Il messia crocifisso, Gesù e Dio, La sfida della Pasqua, In cammino verso Emmaus in un mondo postmoderno, La luce del mondo. Tre indici rispettivamente dei nomi, dei testi biblici e degli argomenti, e l’indice generale concludono l’opera.
Wright polemizza contro una concezione dottrinale della fede e ne propone una esistenziale, vitale e pratica, che sola sarebbe capace di rispondere alla sfida del postmoderno frammentato e senza più orientamento. Gesù stesso come Dio andrebbe inteso in termini storico-esistenziali: non partire dalla nozione filosofico-teologica di Dio per confessare che Gesù è Dio, ma piuttosto dal modo in cui egli ha rivelato Dio nella sua missione e nella sua morte-risurrezione. Per dare un’idea della passione con cui parla, cito la perorazione finale del capitolo su “Gesù e Dio”, ove ribadisce la sua tesi cristologica: “Oppure, per citare ancora una volta una mia più compiuta espressione di questa tesi: il ritorno di JHWH a Sion e la teologia del Tempio che esso mette a fuoco sono le chiavi e gli indizi più ricchi rispetto alla cristologia evangelica. Dimenticate almeno per un momento i “titoli” di Gesù”; dimenticate i tentativi di alcuni cristiani benintenzionati di rendere consapevole Gesù di Nazareth dell’essere seconda persona della Trinità; dimenticate l’arido riduzionismo che alcuni coscienziosi teologi liberali hanno generato a mo’ di reazione. Concentratevi invece su un giovane profeta ebreo che narra un racconto su JHWH che tornava a Sion quale giudice e redentore, per poi incarnarlo mentre attraversa in lacrime la città a dorso d’asino, simboleggiando la distruzione del Tempio e celebrando l’Esodo finale” (p. 115). La risposta della comunità cristiana al mondo moderno è identificata nell’epistemologia dell’amore, “l’amore quale modalità base di conoscenza, prendendo l’amore di Dio come più alto e più pieno genere di sapere esistente, e lavorare, per così dire, a partire da lì” (p. 184), l’ermeneutica della fiducia piuttosto che quella del sospetto (p. 185).
Il libro aggiorna criticamente sulla discussione intorno a Gesù di Nazareth, specie in area inglese e americana, includendo però tutta la storia della ricerca a partire dall’illuminismo e dalla “prima ricerca” fino alla “terza” più recente. La discussione dei problemi viene condotta sempre in modo appassionato, coinvolgendo il lettore non solo nell’orizzonte scientifico, ma ancor più in quello impegnato e vitale di un cristiano d’oggi e della comunità cristiana nel “pantano” della postmodernità.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Wright polemizza contro una concezione dottrinale della fede e ne propone una esistenziale, vitale e pratica, che sola sarebbe capace di rispondere alla sfida del postmoderno frammentato e senza più orientamento. Gesù stesso come Dio andrebbe inteso in termini storico-esistenziali: non partire dalla nozione filosofico-teologica di Dio per confessare che Gesù è Dio, ma piuttosto dal modo in cui egli ha rivelato Dio nella sua missione e nella sua morte-risurrezione. Per dare un’idea della passione con cui parla, cito la perorazione finale del capitolo su “Gesù e Dio”, ove ribadisce la sua tesi cristologica: “Oppure, per citare ancora una volta una mia più compiuta espressione di questa tesi: il ritorno di JHWH a Sion e la teologia del Tempio che esso mette a fuoco sono le chiavi e gli indizi più ricchi rispetto alla cristologia evangelica. Dimenticate almeno per un momento i “titoli” di Gesù”; dimenticate i tentativi di alcuni cristiani benintenzionati di rendere consapevole Gesù di Nazareth dell’essere seconda persona della Trinità; dimenticate l’arido riduzionismo che alcuni coscienziosi teologi liberali hanno generato a mo’ di reazione. Concentratevi invece su un giovane profeta ebreo che narra un racconto su JHWH che tornava a Sion quale giudice e redentore, per poi incarnarlo mentre attraversa in lacrime la città a dorso d’asino, simboleggiando la distruzione del Tempio e celebrando l’Esodo finale” (p. 115). La risposta della comunità cristiana al mondo moderno è identificata nell’epistemologia dell’amore, “l’amore quale modalità base di conoscenza, prendendo l’amore di Dio come più alto e più pieno genere di sapere esistente, e lavorare, per così dire, a partire da lì” (p. 184), l’ermeneutica della fiducia piuttosto che quella del sospetto (p. 185).
