La presente monografia su Cartesio di G. Giannetto si articola in tre capitoli. I primi due capitoli, «Idee innate, figura e giudizio in Cartesio» e «Le idee innate come disposizioni della mente in Cartesio », sono la ripubblicazione rivisitata di due libri editi rispettivamente nel 2009 e nel 2010, non più reperibili.
Il terzo capitolo, «Idee innate e la facoltà di trarle fuori dalla mente», è inedito. In questo lavoro l’A. (professore ordinario di Filosofia teoretica, presso l’Università degli studi di Napoli Federico II) tratta uno dei temi classici della filosofia cartesiana: le idee innate. La premessa al primo capitolo funge anche da introduzione al libro stesso. L’A., infatti, prima esamina il concetto di rappresentazione in Kant per metterlo a confronto con quello cartesiano, poi nota come sia in Kant che in Cartesio vi sia una duplice polarizzazione della nozione di rappresentazione: un lato soggettivo, legato al rappresentare stesso e un lato oggettivo che si riferisce al rappresentato. In Cartesio, del resto, le idee, intese come rappresentazioni, possono essere considerate o in modo formale (dunque in senso soggettivo come modi del pensare) o in senso obiettivo come quadri mentali che rinviano, differenziandosi a seconda di ciò che rappresentano, a ciò di cui sono immagini. Il filosofo francese classifica le idee in avventizie, fattizie e innate.
Le idee avventizie sono generate da una o più o sensazioni, dal contatto con la realtà esterna, hanno una natura extra-soggettiva (ad esempio l’idea di albero). Le idee fattizie sono un prodotto della nostra immaginazione, la quale combina elementi colti dalla realtà esterna (si pensi all’esempio celebre della sirena, metà donna metà pesce). Le idee innate, invece, pur rimandando a una realtà extra-umana, come le idee avventizie, si diversificano da queste, perché sono poste da Dio nella mente dell’uomo, come il marchio dell’artigiano sulla sua opera. Ne è prova di ciò l’impossibilità del soggetto di modificare a suo arbitrio le note delle idee innate, le quali possono essere intese come «tracce dell’Essere che pur riguardandolo, non lo comprendono, sicché l’immanenza non esclude la trascendenza» (21). Inoltre, nota Giannetto, che le idee innate, non essendo modificabili dalla mente umana, si palesano come strutture universali e necessarie presenti e operanti inevitabilmente per l’ente finito e non per l’Essere supremo, cosicché la natura dell’idea innata rivela un altro aspetto dell’ontologia cartesiana: la natura onnipotente dell’essere supremo, il quale non è legato alla scelta che ha effettuato. Infatti, Dio può scegliere liberamente quale logica seguire: l’Essere supremo, non solo può modificare a suo piacimento ogni proprietà di una figura geometrica, ma può addirittura andare contro il principio di non contraddizione. Giannetto, da questo aspetto, considerando il nesso tra l’idea innata e la natura dell’Ente supremo che l’ha posta nella mente, mette in luce come, nella filosofia cartesiana, il dato antropologico e ontologico - la struttura della mente - si rivela uno strumento ermeneutico capace di legare i diversi piani in cui articola la speculazione del filosofo francese.
