A 80 anni di età, 56 di sacerdozio, Alessandro Pronzato, autore di "Vangeli scomodi" e voce cara agli ascoltatori di Radio Maria, sente una gran voglia di continuare a camminare e attraverso queste pagine si confida e sommessamente confessa la gioia di essere prete.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Perché
80 anni di età, 56 di sacerdozio. Intendiamoci subito: niente bilanci. Il bilancio lo fa Lui, non solo alla fine, ma anche giorno per giorno.
E il bilancio lo fanno le persone che ho incontrato e che avvicino. Alle volte è sufficiente un gesto, un ammiccamento, una parola, un sorriso. E questo basta loro per tirare le somme sul mio conto, magari puntando su una sola cifra che per loro risulta decisiva e comunque di maggior peso.
Parlo un poco di me, necessariamente, dovete scusarmi. E, con grande trepidazione e rispetto, parlo ai miei confratelli e ai fedeli lettori. Mettendo sul tavolo il cuore.
"Ti pesano gli anni?" qualcuno ha indagato.
Ho risposto che, malgrado qualche malanno — anche di notevoli proporzioni —, sento una gran voglia di continuare a camminare. Certo, il passo è più lento, faticoso, ma l'idea del peso non mi sfiora.
Cerco di seminare briciole, e le briciole non si pesano, eppure possono sfamare qualcuno che si accontenta.
Non mi sono state risparmiate le spine. Ma, a più o meno lunga scadenza, hanno buttato qualche fiore dal profumo stordente. Ed è un miracolo che mi lascia sempre sbalordito e riesce a strapparmi dei "grazie" senza soluzione di continuità.
Sommessamente confesso la gioia di essere prete, non quella di aver scritto (ahimè) circa 130 libri (ho perso il conto).
Non sempre ricordo ciò che mi hanno insegnato in Seminario. Ma continuo a imparare dalle vicende e dagli imprevisti della vita, nonché dagli individui più imprevedibili che ho incocciato in una Casa per anziani, perfino all'ergastolo di Porto Azzurro. I bambini mi mettono spesso in difficoltà (vero Zaccaria, Rocco, Elia, Jordi?) con domande che sono spesso impertinenti (ma che per loro risultano del tutto pertinenti). E mi obbligano a rivedere un linguaggio che credevo ormai collaudato.
Continuo a coniugare il verbo "imparare", rinunciando sempre esso alla pretesa di insegnare.
Riconosco che i miei peccati più gravi sono quelli di omissione. Tante, troppe occasioni mancate, troppi appuntamenti disattesì, troppe occasioni sciupate. E il ricordo si fa pungente. Ma è inutile: ho sempre sostenuto che i rimorsi bisogna averli "prima".
Non mi sento né migliore né peggiore degli altri. Forse "diverso". Credo di non aver mai tradito me stesso.
Ho parecchi amici che mi hanno aiutato e sostenuto nei momenti difficili. Mi sento loro debitore di tante cose che non si possono mettere sulla carta. Vero don Sandro Vitalini, vero don Pierangelo Regazzi, vero don Ambrogio Bosisio, vero don Gianni Sala, vero don Battista Rinaldi, vero Sandra, Maurizio, Francesco, Patrizia della "mia" Casa Editrice Gribaudi, vero Sorelle Carmelitane scalze dei Ponti Rossi di Napoli, vero Angelo Nebbia, vero Daniele e Pia Arnabol? E poi ci sono le presenze invisibili ma reali.
Il "grazie" a tutti parte veramente dal cuore.
Quella maledetta campana
Parlando dei miei 80 anni, non posso evitare di fare parecchi salti indietro.
Il Seminario Minore è stato per me e per i miei compagni un periodo assai critico con difficoltà in serie.
C'era la guerra. Il vitto era scarso e di pessima qualità.
Ogni tanto suonava l'allarme perché gli aerei Alleati bombardavano il ponte ferroviario sul Po, un obiettivo strategico.
Ma non era l'allarme che ci faceva più paura, bensì la campana della "Levata". Ore 6,30. Per dei ragazzini di undici anni, un'autentica crudeltà.
Quante maledizioni indirizzavamo a quella petulante campana, collocata all'esterno.
In un inverno particolarmente rigido, qualcuno di noi, complice l'oscurità, ha raggiunto con una scala la famigerata campana e, dopo volta, l'ha riempita d'acqua. Di notte l'acqua si è ghiacciata e per un mattino c'è stata mezz'ora di riposo supplementare, averla capo
Quella mezz'ora l'abbiamo pagata cara, perché per un mese i risveglio è stato anticipato alle cinque e trenta.
Punizione o vendetta dei Superiori?
Oggi mi alzo regolarmente alle quattro e mi metto a lavorare Congioia. Senza bisogno di campana.
Dimenticavo. Alle 6,45, ancora imbambolati dal sonno, c'era l'immancabile mezz'ora di meditazione in cappella, predicata da un padre spirituale che non aveva il dono della parola.
E stato il tempo in cui ho detto tanti sì al Signore, sbattendo il capo contro il petto.
Comunque, ripensando a quegli anni difficili, ritengo che io insieme ai miei compagni, siamo stati dei "resistenti".
Quel titolo ce lo siamo ampiamente meritato.