Il libro aggiorna criticamente sulla discussione intorno a Gesù di Nazareth, specie in area inglese e americana, includendo però tutta la storia della ricerca a partire dall’illuminismo e dalla “prima ricerca” fino alla “terza” più recente. La discussione dei problemi viene condotta sempre in modo appassionato, coinvolgendo il lettore non solo nell’orizzonte scientifico, ma ancor più in quello impegnato e vitale di un cristiano d’oggi e della comunità cristiana nel “pantano” della postmodernità.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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Umberto Masperi il 11 dicembre 2011 alle 13:32 ha scritto:
Un commento non dovrebbe essere una valutazione critica od una presa di posizione su aspetti delle tesi di fondo di un autore, certamente molto autorevole ma che riflette pur sempre sensibilità ed orientamento di una determinata area culturale e di pensiero ( religioso), diversa da quella del sottoscritto.
Uno dei principali studiosi del N.T. del mondo anglosassone ( ministro della Chiesa di Inghilterra dal 1976, vescovo dal 2003, curriculum di tutto rispetto : laurea in Literae Humaniores 1971,in teologia 1973,Master of Arts 1975,dottotati in filosofia 1981 ed in Divinity ,teologia, 2000) autore di un’opera monumentale :Christian Origins and the Questions of God, 6 voll.), N.T.Wright con il sottotitolo del suo Gesù di Nazareth ( “Sfide e provocazioni”) ha attirato subito l’attenzione di chi sulla figura di Cristo ha sempre avuto interesse nei propri studi ( “tempo” permettendo). Non ”valutazione”, ma “impressione”, per quello che può ‘contare’. Lettura un po’ ‘faticosa’ per lo stile troppo ripetitivo ( discorso,in tal senso, ‘dispersivo’) : le ‘ ricostruzioni ‘ di uno storico,inoltre,non possono prescindere dalla precisa e puntuale documentazione, opportuna ,continua , per ogni sua impegnativa affermazione ( non è un po’ limitativa quella prevalente di richiami interni alla Sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento ?).
La “Prefazione” è chiara : tre preoccupazioni ( 1) completezza (!!) storica del discorso su Gesù; 2) discepolato cristiano che professa di seguire il vero(!!) Gesù; 3) immissione, nei cuori e nelle menti della nuova generazione di cristiani, del modello … di una missione che trasformi il nostro mondo nella potenza dell’evangelo di Gesù. Per me lettura faticosa ,dicevo, dopo quella di altri libri di esegeti del secolo scorso (ad es. di area francese) ,spiegabile però verso la fine ( p.183) da ciò che ‘sospettavo’: “ … conferenza da cui trae origine questo libro”. La stesura di un libro, come insegnava Tullio De Mauro, dovrebbe essere,però, preparata,prima, da precisi schemi per evitare le ripetizioni, la dispersività della scrittura ‘sovrabbondante’,quale piacevole “ colloquiare”, se posso così esprimermi.
EPPURE al termine ho avvertito la sua utilità, per cui … consiglio questo libro, senza incertezza.