Inoltre, l’analisi del Giannetto si rivela speculativamente originale, quando fa emergere il rapporto delle idee innate con l’intelletto e l’immaginazione. Bisogna tener presente che vi è una pluralità di idee innate: vi è una gerarchia dell’innato, la quale affiora appena si consideri le idee innate in senso obiettivo a seconda di ciò che esse rappresentano. L’idea di Dio ad esempio è più complessa speculativamente e ontologicamente dell’idea di numero o di figura geometrica, ma l’idea di triangolo si rivela più articolata sul piano antropologico, chiamando in causa due facoltà dell’uomo: l’intelletto e l’immaginazione. A tale proposito, l’A. mette in luce le diverse caratteristiche che può assumere l’immaginazione a seconda dei contenuti mentali che essa intenziona. È possibile una triplice tipizzazione dell’immaginazione: empirica, legata al dato esperienziale; combinatrice, capace di agire sugli elementi tratti dall’esperienza; riproduttiva a priori. Per un verso, lo studioso siciliano mette in luce come a ogni tipo di idea si possa associare un diverso agire dell’immaginazione - idee avventizie e immaginazione empirica o riproduttiva a posteriori, idee fattizie e immaginazione combinatrice, idee innate geometriche e immaginazione riproduttiva a priori - per un altro analizza la singolare teorizzazione fatta implicitamente da Cartesio di una terza capacità dell’immaginazione (non studiata da altri interpreti del pensiero cartesiano) consistente nel riprodurre in modo a priori le idee geometriche. Questa capacità dell’immaginazione è rilevante perché «l’immaginazione riproduttiva a priori è in grado di porre in relazione l’anima che intende e il corpo, definito per Cartesio dall’estensione, dalla figura e dalla divisibilità» (30).
Poi lo studioso siciliano passa a interpretare il triplice rapporto tra ideato (ciò che viene rappresentato), ideare, inteso come l’attività rappresentativa del soggetto, e idea considerata in relazione al criterio dell’evidenza. Infatti, il contenuto dell’idea innata non viene riprodotto in modo statico, ma necessita, per essere colto dal soggetto finito, di un agire intellettuale. L’A. per chiarire meglio questo punto esamina un esempio cartesiano, presente nei Principi di filosofia, dove il filosofo francese mostra le diverse determinazioni di cui è suscettibile un figura composta da tre lati. La figura geometrica del triangolo si presenta alla mente, a una prima visione essenziale, come delimitata da tre lati e composta da tre angoli, ma la mente, ritornando a osservare con maggiore attenzione la medesima figura, coglie altre proprietà di questo ente geometrico: si incomincerà a notare che il triangolo è rettangolo, che ha un angolo che misura novanta gradi e così via. Ma come vengono colte le determinazioni che di seguito vanno a individualizzare il triangolo? Il filosofo francese non lo dice esplicitamente, ma ciò in realtà dipende dal criterio dell’evidenza, concepito come continuo passaggio dalla chiarezza alla distinzione, anzi la distinzione, nota opportunamente Giannetto, può essere interpretata «come incremento di chiarezza» (34). Infine il primo capitolo si chiude con un paragrafo densissimo che analizza il celebre esempio del pezzo cera nella Seconda Meditazione. Nel secondo capitolo l’A. muove le sue considerazioni sulla nozione di idea innata assumendo come focus speculativo un testo cartesiano trascurato dalla bibliografia secondaria: Note contro un certo manifesto.
In quest’opera Cartesio chiarisce alcuni punti del suo pensiero, polemizzando contro l’interpretazione a suo avviso errata, che ne aveva dato un suo ex-allievo, Regius. Afferma Cartesio, a questo proposito, che la mente opera con le idee innate intese come qualcosa di diverso dalla sua facoltà di pensare. Distinguendo alcuni pensieri che si trovano nel soggetto che derivano solo dalla facoltà di pensare, e tenendo presente che i pensieri assumono come forma ordinante le idee, Cartesio chiama innate questo tipo di forme che si distinguono da quelle avventizie e fattizie. L’interprete pone in luce come l’idea innata teorizzata nelle Note, a differenza di quella proposta nelle Meditazioni, si presenta come una disposizione in grado di essere sviluppata e non come un contenuto mentale già dato. Infatti, sostiene Cartesio nelle Note, la possibilità di interpretare le idee innate come disposizioni, viene esemplificata da malattie come la gotta o la renella o da virtù come la generosità. Tali disposizioni, pur essendo presenti in una diversa tipologia di individui, possono anche non manifestarsi, essendo presenti allo stato latente. Sono necessarie due cause affinché queste malattie (la renella o la gotta) o quella virtù (la generosità) si manifestino. A tal proposito Cartesio distingue cause remote o secondarie da cause prossime o primarie le quali permettono alla disposizione di attuarsi.
La causa primaria è la stessa disposizione originaria, mentre la causa secondaria è intesa come una certa occasione che permette la manifestazione della disposizione originaria. L’interprete pone giustamente in risalto come il discorso cartesiano, rispetto ad altre opere che hanno per oggetto l’idea innata, si sposti dall’idea al modo di ordinare. Si passa, così, dal contenuto dell’atto mentale, al modo di pensare questo contenuto. L’A. nota che, a differenza delle Meditazioni, dove l’idea innata poteva essere ricondotta a un rapporto interno al soggetto, il quale analizzava il contenuto dell’idea intuita, nelle Note, la nozione di innato si distingue in forma e contenuto che richiede anche l’apporto di ciò che è esterno al soggetto: l’esperienza. Il dato empirico rispetto all’idea innata si pone nel medesimo rapporto con cui si pongono forma e contenuto. Cartesio porta a questo proposito l’esempio degli artigiani (assunti idealmente come causa primaria o disposizione), i quali possono sviluppare le loro capacità a seconda delle richieste dei committenti (causa occasionale). L’idea innata è suscettibile di sviluppi diversi in rapporto all’esperienza del soggetto conoscente.
Inoltre, nel momento in cui il soggetto diviene consapevole dell’idea innata, in virtù della sollecitazione di un certo dato empirico, anche l’idea innata, nel dargli un ordine, a sua volta agisce sul medesimo dato empirico. A tal proposito, afferma Giannetto, si passa da una nozione di idea innata come struttura innata, nel senso di tendenza ordinante posta da Dio nella mente dell’uomo, a idea come forma formante per l’agire dell’uo mo. Tenendo presente le analisi precedenti è possibile leggere il pensiero cartesiano da una prospettiva ermeneutica, poiché «ciò che è innato è come un’impronta che ogni uomo ha in sé che, però, mediante un’esperienza diversa, viene interpretata in modo differente» (126), sicché l’innato, assumendo una storicità dovuta alle esperienze diverse che lo sollecitano, non depotenzia l’umano a mero ricettacolo dell’Essere sommo. Nel terzo capitolo l’A. affronta il tema delle idee innate in relazione alla capacità della mente di trarle fuori. Il capitolo si apre con un’analisi del termine elicere, sul suo valore semantico, antropologico e ontologico. La portata del termine elicere appare nella decima Risposta che infatti, Cartesio dà alle Terze obbiezioni di Hobbes, le quali riguardano il modo di giungere all’idea di Dio. Cartesio afferma che l’idea innata non va interpretata come una presenza statica nella mente, anzi se fosse intesa così non ve ne sarebbe nessuna. L’idea innata deve essere interpretata mediante una capacità di cui è dotato l’uomo di trarla fuori: nos habere in nobis ipsis facultatem illa eliciendi. Giannetto fa emergere, muovendo da questa indicazione del filosofo francese, una diversa prospettiva da cui si può considerare l’idea innata. Le note costitutive della nozione di innato non sono date, non si presentano in modo chiaro alla mente, così come non si distinguono immediatamente le diverse nozioni innate le une dalle altre. Per tale ragione è necessario trarre fuori, elicere, ciò che a un primo sguardo rimane avviluppato, privo di una forma definita. Ma elicere può assumere anche altri significati.