Mi ha colpito la interessante e bella presentazione ( all’inizio del cap.7) dell’ “aria” spirituale ( cioè clima di pensieri, cultura) che respiriamo ,oggi: il MONDO della POST-MODERNITA’. C’è anche tra noi ( vedi, ad es., il “pensiero debole”) non solo nell’area anglosassone; è un problema da non sottovalutare ( da capire e con cui confrontarsi ,come fa intendere l’autore) e Wright ci orienta con il primo paragrafo: “Introduzione: missione in un mondo Post-moderno”, articolando la storicità e l’attualizzazione del ‘cammino verso Emmaus’. Tralasciando i tanti aspetti affrontati ( e quello sul messia crocifisso e sulla resurrezione – “caratteristica” del discorso del Nostro – meriterebbe non poche pagine), la COLLOCAZIONE STORICA di Gesù nella realtà del popolo di Dio del I secolo ( da approfondire sempre col massimo impegno come nel passato fece, ad es., Danielou ) è UNA NECESSITA’, per evitare quanto anch’io ho spesso notato nel mondo cattolico: il difetto di “ … fare dell’evangelo un buon consiglio invece di una buona novella”, come scrive Wright (p.171) che poi continua : “ Vi è soltanto un unico fondamento, e ogni volta che costruite un edificio dovete tornare a controllare quel fondamento per sapere che sorta di edificio sia già e come potreste procedere al meglio. Prima di poter dire “come Gesù per Israele così la Chiesa per il mondo”,dovete dire, “poiché Gesù per Israele allora la Chiesa per il mondo”. Quello che Gesù fece era unico,cruciale, decisivo. E’ questa a dire il vero la giustificazione teologica definitiva per l’incessante ricerca del Gesù storico”.
*** NOSTRA STORICITA’
D’ACCORDO ! … ma io ,da cattolico, ad un vescovo anglicano, tra l’altro ‘giovane’ ( nato nel 1948,due anni prima di me … per intendere quanto faccio ora seguire) chiedo se si è accorto che,STORICAMENTE, c’è stato un Vaticano II che si impegnò a fondo sulla … Chiesa nel mondo contemporaneo, poco prima dell’esplosione della contestazione e della post-modernità. NB. Non solo ‘polemica’, ma vera esigenza ( e mi chiedo se nella Chiesa cattolica quell’impegno è stato ripreso,approfondito , rinnovato con coerenza tra di noi) .
*** OLTRE LA METAFORA.
N.T.Wright conclude con una ‘parabola’ ed una ‘poesia’, come lui stesso dice.
La visita al Louvre, il desiderio di vedere il ritratto di Monna Lisa e l’impossibilità di ‘guardare’ i suoi occhi poiché il vetro che lo protegge riflette gli occhi di chi guarda ( propri e quelli di chi ti è vicino), ed altro ancora (…“macchine fotografiche,scolari,altri occhi,altri sorrisi inquietanti”).
E’ la tesi della post-modernità ( “Quello che sembra conoscenza è in realtà il riflesso del vostro stesso mondo,delle vostre stesse predisposizioni o mondi interiori. Non potete aver fiducia in nulla,dovete sospettare su tutto).
E’ la tesi che sfida anche il cristiano ( “ Così ora vediamo il mondo,gli altri,Dio, attraverso una prigione di vetro: sospetto,paura,sfiducia – proiezioni delle nostre stesse ansie”), ben diverso , osservo, e totalmente,dal " Videmus enim nunc per speculum ", come scrive San Paolo.
E’ la sfida che l’autore accetta e ‘supera’ contrapponendole la sua tesi ( la realtà dell’amore che è “conoscenza”,ermeneutica della fiducia piuttosto che del sospetto, di cui abbiamo sicuramente più bisogno in questo ventunesimo secolo).
E la POESIA termina con una specie di “invocazione” :
” Lasciate che mi fidi, e veda, e lasciate che gli occhi dell’amore indaghino, e io sia liberato”.
*** RISONANZA .
Forse non è piacevole ( disagio contro cui lottare) che l’ultima parola sia … quella di chi legge; ma non posso fare a meno di osservare ( e la metafora del vetro ci è di stimolo e di aiuto): basta … mettersi di lato per osservare… ed il riflesso degli occhi dei visitatori non c’è più”.
Di lato, cioè dal punto giusto ( che Sant’Agostino indicava con quel “rientra in te stesso”).
Il punto giusto: non è forse la Chiesa, come la grande teologia – cattolica – ci insegna?
Vedere Cristo nel nostro prossimo non è il più bel segno di quell’amore invocato da Wright?