Ad esempio, si possono intendere tutta una serie di operazioni che il soggetto compie per comprendere le articolazioni dell’innato: delineare, schizzare, abbozzare. Il verbo latino elicere può esser inteso come il risultato di un operare teoretico della mente, nel passare da un vedere insieme un gruppo di idee come un vedere non articolato, a un vedere entro un insieme, in modo da poter cogliere aspetti comuni dell’innato e aspetti diversi. Dunque, per un verso abbiamo la rappresentazione dell’insieme, cioè di più idee e di più note che compongono le idee; per un altro, abbiamo la rappresentazione degli elementi dell’insieme. Considerata da questa prospettiva l’idea innata può essere definita come unità complessa. L’A., tenendo presente le diverse interpretazioni del termine elicere in relazione alle idee innate, si sofferma poi sui diversi significati che possono essere attribuiti al termine “intendere” nelle tre accezioni: abbracciante, diversificante e distinguente. Dio ha posto nella mente dell’uomo le idee innate, ma le attività della mente permettono che queste idee possano essere comprese nelle loro note. Ma qual è lo status gnoseologico da cui muove il soggetto rispetto alle idee innate? Il soggetto ha dentro di sé, contemporaneamente, tutte le idee innate, le une insieme con le altre in modo non definito. Poiché però le idee innate si presentano inizialmente, al primo sguardo del soggetto, come «unione indifferenziata» (171), l’attività del soggetto che le intenziona deve essere capace di cogliere l’insieme delle idee privo di differenze, ragion per cui si può definire come intendere abbracciante. Ma questa prima attività della mente rispetto al suo contenuto implica la capacità di trovare ciò che appartiene a più idee in modo da «riunirle in un gruppo che ha proprietà comuni ad altre idee dello stesso gruppo» (ivi). La seconda attività che distingue, nota le differenze tra le diverse idee innate, è “un intendere diversificante” (172).
E infine si palesa, secondo l’interpretazione dello studioso siciliano, un terzo modo di intendere, capace di individuare le note peculiari di un’idea innata, che «è in grado di qualificare la diversità» (ivi), riuscendo a rilevare le note che compongono un nucleo concettuale, proprio in ragione del fatto che un’idea innata palesa «una diversità di livello nei confronti delle altre idee» (174). Ma questi tre modi di intendere sono presenti nell’attività propria dell’elicere, del trarre fuori, che il soggetto compie mentre intenziona le idee innate, sicché non sono da considerarsi questi tre significati del termine elicere come tre attività che operano in modo separato. Un’ultima considerazione sul libro dello studioso siciliano va fatta sull’insieme di questo lavoro. Il metodo e l’approccio speculativo sull’opera di Cartesio mostrano un valore non ascrivibile solo alle densissime analisi speculative sulla nozione di innato, ma anche alla possibilità offerta al lettore di esaminare alcuni momenti del pensiero cartesiano da una prospettiva inedita. Troppo spesso Cartesio da una tradizione storiografica soprattutto legata a certi cliché è stato considerato in modo semplicistico come il filosofo del soggetto o del metodo, iniziatore della filosofia moderna, a cui andrebbe attribuita addirittura la paternità dell’odierno relativismo: tutt’altro è il Cartesio che viene disegnato dalla brillante monografia del Giannetto. La soggettività si innerva in strutture ontologiche che essa non può mutare: le idee innate. La natura stessa del soggetto viene legata a un dato oggettivo dal quale non può prescindere. La filosofia cartesiana si presenta come un’ontologia della mente. Ma poi, secondo noi, sussiste una motivazione più profonda che ci consente di segnalare la lettura di questo libro: la monografia di Giannetto si inserisce in quel modo nobile di fare teoresi, che purtroppo si va perdendo in Italia.
L’A., allievo del filosofo napoletano R. Franchini, con questo lavoro non si misura solo con l’opera cartesiana ma, in modo leggermente celato, si confronta con un’idea di filosofia intesa come speculazione pura. Infatti, il focus dell’indagine, non esaurendosi nella mera analisi o in un’attenta comparazione dei testi di un filosofo, si viene articolando in un serrato confronto con un’idea piuttosto che con un pensatore: è la prospettiva teoretica a fungere da baricentro ermeneutico nell’esame dell’opera cartesiana e non la mera discussione con la letteratura secondaria.
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 3/2013
(www.rassegnaditeologia.it)
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luca ferrara il 30 luglio 2014 alle 23:28 ha scritto:
Finalmente un testo innovativo nella bibliografia cartesiana, non il solito stucchevole commento. L'autore tratta di un tema quanto mai interessante negli studi cartesiani: la nozione di idea innata. Definisce tale nozione sia in rapporto alle altre idee (avventizie e fattizie), sia in rapporto alle facoltà del soggetto conoscente.